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Samir Amin: L’islam politico è solubile nella democrazia? (2013)

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh e altri leader di Hamas guidano una preghiera prima di ospitare una cena di fine digiuno dell’Iftar Ramadan in Qatar con funzionari del Qatar e diplomatici internazionali, 13 aprile 2023 (Hamas.ps)

Pubblico un articolo dello scomparso Samir Amin, economista egiziano marxista e antimperialista, pubblicato nel 2013. Visto che si parla tanto di Hamas credo che sia utile alla riflessione. Per approfondire consiglio il suo saggio Sconfiggere l’Islam politico e l’imperialismo e il suo classico sull’eurocentrismo che ben descrive la fase che stiamo vivendo e che riguarda  l’Occidente come il mondo musulmano e in generale il capitalismo globale: “l’ideologia borghese, che in origine avanzava ambizioni universalistiche, vi ha rinunciato per sostituirvi il discorso postmodernista delle ‘specificità culturali’ irriducibili (e, in forma volgare, lo scontro inevitabile delle culture)” (la citazione è tratta da una recensione che consiglio). Rimango convinto che solo la rifondazione di un socialismo/comunismo del XXI secolo può contrastare questa deriva del capitalismo globale sempre più caratterizzato dalla guerra. A proposito di alternativa socialista/comunista vi segnalo una testimonianza di Samir Amin su Thomas Sankara e soprattutto un suo testo ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI che trovate nella biblioteca di Rifondazione. Su Hamas in Qatar ho scritto un articolo

Questo breve articolo, che è solo complementare rispetto a scritti più approfonditi dell’autore, non vuole essere né provocatore, né polemico. Intendo solo mettere i puntini sulle “i”. Ricordo quindi con brevi parole ciò che ho già scritto e ripetuto: io non discuto della possibilità teorica di “un islam politico moderno che sia democratico”, ma dei partiti che di fatto esistono e che si dicono islamisti. Non discuto nemmeno dell’islam come religione.

Ho spesso scritto in arabo, in francese e in inglese, e con precisione, su cosa intendo per “islam politico reazionario”, riassumibile nella perifrasi che di tanto in tanto ricordo: “movimento sedicente islamico e di fatto politico reazionario e antidemocratico”.

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TARIQ ALI: Rivolta in Palestina

Ho tradotto l’articolo che ieri a caldo Tariq Ali ha pubblicato sul sito della britannica New Left Review sulla rivolta in corso in Palestina. Il mio  comunicato lo trovate sul sito di Rifondazione. Ha suscitato l’indignazione di Nicola Porro mentre Il Giornale oggi ricorda la mia solidarietà di lunga data con il popolo palestinese. 

Nel dicembre 1987 scoppiò in Palestina una nuova Intifada, che scosse Israele e le élite del mondo arabo. Poche settimane dopo, il grande poeta siriano Nizar Qabbani scrisse”La trilogia dei figli delle pietre”, in cui denunciava la vecchia generazione di leader palestinesi  oggi rappresentata dalla (No-)Autorità  corrotta e collaborazionista della Palestina. È stato cantato e recitato in molti caffé palestinesi:

I figli delle pietre

hanno sparso i nostri fogli

versato l’inchiostro sui nostri vestiti

hanno deriso la banalità  dei vecchi testi…

O bambini di Gaza

Non badate alle nostre trasmissioni

Non ascoltateci

Siamo il popolo del freddo calcolo

dell’addizione, della sottrazione

Fate le vostre guerre e lasciateci in pace

Siamo morti e senza tomba

Orfani senza occhi.

Bambini di Gaza

Non fate riferimento ai nostri scritti

Non siate come noi.

Siamo i vostri idoli

Non adorateci.

O folli di Gaza,

Mille saluti ai folli

L’era della ragione politica è tramontata da tempo

Insegnateci la follia…

Da allora, il popolo palestinese ha provato ogni metodo per raggiungere una qualche forma di autodeterminazione significativa. “Rinunciate alla violenza”, è stato detto loro. Lo hanno fatto, a parte qualche strana rappresaglia dopo un’atrocità  israeliana. Tra i palestinesi in patria e nella diaspora c’è stato un massiccio sostegno al boicottaggio, al disinvestimento e alle sanzioni: un movimento pacifico per eccellenza, che iniziò a guadagnare terreno in tutto il mondo tra artisti, accademici, sindacati e occasionalmente governi. Gli Stati Uniti e la famiglia NATO hanno risposto cercando di criminalizzare il BDS in Europa e Nord America – sostenendo, con l’aiuto dei gruppi di lobby sionisti, che boicottare Israele era “antisemita”. Ciò si è rivelato ampiamente efficace. In Gran Bretagna, il partito laburista di Keir Starmer ha vietato qualsiasi menzione di “apartheid israeliano” nella sua prossima conferenza nazionale. La sinistra laburista, temendo di essere espulsa, è rimasta in silenzio su questo tema. Uno stato di cose spiacevole. Nel frattempo, la maggior parte degli stati arabi si sono uniti alla Turchia e all’Egitto nel capitolare davanti a Washington. L’Arabia Saudita è attualmente in trattative, mediate dalla Casa Bianca, per riconoscere ufficialmente Israele. L’isolamento internazionale del popolo palestinese sembra destinato ad aumentare.  

Per tutto questo tempo, l’IDF ha attaccato e ucciso palestinesi a piacimento, mentre i governi israeliani che si sono succeduti hanno lavorato per sabotare ogni speranza di statualità. Recentemente, una manciata di ex generali dell’IDF e agenti del Mossad ha ammesso che ciò che viene fatto in Palestina equivale a “crimini di guerra”. Ma hanno trovato il coraggio di dirlo solo dopo essere andati in pensione. Mentre erano ancora in servizio, hanno sostenuto pienamente i coloni fascisti nei territori occupati, restando in piedi mentre bruciavano case, distruggevano piantagioni di ulivi, versavano cemento nei pozzi, attaccavano i palestinesi e li cacciavano dalle loro case cantando “Morte agli arabi”. Lo stesso hanno fatto i leader occidentali, che hanno lasciato che tutto ciò si svolgesse senza fiatare. L’era della ragione politica era tramontata da tempo, come direbbe Qabbani.

Poi, un giorno, la leadership eletta a Gaza inizia a reagire. Escono dalla loro prigione a cielo aperto e attraversano il confine meridionale di Israele, colpendo obiettivi militari e popolazioni di coloni. I palestinesi sono improvvisamente in cima alle prime pagine dei giornali internazionali. I giornalisti occidentali sono scioccati e inorriditi dal fatto che stiano resistendo. Ma perché non dovrebbero? Sanno meglio di chiunque altro che il governo di estrema destra israeliano si vendicherà ferocemente, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Ma nonostante ciò, non sono disposti a stare a guardare mentre Netanyahu e i criminali del suo gabinetto espellono o uccidono gradualmente la maggior parte del loro popolo. Sanno che gli elementi fascisti dello Stato israeliano non avrebbero alcuna remora a sancire l’omicidio di massa degli arabi. E sanno che bisogna opporsi con ogni mezzo. All’inizio di quest’anno, i palestinesi hanno assistito alle manifestazioni di Tel Aviv e hanno capito che coloro che marciavano per “difendere i diritti civili” non si preoccupavano dei diritti dei loro vicini occupati. Hanno deciso di prendere in mano la situazione.

I palestinesi hanno il diritto di resistere all’aggressione continua a cui sono sottoposti? Assolutamente sì. Non c’è alcuna equivalenza morale, politica o militare tra le due parti. Israele è uno Stato nucleare, armato fino ai denti dagli Stati Uniti. La sua esistenza non è minacciata. Sono i palestinesi, le loro terre, le loro vite, a esserlo. La civiltà occidentale sembra disposta ad assistere al loro sterminio. Loro, invece, si stanno sollevando contro i colonizzatori.

 

Natalia Ginzburg: in difesa del comunismo (1990)

Nell’ultimo periodo della sua vita la scrittrice Natalia Ginzburg, morta il 7 ottobre 1991, si schierò con il “fronte del no” al cambio di nome del PCI proposto da Occhetto con la svolta della Bolognina. Vi ripropongo un articolo molto bello pubblicato su L’Unità  del 1991.

Così Natalia Ginzburg, indipendente di sinistra, difendeva quella che Ingrao definiva la “tradizione” dei comunisti italiani. 

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Boris Kagarlitsky: Ucraina orientale, la logica di una rivolta (2014)

In effetti, la reputazione della Russia di Putin in Occidente non è niente di straordinario, addirittura peggiore di quella dell’Unione Sovietica di Breznev. Ma ciò a cui stiamo assistendo è del tutto fuori dai limiti del consueto. Non c’era niente che gli somigliasse né durante la Guerra Fredda, né durante il conflitto ceceno, né durante lo scontro tra Russia e Georgia. Non dovremmo nemmeno menzionare l’azione di Eltsin nel bombardare il parlamento russo; a quel tempo, l’Occidente liberale applaudiva.

A Mosca ci si aspettavano critiche dopo l’annessione della Crimea.

 Ma e’ successo più di un mese fa e da allora le autorità del  Cremlino non hanno fatto nulla di nuovo. Più volte al giorno ripetono, come un mantra, parole secondo cui rispettano l’integrita territoriale dell’Ucraina; che non hanno intenzione di annettere nessun altro; che hanno chiesto all’Occidente di elaborare con loro un approccio comune alla crisi, ma le critiche non sono cessate. Nel frattempo, quanto più assurde sono state le dichiarazioni rilasciate dagli attuali governanti di Kiev, tanto più avidamente e con gioia queste sono state accolte. Solo dopo la firma dell’accordo di Ginevra del 17 aprile tra Ucraina, Russia e Occidente si è verificato un certo ammorbidimento: i funzionari europei hanno scoperto all’improvviso che in Ucraina era “necessario trattare con gruppi che non rispondono né a Kiev né a Mosca”, e hanno riconosciuto che “mancavano prove chiare” dell’ingerenza di Mosca. Ma in ogni caso si è avvertito che se le autorita russe non si fossero comportate bene, presto forse ci sarebbero state prove del genere. Continue reading Boris Kagarlitsky: Ucraina orientale, la logica di una rivolta (2014)

ALFRED DE ZAYAS: La Responsabilità di Proteggere la popolazione armena del Nagorno Karabakh

Alfred de Zayas è professore di diritto presso la Scuola di diplomazia di Ginevra ed è stato esperto indipendente delle Nazioni Unite sull’ordine internazionale nel periodo 2012-2018. È autore di dodici libri tra cui “ Building a Just World Order ” (2021), “Countering Mainstream Narratives” 2022 e “The Human Rights Industry” (Clarity Press, 2021). Vi propongo un suo articolo da Counterpunch. 

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