Poco prima che uscisse Il Movimento è tutto. Rileggendo Eduard Bernstein, Sugarco, 1993 Ranieri e Minopoli hanno ripubblicato per «Calice editore» sempre 1993, un saggio che era apparso nel 1991 su MicroMega. Allora aveva per titolo «Il riformismo dopo il Pci», oggi, invece, Le responsabilità del riformismo. Leggere insieme le due cose è molto istruttivo. Anche se leggerle insieme comporta uno spostamento del tiro da problemi di teoria politica a problemi di politica pratica. Ma del resto, il libro su Bernstein è un testo, come si diceva una volta, militante, è un testo-contro che batte sul punto della polemica verso una tradizione di pensiero e di azione che nella storia del movimento operaio italiano viene indicata come egemone, dal vecchio partito socialista al partito comunista di tipo nuovo, fino forse ad oggi.Continue reading Mario Tronti: Quel compromesso Bernstein-Lenin…(2000)
Mao tra Mauro Scoccimarro e Davide Lajolo a Pechino nel 1956
Negli anni ’60 i comunisti cinesi nelle polemiche contro il “revisionismo” che condussero alla rottura con l’Urss di Krusciov come con il PCI di Togliatti assunsero una posizione di difesa di Stalin e di rifiuto della critica del “culto della personalità” e degli “errori” del leader sovietico che era stata avanzata nell’indimenticabile 1956 durante il XX Congresso.
Una testimonianza di Davide Lajolo, tratta dal suo libro “24 anni di un uomo fortunato“, ci ricorda che in realtà inizialmente Mao condivise la critica di Krusciov a Stalin. Così Lajolo, che faceva parte della delegazione del PCI in Cina, riferisce le parole di Mao in un incontrò del 21 settembre 1956:
“Il comunismo in URSS, negli ultimi anni, era giunto ad una situazione insopportabile. Come una pentola ermeticamente chiusa, sotto un fuoco continuo, da anni in ebollizione. La pentola minacciava di scoppiare”.Continue reading La testimonianza di Lajolo su Mao e Stalin nel 1956
Nel 40° anniversario della morte di Umberto Terracini, lo scorso 6 dicembre, non vi sono state celebrazioni ufficiali, neanche un comunicato di qualche alta carica dello stato. Una delle figure più importanti della storia italiana del Novecento, una padre della Repubblica è stato ricordato solo da Rai Storia che ha riproposto questa intervista di Emanuele Rocco:
Fu tra i fondatori con Gramsci dell’Ordine Nuovo e poi del PCdI, uno dei padri fondatori della Repubblica e della Costituzione che reca la sua firma. La sua biografia è quella di un rivoluzionario di professione – così si autodefinì per il titolo di un’intervista del 1976 sulla sua vita realizzata in collaborazione con il suo vecchio compagno Alfonso Leonetti.
Così scrisse al direttore della rivista:
«In quanto al titolo da lei propostomi [che era Ricordi e riflessioni di un dirigente comunista] le confesserò che non mi entusiasma e d’altra parte potrebbe dar luogo a qualche contestazione. E ciò sia per quanto si riferisce al dirigente, come per quanto si riferisce al comunista. Vi sono infatti dei comunisti militanti che non mi riconoscono più questo titolo, come sono poi moltissimi i quali non mi hanno mai rilasciato né mi rilasceranno mai il diploma di dirigente. E se dicessimo Ricordi e riflessioni di un rivoluzionario professionale? Questa è la formula introdotta nel vocabolario socialista a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre e fatta propria anche dai Comunisti Italiani nell’epoca più fulgente della loro lunga storia».
L’editoriale del numero di dicembre della Montly Review è davvero inquietante e merita di essere letto. La nuova guerra fredda che gli Stati Uniti hanno da tempo intrapreso contro la Cina, coinvolgendo paesi alleati a partire dall’Italia (si veda tra gli ultimi atti il ritiro dalla Via della Seta), ha radici economiche ben riassunte da Emiliano Brancaccio e altri economisti che accompagnano la pretesa imperialista statunitense di dominio unipolare e l’enorme peso del complesso militare industriale. A giudicare da quel che scrivono gli amerikani stessi siamo di fronte a scenari di guerra pericolosissimi per l’intera umanità. Montly Review ha l’abitudine di segnalare sempre documenti e articoli da fonti ufficiali USA che vanno oltre l’immaginazione di qualsiasi antimperialista. Si rileggano su questo blog l’intervento di John Bellamy Foster su guerra Russia e Ucraina e l’editoriale del marzo 2022. Nell’ultimo editoriale si cita un esperto che minaccia su una rivista militare statunitense una riedizione delle guerre dell’oppio che sprofondarono la Cina in un “secolo di umiliazioni” che i cinesi ben ricordano (consiglio la lettura della trilogia dello scrittore indiano Amitav Ghosh per rinfrescare la memoria dei crimini occidentali). (M.A.)
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Temendo di perdere la loro egemonia imperiale sull’economia mondiale a causa dell’ascesa della Cina come grande potenza economica, gli Stati Uniti stanno cercando di tradurre il loro predominio militare in un rinnovato dominio economico, con conseguenti pericoli senza precedenti per tutta l’umanità. In verità, sarebbe difficile esagerare gli enormi pericoli per il mondo in generale associati alla proiezione di potere militare e finanziario della Nuova Guerra Fredda di Washington volta a fermare la crescita economica della Cina.
Il Segretario di Stato americano Antony J. Blinken ha recentemente dichiarato che l’era post-Guerra Fredda è ormai finita, per essere sostituita da una nuova fredda rivalità, con la Cina come principale minaccia al dominio mondiale degli Stati Uniti.
Una classica strategia di “contenimento”, si sostiene, non funzionerà contro la Cina. Blinken sostiene invece quella che chiama una “geometria variabile” in cui Pechino deve essere bloccata in ogni punto attraverso una complessa rete funzionale di alleanze militari ed economiche, insieme a restrizioni tecnologiche. Qui la chiave è trovare il modo in cui Washington possa utilizzare la sua impareggiabile potenza militare per migliorare la sua posizione economica relativa (Antony J. Blinken, “Remarks to the Johns Hopkins School of Advanced International Studies”, Johns Hopkins School of Advanced International Studies, settembre 13, 2023, state.gov). Continue reading Minacce USA alla Cina: volete un’altra “guerra dell’oppio”?
Dal sito della Rosa Luxemburg Foundation un articolo di Alexander Amberger per il centenario di Wolfgang Harich (9 dicembre 1923-15 marzo 1995). Harich, che condivideva la critica dello stalinismo di Bertolt Brecht, György Lukács e Ernst Bloch, nel 1956 divenne noto a livello internazionale per la condanna che subì a 10 anni di carcere. E’ considerato anche un pioniere dell’ecologia e della decrescita per il suo libro degli anni ’70 “Comunismo senza crescita“. Rimase comunista democratico anche dopo il crollo del “socialismo reale” aderendo alla PDS (che poi aderì alla Linke).
«Il dogma della crescente domanda di energia, che riflette semplicemente la compulsione del capitalismo a capitalizzare ed espandere la riproduzione, deve essere risolutamente gettato in mare. Perché […] le centrali elettriche a carbone, come tutta la combustione di risorse fossili, sovraccaricano l’atmosfera di sostanze inquinanti, in particolare di anidride carbonica”. No, questa affermazione non è stata fatta recentemente da Kohei Saito o Andreas Malm. Risale al 1977. Wolfgang Harich ha detto questo all’epoca.
Il suo biografo Siegfried Prokop lo descrisse come il “primo verde della DDR”. Chi era quest’uomo che cinquant’anni fa invocava il “comunismo senza crescita”?
Wolfgang Harich nacque cento anni fa, il 9 dicembre 1923, nell’allora Königsberg. Veniva da una famiglia della classe media. La famiglia si trasferì presto a Neuruppin e poi a Berlino, dove Harich trascorse la sua giovinezza prima di essere arruolato nella Wehrmacht. Riuscì a evitare il servizio militare due volte. Dopo il secondo tentativo riuscì a nascondersi e divenne attivo nel “Gruppo di resistenza Ernst” di orientamento comunista. Dopo la fine della guerra fu inserito nella lista delle persone non incriminate scelte dal “Gruppo Ulbricht” per ristabilire l’ordine pubblico nella Berlino distrutta. Ma Harich non era attratto dalla politica, bensì dalla cultura e dalla filosofia. Inizialmente lavorò in tutta la città, presto trasferì le sue attività nella parte orientale di Berlino e qui scrisse per i giornali della zona di occupazione sovietica.
Harich era considerato un prodigio intellettuale. Divenne membro della SED, si affermò come critico culturale e teatrale, lavorò come redattore presso la neonata Aufbau Verlag e completò gli studi di filosofia.