La DDR di Honecker perseguitava i punk, una subcultura nata in Occidente con una forte caratterizzazione antirazzista, antisistema, classista, anarchica, anticapitalista, situazionista, antifascista, terzomondista, antimilitarista e anche proletaria.
In Italia il PCI organizzava concerti dei Clash, i movimenti assimilavano la nuova controcultura.
In Germania Ovest i punk furono anima combattiva dei movimenti sociali autonomi di occupazione delle case, antinucleari, pacifisti, alternativi.
La DDR invece li considerò minaccia da combattere.
Apprendo da Working Class History che il 12 gennaio 1989 la subcultura punk fu identificata come il problema principale in una “analisi giovanile” prodotta dal governo della Germania Est (DDR). Un segnale della scarsa comprensione delle dinamiche sociali del proprio paese se qualche mese dopo cittadine/i dell’est dilagarono verso l’altra Germania.
All’inizio degli anni ottanta le autorità “socialiste” stimarono che ci fossero circa 1.000 punk nel paese, e circa 10.000 simpatizzanti punk visibilmente identificabili, che avevano sviluppato una rete nazionale per scambiare informazioni e idee, e avevano legami con punk di sinistra e anarchici nella Germania Ovest.
I punk venivano sorvegliati dai servizi segreti della Stasi e dalla polizia politica, costretti a firmare documenti identificandosi come potenziali criminali, regolarmente arrestati e interrogati, picchiati dalla polizia, subivano il taglio della cresta mohawk. Furono imprigionati per pene più lunghe di qualsiasi gruppo di attivisti negli anni ’70 o ’80. Ad esempio, una cantante di una band punk, Jana Schlosser, fu imprigionata dalla Stasi per due anni per aver paragonato l’organizzazione alle SS naziste. Un altro punk, Juergen Gutjahr, a 17 anni subì un’aggressione: “Mi hanno legato, mi hanno messo un sacco in testa e mi hanno picchiato nella foresta”.
Molti punk furono messi nella lista nera dal lavoro, o autorizzati a lavorare solo in posti come scavare fosse o trattare rifiuti ospedalieri. Altri furono banditi dai luoghi pubblici come club giovanili, ristoranti, caffè e bar. Spesso, i punk venivano privati dei loro documenti di identificazione e forniti documenti di identità sostitutivi che limitavano la possibilità di viaggiare all’interno della DDR e impedivano di viaggiare altrove nel blocco orientale. Alcuni punk che non accettarono di essere reclutati come informatori per la Stasi venivano diffamati (cioè venivano diffuse voci che si trattava di informatori).
Il paradosso è che mentre in Occidente erano la destra e i settori religiosi più conservatori a animare le campagne contro i punk come contro i capelloni negli anni 60, in DDR erano le chiese a ospitare i concerti punk messi al bando nelle sale pubbliche.
L’ottusità autoritaria dei regimi di “socialismo di stato” non ha reso un buon servizio alla causa del socialismo.
La caduta del muro di Berlino e della DDR apri la strada alla rilegittimazione del capitalismo come migliore dei mondi possibili e dell’imperialismo Occidentale come gendarme mondiale nonché a terapie economiche shock in alcuni casi devastanti per costi umani e sociali (come in Russia).
Ma non bisogna dimenticare che il loro carattere autoritario e conservatore ne erose le basi di consenso e soprattutto la capacità di rinnovamento (da questo punto di vista i cinesi si sono dimostrati più intelligenti).
È un paradosso del Novecento che società nate da una rivoluzione, come quella bolscevica, che ebbe il sostegno entusiasta delle avanguardie artistiche e che scatenò una rivoluzione culturale nella vita quotidiana siano diventate così burocratiche e ottusamente repressive. Nella perdita della spinta propulsiva quanto contò questa chiusura disciplinare mentre il capitalismo si rinnovava proprio grazie ai movimenti che lo contestavano?
Ovviamente oggi prevale una narrazione che cancella anche gli aspetti positivi di quei regimi – tra cui il merito storico di aver sostenuto le lotte del Terzo Mondo – ma noi comuniste/i non dobbiamo dimenticare le critiche più che legittime che meritavano.
Sul punk nella DDR segnalo ottimo articolo su Carmilla, la rivista on line fondata da Valerio Evangelisti.