Nel 40° anniversario della morte di Umberto Terracini, lo scorso 6 dicembre, non vi sono state celebrazioni ufficiali, neanche un comunicato di qualche alta carica dello stato. Una delle figure più importanti della storia italiana del Novecento, una padre della Repubblica è stato ricordato solo da #RaiStoria che ha riproposto questa intervista di Emanuele Rocco:
Fu tra i fondatori con Gramsci dell’Ordine Nuovo e poi del PCdI, uno dei padri fondatori della #Repubblica e della Costituzione che reca la sua firma. La sua biografia è quella di un rivoluzionario di professione – così si autodefinì per il titolo di un’intervista del 1976 sulla sua vita realizzata in collaborazione con il suo vecchio compagno Alfonso Leonetti.
Così scrisse al direttore della rivista:
«In quanto al titolo da lei propostomi [che era Ricordi e riflessioni di un dirigente comunista] le confesserò che non mi entusiasma e d’altra parte potrebbe dar luogo a qualche contestazione. E ciò sia per quanto si riferisce al dirigente, come per quanto si riferisce al comunista. Vi sono infatti dei comunisti militanti che non mi riconoscono più questo titolo, come sono poi moltissimi i quali non mi hanno mai rilasciato né mi rilasceranno mai il diploma di dirigente. E se dicessimo Ricordi e riflessioni di un rivoluzionario professionale? Questa è la formula introdotta nel vocabolario socialista a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre e fatta propria anche dai Comunisti Italiani nell’epoca più fulgente della loro lunga storia».
L’editoriale del numero di dicembre della Montly Review è davvero inquietante e merita di essere letto. La nuova guerra fredda che gli Stati Uniti hanno da tempo intrapreso contro la Cina, coinvolgendo paesi alleati a partire dall’Italia (si veda tra gli ultimi atti il ritiro dalla Via della Seta), ha radici economiche ben riassunte da Emiliano Brancaccio e altri economisti che accompagnano la pretesa imperialista statunitense di dominio unipolare e l’enorme peso del complesso militare industriale. A giudicare da quel che scrivono gli amerikani stessi siamo di fronte a scenari di guerra pericolosissimi per l’intera umanità. Montly Review ha l’abitudine di segnalare sempre documenti e articoli da fonti ufficiali USA che vanno oltre l’immaginazione di qualsiasi antimperialista. Si rileggano su questo blog l’intervento di John Bellamy Foster su guerra Russia e Ucraina e l’editoriale del marzo 2022. Nell’ultimo editoriale si cita un esperto che minaccia su una rivista militare statunitense una riedizione delle guerre dell’oppio che sprofondarono la Cina in un “secolo di umiliazioni” che i cinesi ben ricordano (consiglio la lettura della trilogia dello scrittore indiano Amitav Ghosh per rinfrescare la memoria dei crimini occidentali). (M.A.)
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Temendo di perdere la loro egemonia imperiale sull’economia mondiale a causa dell’ascesa della Cina come grande potenza economica, gli Stati Uniti stanno cercando di tradurre il loro predominio militare in un rinnovato dominio economico, con conseguenti pericoli senza precedenti per tutta l’umanità. In verità, sarebbe difficile esagerare gli enormi pericoli per il mondo in generale associati alla proiezione di potere militare e finanziario della Nuova Guerra Fredda di Washington volta a fermare la crescita economica della Cina.
Il Segretario di Stato americano Antony J. Blinken ha recentemente dichiarato che l’era post-Guerra Fredda è ormai finita, per essere sostituita da una nuova fredda rivalità, con la Cina come principale minaccia al dominio mondiale degli Stati Uniti.
Una classica strategia di “contenimento”, si sostiene, non funzionerà contro la Cina. Blinken sostiene invece quella che chiama una “geometria variabile” in cui Pechino deve essere bloccata in ogni punto attraverso una complessa rete funzionale di alleanze militari ed economiche, insieme a restrizioni tecnologiche. Qui la chiave è trovare il modo in cui Washington possa utilizzare la sua impareggiabile potenza militare per migliorare la sua posizione economica relativa (Antony J. Blinken, “Remarks to the Johns Hopkins School of Advanced International Studies”, Johns Hopkins School of Advanced International Studies, settembre 13, 2023, state.gov). Continue reading Minacce USA alla Cina: volete un’altra “guerra dell’oppio”?
Dal sito della Rosa Luxemburg Foundation un articolo di Alexander Amberger per il centenario di Wolfgang Harich (9 dicembre 1923-15 marzo 1995). Harich, che condivideva la critica dello stalinismo di Bertolt Brecht, György Lukács e Ernst Bloch, nel 1956 divenne noto a livello internazionale per la condanna che subì a 10 anni di carcere. E’ considerato anche un pioniere dell’ecologia e della decrescita per il suo libro degli anni ’70 “Comunismo senza crescita“. Rimase comunista democratico anche dopo il crollo del “socialismo reale” aderendo alla PDS (che poi aderì alla Linke).
«Il dogma della crescente domanda di energia, che riflette semplicemente la compulsione del capitalismo a capitalizzare ed espandere la riproduzione, deve essere risolutamente gettato in mare. Perché […] le centrali elettriche a carbone, come tutta la combustione di risorse fossili, sovraccaricano l’atmosfera di sostanze inquinanti, in particolare di anidride carbonica”. No, questa affermazione non è stata fatta recentemente da Kohei Saito o Andreas Malm. Risale al 1977. Wolfgang Harich ha detto questo all’epoca.
Il suo biografo Siegfried Prokop lo descrisse come il “primo verde della DDR”. Chi era quest’uomo che cinquant’anni fa invocava il “comunismo senza crescita”?
Wolfgang Harich nacque cento anni fa, il 9 dicembre 1923, nell’allora Königsberg. Veniva da una famiglia della classe media. La famiglia si trasferì presto a Neuruppin e poi a Berlino, dove Harich trascorse la sua giovinezza prima di essere arruolato nella Wehrmacht. Riuscì a evitare il servizio militare due volte. Dopo il secondo tentativo riuscì a nascondersi e divenne attivo nel “Gruppo di resistenza Ernst” di orientamento comunista. Dopo la fine della guerra fu inserito nella lista delle persone non incriminate scelte dal “Gruppo Ulbricht” per ristabilire l’ordine pubblico nella Berlino distrutta. Ma Harich non era attratto dalla politica, bensì dalla cultura e dalla filosofia. Inizialmente lavorò in tutta la città, presto trasferì le sue attività nella parte orientale di Berlino e qui scrisse per i giornali della zona di occupazione sovietica.
Harich era considerato un prodigio intellettuale. Divenne membro della SED, si affermò come critico culturale e teatrale, lavorò come redattore presso la neonata Aufbau Verlag e completò gli studi di filosofia.
A tutti i leader delle organizzazioni militari, paramilitari e di guerriglia palestinesi a tutti i soldati dei gruppi militanti palestinesi
Mi chiamo Marek Edelman. Sono un ex vice comandante dell’Organizzazione militare ebraica in Polonia e uno dei leader della rivolta del ghetto di Varsavia. Nel memorabile anno 1943 abbiamo combattuto per la sopravvivenza della comunità ebraica di Varsavia. Abbiamo combattuto per la mera vita, non per il territorio, né per un’identità nazionale. Abbiamo combattuto con disperata determinazione, ma le nostre armi non sono mai state dirette contro la popolazione civile indifesa, non abbiamo mai ucciso donne e bambini. Nel mondo privo di principi e valori, nonostante un costante pericolo di morte, siamo rimasti fedeli a questi valori e principi morali. Eravamo isolati nella nostra lotta, eppure il potente esercito avversario non è stato in grado di distruggere questi ragazzi e ragazze male armati. La nostra lotta a Varsavia è durata diverse settimane, e successivamente abbiamo combattuto nei gruppi partigiani e nell’insurrezione di Varsavia del 1944. Tuttavia, in nessuna parte del mondo la forza della guerriglia urbana può portare a una vittoria definitiva, ma non può nemmeno essere sconfitta da eserciti ben armati. E questa guerra non porterà alcuna soluzione. Il sangue sarà versato invano e le vite andranno perdute da entrambe le parti. Non siamo mai stati incuranti della vita. Non abbiamo mai mandato i nostri soldati a morte certa. La vita è una per l’eternità. Nessuno ha il diritto di portarla via senza pensarci. È giunto il momento che tutti lo capiscano. Basta guardarsi intorno. Guardate l’Irlanda. Dopo 50 anni di sanguinosa guerra, è arrivata la pace. Gli ex nemici mortali si sedettero a un tavolo comune. Guarda la Polonia, Walesa e Kuron. Senza sparare un solo colpo, il criminale sistema comunista è stato sconfitto. Sia voi che lo Stato di Israele dovete cambiare radicalmente il vostro atteggiamento. Dovete volere la pace per salvare la vita di centinaia o forse migliaia di persone e per creare un futuro migliore per i vostri cari, per i vostri figli. So per esperienza personale che l’attuale svolgimento degli eventi dipende da voi, capi militari. L’influenza degli attori politici e civili è molto minore. Alcuni di voi hanno studiato all’università della mia città, altri mi conoscono. Siete abbastanza saggi e intelligenti da capire che senza pace non c’è futuro per la Palestina e che la pace può essere raggiunta solo a costo che entrambe le parti accettino alcune concessioni. Chiedo anche al presidente Bill Clinton, al ministro Bernard Kouchner e al deputato Daniel Cohn-Bendit di sostenere il mio appello. Voglio ricordarvi la nostra posizione comune sulla guerra in Jugoslavia. Forse questa guerra, in cui non ci saranno vincitori, può anche essere fermata e sostituita da negoziati che portino alla pace. Forse il miglior mediatore non sarebbe un politico ma una persona di alta autorità morale, che valorizzi la vita di ogni uomo in dignità e pace più degli obiettivi politici.
Ho tradotto una lettera di Ian Birchall alla rivista Revolutionary History e, soprattutto, una lettera inedita di Victor Serge, che dimostrano che lo scrittore rivoluzionario in esilio non divenne un anticomunista da guerra fredda come molti sostengono. E’ molto interessante perché il nemico di Stalin tiene a precisare al suo interlocutore francese che non bisogna farsi arruolare dal “blocco anticomunista” né tenere una linea settaria verso i partiti comunisti fedeli all’Urss. Lo segnalo perché molti estimatori di Serge, in Italia e non solo, hanno invece un’attitudine ben diversa e l’hanno proiettata sulla sua opera (M.A.)