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Michael Löwy: Il surrealismo come movimento rivoluzionario

L’aspirazione rivoluzionaria è all’origine stessa del Surrealismo e assume per la prima volta una forma libertaria, nel Primo Manifesto del Surrealismo (1924) di André Breton: “Solo la parola libertà è tutto ciò che mi esalta ancora”. Nel 1925, il desiderio di rompere con la civiltà borghese occidentale porta Breton ad avvicinarsi alle idee della Rivoluzione d’Ottobre, come testimonia la sua recensione del Lenin di Leon Trotsky . Sebbene si unisca al Partito Comunista Francese nel 1927, conserva comunque, come spiega nell’opuscolo Au grand jour, il suo “diritto di critica”.

Fu il Secondo Manifesto del Surrealismo (1930) a trarre tutte le conseguenze di questo atto, affermando “totalmente, senza riserve, la nostra adesione al principio del materialismo storico”. Pur affermando la distinzione, anzi l’opposizione, tra il “materialismo primario” e il “materialismo moderno” sostenuto da Friedrich Engels, André Breton insisteva sul fatto che “il surrealismo si considera indissolubilmente legato, per le affinità che ho sottolineato, all’approccio del pensiero marxista e a questo solo approccio”. Continue reading Michael Löwy: Il surrealismo come movimento rivoluzionario

Testimonianza di Julian Assange all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo

La testimonianza completa di Julian Assange all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) tenutasi oggi a Strasburgo:

“Signor Presidente, stimati membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, signore e signori. Il passaggio da anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza a stare qui di fronte ai rappresentanti di 46 nazioni e 700 milioni di persone è un cambiamento profondo e surreale. L’esperienza dell’isolamento per anni in una piccola cella è difficile da comunicare; spoglia del senso di sé, lasciando solo la cruda essenza dell’esistenza. Non sono ancora pienamente equipaggiato per parlare di ciò che ho sopportato: la lotta incessante per rimanere in vita, sia fisicamente che mentalmente, né posso ancora parlare delle morti per impiccagione, omicidio e negligenza medica dei miei compagni di prigionia. Mi scuso in anticipo se le mie parole vacillano o se la mia presentazione non ha la raffinatezza che ci si potrebbe aspettare in un forum così illustre. L’isolamento ha preso il suo pedaggio, che sto cercando di allentare, ed esprimermi in questo contesto è una sfida. Tuttavia, la gravità di questa occasione e il peso dei problemi in questione mi costringono a mettere da parte le mie riserve e a parlarvi direttamente. Ho viaggiato molto, letteralmente e figurativamente, per essere qui oggi davanti a voi. Prima della nostra discussione o di rispondere a qualsiasi domanda possiate avere, desidero ringraziare PACE per la sua risoluzione del 2020 (2317), [ https://pace.coe.int/en/files/28508/html ], che ha affermato che la mia prigionia ha creato un pericoloso precedente per i giornalisti e ha osservato che il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura ha chiesto il mio rilascio. Sono anche grato per la dichiarazione del 2021 di PACE [ https://pace.coe.int/en/news/8446/pace-general-rapporteur-expresses-se ] esprimendo preoccupazione per i resoconti attendibili secondo cui i funzionari statunitensi avrebbero discusso del mio assassinio, chiedendo nuovamente il mio rapido rilascio. E mi congratulo con il Comitato per gli affari legali e i diritti umani per aver incaricato un rinomato relatore, Sunna Ævarsdóttir, di indagare sulle circostanze che circondano la mia detenzione e condanna e le conseguenti implicazioni per i diritti umani.

Tuttavia, come molti degli sforzi compiuti nel mio caso, che provenissero da parlamentari, presidenti, primi ministri, il Papa, funzionari e diplomatici delle Nazioni Unite, sindacati, professionisti legali e medici, accademici, attivisti o cittadini, nessuno di loro avrebbe dovuto essere necessario. Nessuna delle dichiarazioni, risoluzioni, relazioni, film, articoli, eventi, raccolte fondi, proteste e lettere degli ultimi 14 anni avrebbe dovuto essere necessaria. Ma tutti erano necessari perché senza di loro non avrei mai visto la luce del giorno.

Questo sforzo globale senza precedenti era necessario a causa delle protezioni legali che esistevano, molte esistevano solo sulla carta o non erano efficaci in un lasso di tempo lontanamente ragionevole.

Alla fine ho scelto la libertà rispetto a una giustizia irrealizzabile, dopo essere stato detenuto per anni e aver affrontato una condanna a 175 anni senza alcun rimedio efficace. La giustizia per me è ora preclusa, poiché il governo degli Stati Uniti ha insistito per iscritto nel suo accordo di patteggiamento che non posso presentare un caso alla Corte europea dei diritti dell’uomo o anche una richiesta di Freedom of Information Act per ciò che mi ha fatto a seguito della sua richiesta di estradizione. 

Voglio essere totalmente chiaro. Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi perché dopo anni di carcere perché mi sono dichiarato colpevole di giornalismo. Mi sono dichiarato colpevole di aver cercato informazioni da una fonte. Mi sono dichiarato colpevole di aver ottenuto informazioni da una fonte. E mi sono dichiarato colpevole di aver informato il pubblico di quali fossero quelle informazioni. Non mi sono dichiarato colpevole di nient’altro. Spero che la mia testimonianza di oggi possa servire a evidenziare le debolezze delle garanzie esistenti e ad aiutare coloro i cui casi sono meno visibili ma che sono ugualmente vulnerabili.

Mentre esco dalle segrete di Belmarsh, la verità ora sembra meno discernibile e mi rammarico di quanta strada sia stata persa durante quel periodo in cui l’espressione della verità è stata minata, attaccata, indebolita e diminuita. Vedo più impunità, più segretezza, più ritorsioni per aver detto la verità e più autocensura. È difficile non tracciare una linea tra l’azione penale del governo degli Stati Uniti nei miei confronti (il suo attraversamento del Rubicone criminalizzando a livello internazionale il giornalismo) e il clima freddo per la libertà di espressione attuale.

Quando ho fondato WikiLeaks, ero guidato da un semplice sogno: educare le persone su come funziona il mondo in modo che, attraverso la comprensione, potessimo realizzare qualcosa di meglio. Avere una mappa di dove siamo ci consente di capire dove potremmo andare. La conoscenza ci dà il potere di chiedere conto al potere e di chiedere giustizia dove non ce n’è.

Abbiamo ottenuto e pubblicato verità su decine di migliaia di vittime nascoste di guerra e altri orrori invisibili, su programmi di assassinio, rendition, tortura e sorveglianza di massa. Abbiamo rivelato non solo quando e dove queste cose sono accadute, ma spesso anche le politiche, gli accordi e le strutture dietro di esse. Quando abbiamo pubblicato Omicidio collaterale, il famigerato filmato della telecamera di un elicottero Apache statunitense che fa a pezzi con entusiasmo i giornalisti iracheni e i loro soccorritori, la realtà visiva della guerra moderna ha scioccato il mondo. Ma abbiamo anche usato l’interesse per questo video per indirizzare le persone alle politiche classificate su quando l’esercito statunitense potrebbe usare la forza letale in Iraq e quanti civili potrebbero essere uccisi prima di ottenere un’approvazione più elevata. Infatti, 40 anni della mia potenziale condanna a 175 anni sono stati per aver ottenuto e reso pubbliche queste politiche.

La visione politica pratica che mi è rimasta dopo essere stato immerso nelle sporche guerre e nelle operazioni segrete del mondo è semplice: smettiamo di imbavagliarci, torturarci e ucciderci a vicenda per una volta. Risolviamo questi aspetti fondamentali e altri processi politici, economici e scientifici avranno spazio per occuparsi del resto.

Il lavoro di WikiLeaks era profondamente radicato nei principi che questa Assemblea rappresenta. Il giornalismo che ha elevato la libertà di informazione e il diritto del pubblico a sapere ha trovato la sua naturale sede operativa in Europa.

Ho vissuto a Parigi e avevamo registrazioni aziendali formali in Francia e in Islanda. Il nostro staff giornalistico e tecnico era sparso in tutta Europa. Pubblicavamo nel mondo da server con sede in Francia, Germania e Norvegia. Ma 14 anni fa l’esercito degli Stati Uniti arrestò uno dei nostri presunti informatori, PFC Manning, un analista dell’intelligence statunitense di stanza in Iraq. Contemporaneamente, il governo degli Stati Uniti avviò un’indagine contro di me e i miei colleghi. Il governo degli Stati Uniti inviò illegalmente aerei di agenti in Islanda, pagò tangenti a un informatore per rubare il nostro prodotto di lavoro legale e giornalistico e, senza un processo formale, fece pressione su banche e servizi finanziari affinché bloccassero i nostri abbonamenti e congelassero i nostri conti. Il governo del Regno Unito prese parte ad alcune di queste rappresaglie. Ammise alla Corte europea dei diritti dell’uomo di aver spiato illegalmente i miei avvocati del Regno Unito durante quel periodo. In definitiva, queste molestie erano infondate dal punto di vista legale. Il Dipartimento di Giustizia del Presidente Obama scelse di non incriminarmi, riconoscendo che non era stato commesso alcun crimine.

Gli Stati Uniti non avevano mai perseguito un editore per aver pubblicato o ottenuto informazioni governative. Farlo richiederebbe una radicale e inquietante reinterpretazione della Costituzione degli Stati Uniti. Nel gennaio 2017, Obama ha anche commutato la condanna di Manning, che era stato condannato per essere una delle mie fonti. Tuttavia, nel febbraio 2017, il panorama è cambiato radicalmente. Il presidente Trump era stato eletto. Ha nominato due lupi con i cappelli MAGA: Mike Pompeo, un membro del Congresso del Kansas ed ex dirigente dell’industria delle armi, come direttore della CIA, e William Barr, un ex ufficiale della CIA, come procuratore generale degli Stati Uniti. Entro marzo 2017, WikiLeaks aveva esposto l’infiltrazione della CIA nei partiti politici francesi, il suo spionaggio sui leader francesi e tedeschi, il suo spionaggio sulla Banca centrale europea, sui ministeri dell’economia europei e i suoi ordini permanenti per spiare l’industria francese nel suo complesso. Abbiamo rivelato la vasta produzione di malware e virus della CIA, la sua sovversione delle catene di fornitura, la sua sovversione di software antivirus, auto, smart TV e iPhone.

Il direttore della CIA Pompeo ha lanciato una campagna di ritorsione. È ormai di pubblico dominio che, sotto la direzione esplicita di Pompeo, la CIA ha elaborato piani per rapirmi e assassinarmi all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra e ha autorizzato a perseguire i miei colleghi europei, sottoponendoci a furti, attacchi di hacking e alla diffusione di false informazioni. Anche mia moglie e mio figlio neonato sono stati presi di mira.

Un agente della CIA è stato assegnato in modo permanente al compito di rintracciare mia moglie e sono state date istruzioni per ottenere il DNA dal pannolino di mio figlio di sei mesi. Questa è la testimonianza di oltre 30 attuali ed ex funzionari dell’intelligence statunitense che hanno parlato alla stampa statunitense, che è stata ulteriormente corroborata dai documenti sequestrati in un procedimento penale intentato contro alcuni degli agenti della CIA coinvolti.

Il fatto che la CIA abbia preso di mira me stesso, la mia famiglia e i miei soci attraverso aggressivi mezzi extragiudiziali ed extraterritoriali fornisce una rara visione di come potenti organizzazioni di intelligence si impegnino nella repressione transnazionale. Tali repressioni non sono uniche. Ciò che è unico è che sappiamo così tanto su questo grazie a numerosi informatori e alle indagini giudiziarie in Spagna. 

Questa Assemblea non è estranea agli abusi extraterritoriali da parte della CIA. Il rapporto rivoluzionario del PACE sulle estradizioni della CIA in Europa ha rivelato come la CIA gestisse centri di detenzione segreti e conducesse estradizioni illegali sul suolo europeo, violando i diritti umani e il diritto internazionale. A febbraio di quest’anno, la presunta fonte di alcune delle nostre rivelazioni sulla CIA, l’ex agente della CIA Joshua Schulte, è stato condannato a quarant’anni di prigione in condizioni di estremo isolamento. Le sue finestre sono oscurate e una macchina per il rumore bianco suona 24 ore al giorno sopra la sua porta in modo che non possa nemmeno urlare. Queste condizioni sono più gravi di quelle trovate a Guantanamo Bay.

La repressione transnazionale è condotta anche abusando dei processi legali. La mancanza di efficaci garanzie contro questo significa che l’Europa è vulnerabile al dirottamento dei suoi trattati di mutua assistenza legale ed estradizione da parte di potenze straniere per perseguire le voci dissenzienti in Europa.

Nelle memorie di Mike Pompeo, che ho letto nella mia cella di prigione, l’ex direttore della CIA si vantava di come avesse fatto pressione sul procuratore generale degli Stati Uniti affinché avviasse un caso di estradizione contro di me in risposta alle nostre pubblicazioni sulla CIA. In effetti, acconsentendo agli sforzi di Pompeo, il procuratore generale degli Stati Uniti riaprì l’indagine contro di me che Obama aveva chiuso e arrestò di nuovo Manning, questa volta come testimone. Manning fu tenuta in prigione per oltre un anno e multata di mille dollari al giorno in un tentativo formale di costringerla a fornire una testimonianza segreta contro di me. Finì per tentare di togliersi la vita. Di solito pensiamo ai tentativi di costringere i giornalisti a testimoniare contro le loro fonti. Ma Manning era ora una fonte costretta a testimoniare contro il proprio giornalista.

A dicembre 2017, il direttore della CIA Pompeo aveva ottenuto ciò che voleva e il governo degli Stati Uniti aveva emesso un mandato di cattura per il Regno Unito per la mia estradizione. Il governo del Regno Unito ha tenuto segreto il mandato al pubblico per altri due anni, mentre esso, il governo degli Stati Uniti e il nuovo presidente dell’Ecuador si muovevano per definire il terreno politico, legale e diplomatico per il mio arresto. Quando nazioni potenti si sentono autorizzate a prendere di mira individui oltre i loro confini, quegli individui non hanno alcuna possibilità a meno che non ci siano forti garanzie in atto e uno stato disposto a farle rispettare. Senza di esse nessun individuo ha la speranza di difendersi dalle vaste risorse che uno stato aggressore può impiegare. Come se la situazione non fosse già abbastanza grave nel mio caso, il governo degli Stati Uniti ha affermato una nuova pericolosa posizione legale globale. Solo i cittadini statunitensi hanno diritto alla libertà di parola. Gli europei e le altre nazionalità non hanno diritto alla libertà di parola. Ma gli Stati Uniti affermano che il loro Espionage Act si applica ancora a loro indipendentemente da dove si trovino. Quindi gli europei in Europa devono obbedire alla legge sulla segretezza degli Stati Uniti senza alcuna difesa per quanto riguarda il governo degli Stati Uniti. Un americano a Parigi può parlare di cosa sta combinando il governo degli Stati Uniti, forse. Ma per un francese a Parigi, farlo è un crimine senza alcuna difesa e potrebbe essere estradato proprio come me.

Ora che un governo straniero ha formalmente affermato che gli europei non hanno diritti di libertà di parola, è stato creato un pericoloso precedente. Altri stati potenti seguiranno inevitabilmente l’esempio. La guerra in Ucraina ha già visto la criminalizzazione dei giornalisti in Russia, ma sulla base del precedente creato nella mia estradizione, non c’è nulla che impedisca alla Russia, o in effetti a qualsiasi altro stato, di prendere di mira giornalisti, editori o persino utenti dei social media europei, sostenendo che le loro leggi sulla segretezza sono state violate.

I diritti dei giornalisti e degli editori all’interno dello spazio europeo sono seriamente minacciati. La repressione transnazionale non può diventare la norma qui. Come una delle due grandi istituzioni di definizione delle norme al mondo, PACE deve agire. La criminalizzazione delle attività di raccolta di notizie è una minaccia per il giornalismo investigativo ovunque. Sono stato formalmente condannato, da una potenza straniera, per aver chiesto, ricevuto e pubblicato informazioni veritiere su quella potenza mentre ero in Europa.

La questione fondamentale è semplice: i giornalisti non dovrebbero essere perseguiti per aver fatto il loro lavoro. Il giornalismo non è un crimine; è un pilastro di una società libera e informata. Signor Presidente, illustri delegati, se l’Europa deve avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare la verità non siano privilegi di pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo che ciò che è successo nel mio caso non accada mai a nessun altro. Desidero esprimere la mia più profonda gratitudine a questa assemblea, ai conservatori, ai socialdemocratici, ai liberali, ai sinistrorsi, ai verdi e agli indipendenti, che mi hanno sostenuto durante questa dura prova e alle innumerevoli persone che hanno sostenuto instancabilmente la mia liberazione.

È incoraggiante sapere che in un mondo spesso diviso da ideologie e interessi, rimane un impegno condiviso per la protezione delle libertà umane essenziali. La libertà di espressione e tutto ciò che ne deriva è a un bivio oscuro. Temo che, a meno che istituzioni che stabiliscono norme come PACE non si sveglino di fronte alla gravità della situazione, sarà troppo tardi. Impegniamoci tutti a fare la nostra parte per garantire che la luce della libertà non si affievolisca mai, che la ricerca della verità continui a vivere e che le voci dei molti non vengano messe a tacere dagli interessi di pochi”.

TESTO ORIGINALE

Julian Assange’s full testimony to the Parliamentary Assembly of the Council of Europe (PACE) in Strasbourg today:

“Mr. Chairman, esteemed members of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe, ladies and gentlemen. The transition from years of confinement in a maximum-security prison to standing here before the representatives of 46 nations and 700 million people is a profound and surreal shift. The experience of isolation for years in a small cell is difficult to convey; it strips away one’s sense of self, leaving only the raw essence of existence. I am not yet fully equipped to speak about what I have endured – the relentless struggle to stay alive, both physically and mentally, nor can i speak yet about the deaths by hanging, murder, and medical neglect of my fellow prisoners. I apologise in advance if my words falter or if my presentation lacks the polish you might expect in such a distinguished forum. Isolation has taken its toll, which I am trying to unwind, and expressing myself in this setting is a challenge. However, the gravity of this occasion and the weight of the issues at hand compel me to set aside my reservations and speak to you directly. I have traveled a long way, literally and figuratively, to be before you today. Before our discussion or answering any questions you might have, I wish to thank PACE for its 2020 resolution (2317), [pace.coe.int/en/files/28508], which stated that my imprisonment set a dangerous precedent for journalists and noted that the UN Special Rapporteur on Torture called for my release. I’m also grateful for PACE’s 2021 statement [pace.coe.int/en/news/8446/p] expressing concern over credible reports that US officials discussed my assassination, again calling for my prompt release. And I commend the Legal Affairs and Human Rights Committee for commissioning a renowned rapporteur, Sunna Ævarsdóttir, to investigate the circumstances surrounding my detention and conviction and the consequent implications for human rights. However, like so many of the efforts made in my case – whether they were from parliamentarians, presidents, prime ministers, the Pope, UN officials and diplomats, unions, legal and medical professionals, academics, activists, or citizens – none of them should have been necessary. None of the statements, resolutions, reports, films, articles, events, fundraisers, protests, and letters over the last 14 years should have been necessary. But all of them were necessary because without them I never would have seen the light of day. This unprecedented global effort was needed because of the legal protections that did exist, many existed only on paper or were not effective in any remotely reasonable time frame. I eventually chose freedom over unrealisable justice, after being detained for years and facing a 175 year sentence with no effective remedy. Justice for me is now precluded, as the US government insisted in writing into its plea agreement that I cannot file a case at the European Court of Human Rights or even a freedom of information act request over what it did to me as a result of its extradition request. I want to be totally clear. I am not free today because the system worked. I am free today because after years of incarceration because I plead guilty to journalism. I plead guilty to seeking information from a source. I plead guilty to obtaining information from a source. And I plead guilty to informing the public what that information was. I did not plead guilty to anything else. I hope my testimony today can serve to highlight the weaknesses of the existing safeguards and to help those whose cases are less visible but who are equally vulnerable. As I emerge from the dungeon of Belmarsh, the truth now seems less discernible, and I regret how much ground has been lost during that time period when expressing the truth has been undermined, attacked, weakened, and diminished. I see more impunity, more secrecy, more retaliation for telling the truth and more self censorship. It is hard not to draw a line from the US government’s prosecution of me – its crossing the rubicon by internationally criminalising journalism – to the chilled climate for freedom of expression now. When I founded WikiLeaks, it was driven by a simple dream: to educate people about how the world works so that, through understanding, we might bring about something better. Having a map of where we are lets us understand where we might go. Knowledge empowers us to hold power to account and to demand justice where there is none. We obtained and published truths about tens of thousands of hidden casualties of war and other unseen horrors, about programs of assassination, rendition, torture, and mass surveillance. We revealed not just when and where these things happened but frequently the policies, the agreements, and structures behind them. When we published Collateral Murder, the infamous gun camera footage of a US Apache helicopter crew eagerly blowing to pieces Iraqi journalists and their rescuers, the visual reality of modern warfare shocked the world. But we also used interest in this video to direct people to the classified policies for when the US military could deploy lethal force in Iraq and how many civilians could be killed before gaining higher approval. In fact, 40 years of my potential 175-year sentence was for obtaining and releasing these policies. The practical political vision I was left with after being immersed in the world’s dirty wars and secret operations is simple: Let us stop gagging, torturing, and killing each other for a change. Get these fundamentals right and other political, economic, and scientific processes will have space to take care of the rest. WikiLeaks’ work was deeply rooted in the principles that this Assembly stands for. Journalism that elevated freedom of information and the public’s right to know found its natural operational home in Europe. I lived in Paris and we had formal corporate registrations in France and in Iceland. Our journalistic and technical staff were spread throughout Europe. We published to the world from servers in based in France, Germany, and Norway. But 14 years ago the United States military arrested one of our alleged whistleblowers, PFC Manning, a US intelligence analyst based in Iraq. The US government concurrently launched an investigation against me and my colleagues. The US government illicitly sent planes of agents to Iceland, paid bribes to an informer to steal our legal and journalistic work product, and without formal process pressured banks and financial services to block our subscriptions and freeze our accounts. The UK government took part in some of this retribution. It admitted at the European Court of Human Rights that it had unlawfully spied on my UK lawyers during this time. Ultimately this harassment was legally groundless. President Obama’s Justice Department chose not to indict me, recognizing that no crime had been committed. The United States had never before prosecuted a publisher for publishing or obtaining government information. To do so would require a radical and ominous reinterpretation of the US Constitution. In January 2017, Obama also commuted the sentence of Manning, who had been convicted of being one of my sources. However, in February 2017, the landscape changed dramatically. President Trump had been elected. He appointed two wolves in MAGA hats: Mike Pompeo, a Kansas congressman and former arms industry executive, as CIA Director, and William Barr, a former CIA officer, as US Attorney General. By March 2017, WikiLeaks had exposed the CIA’s infiltration of French political parties, its spying on French and German leaders, its spying on the European Central Bank, European economics ministries, and its standing orders to spy on French industry as a whole. We revealed the CIA’s vast production of malware and viruses, its subversion of supply chains, its subversion of antivirus software, cars, smart TVs and iPhones. CIA Director Pompeo launched a campaign of retribution. It is now a matter of public record that under Pompeo’s explicit direction, the CIA drew up plans to kidnap and to assassinate me within the Ecuadorian Embassy in London and authorized going after my European colleagues, subjecting us to theft, hacking attacks, and the planting of false information. My wife and my infant son were also targeted. A CIA asset was permanently assigned to track my wife and instructions were given to obtain DNA from my six month old son’s nappy. This is the testimony of more than 30 current and former US intelligence officials speaking to the US press, which has been additionally corroborated by records seized in a prosecution brought against some of the CIA agents involved. The CIA’s targeting of myself, my family and my associates through aggressive extrajudicial and extraterritorial means provides a rare insight into how powerful intelligence organisations engage in transnational repression. Such repressions are not unique. What is unique is that we know so much about this one due to numerous whistleblowers and to judicial investigations in Spain. This Assembly is no stranger to extraterritorial abuses by the CIA. PACE’s groundbreaking report on CIA renditions in Europe exposed how the CIA operated secret detention centres and conducted unlawful renditions on European soil, violating human rights and international law. In February this year, the alleged source of some of our CIA revelations, former CIA officer Joshua Schulte, was sentenced to forty years in prison under conditions of extreme isolation. His windows are blacked out, and a white noise machine plays 24 hours a day over his door so that he cannot even shout through it. These conditions are more severe than those found in Guantanamo Bay. Transnational repression is also conducted by abusing legal processes. The lack of effective safeguards against this means that Europe is vulnerable to having its mutual legal assistance and extradition treaties hijacked by foreign powers to go after dissenting voices in Europe. In Mike Pompeo’s memoirs, which I read in my prison cell, the former CIA Director bragged about how he pressured the US Attorney General to bring an extradition case against me in response to our publications about the CIA. Indeed, acceding to Pompeo’s efforts, the US Attorney General reopened the investigation against me that Obama had closed and re-arrested Manning, this time as a witness. Manning was held in prison for over a year and fined a thousand dollars a day in a formal attempt to coerce her into providing secret testimony against me. She ended up attempting to take her own life. We usually think of attempts to force journalists to testify against their sources. But Manning was now a source being forced to testify against their journalist. By December 2017, CIA Director Pompeo had got his way, and the US government issued a warrant to the UK for my extradition. The UK government kept the warrant secret from the public for two more years, while it, the US government, and the new president of Ecuador moved to shape the political, legal, and diplomatic ground for my arrest. When powerful nations feel entitled to target individuals beyond their borders, those individuals do not stand a chance unless there are strong safeguards in place and a state willing to enforce them. Without them no individual has a hope of defending themselves against the vast resources that a state aggressor can deploy. If the situation were not already bad enough in my case, the US government asserted a dangerous new global legal position. Only US citizens have free speech rights. Europeans and other nationalities do not have free speech rights. But the US claims its Espionage Act still applies to them regardless of where they are. So Europeans in Europe must obey US secrecy law with no defences at all as far as the US government is concerned. An American in Paris can talk about what the US government is up to – perhaps. But for a Frenchman in Paris, to do so is a crime without any defence and he may be extradited just like me. Now that one foreign government has formally asserted that Europeans have no free speech rights, a dangerous precedent has been set. Other powerful states will inevitably follow suit. The war in Ukraine has already seen the criminalisation of journalists in Russia, but based on the precedent set in my extradition, there is nothing to stop Russia, or indeed any other state, from targeting European journalists, publishers, or even social media users, by claiming that their secrecy laws have been violated. The rights of journalists and publishers within the European space are seriously threatened. Transnational repression cannot become the norm here. As one of the world’s two great norm-setting institutions, PACE must act. The criminalisation of newsgathering activities is a threat to investigative journalism everywhere. I was formally convicted, by a foreign power, for asking for, receiving, and publishing truthful information about that power while I was in Europe. The fundamental issue is simple: Journalists should not be prosecuted for doing their jobs. Journalism is not a crime; it is a pillar of a free and informed society. Mr Chairman, distinguished delegates, if Europe is to have a future where the freedom to speak and the freedom to publish the truth are not privileges enjoyed by a few but rights guaranteed to all then it must act so that what has happened in my case never happens to anyone else. I wish to express my deepest gratitude to this assembly, to the conservatives, social democrats, liberals, leftists, greens, and independents – who have supported me throughout this ordeal and to the countless individuals who have advocated tirelessly for my release. It is heartening to know that in a world often divided by ideology and interests, there remains a shared commitment to the protection of essential human liberties. Freedom of expression and all that flows from it is at a dark crossroad. I fear that unless norm setting institutions like PACE wake up to the gravity of the situation it will be too late. Let us all commit to doing our part to ensure that the light of freedom never dims, that the pursuit of truth will live on, and that the voices of the many are not silenced by the interests of the few.”

E.P. THOMPSON SULLO STALINISMO (1978)

Un brano del grande storico della classe operaia E.P. Thompson da The poverty of theory, 1978.
Non so chi abbia fatto rivivere per primo “l’umanesimo socialista” come motto dell’opposizione comunista libertaria nel 1956, sebbene certamente The New Reasoner lo abbia portato in alcune parti del mondo di lingua inglese. Ma sorse simultaneamente in cento luoghi e su diecimila labbra. Fu espresso da poeti in Polonia, Russia, Ungheria, Cecoslovacchia; dai delegati di fabbrica a Budapest; da militanti comunisti all’ottavo plenum del Partito Polacco; da un premier comunista (Imre Nagy), assassinato per le sue pene. Era sulla bocca delle donne e degli uomini usciti dal carcere e dei parenti e amici di quelli che non sono mai usciti.
Dopo il 4 novembre 1956, quando le forze sovietiche irruppero a Budapest, fu avviata un’azione disciplinare generale attraverso il movimento comunista internazionale: reimporre i controlli disciplinari di Stato o di Partito, ristabilire l’ortodossia ideologica – in effetti, ricostruire , in condizioni mutate, lo stalinismo senza Stalin. Questo avvenne, in circostanze diverse e paesi diversi, con un ritmo diverso e in forme diverse; in un luogo, una palpabile azione di polizia (Nagy fucilato, Tibor Dery incarcerato, militanti antistalinisti dei Consigli Operai di Budapest l’una o l’altra cosa); in un altro luogo, l’espulsione dei ‘revisionisti’, la chiusura dei giornali dissidenti, il ripristino delle più rigide norme staliniste del centralismo democratico. Accanto a questo, naturalmente, c’era un’azione di polizia ideologica. Il ‘nemico principale’ era considerato, non il trotskismo (che era una tendenza subordinata all’ interno dell’opposizione), ma il ‘revisionismo’, i ‘rinnegati’, gli ‘elementi piccolo borghesi’, e il loro virus ideologico era identificato come ‘moralismo’ e come – ‘umanesimo socialista.’
(…) Il nemico principale era l’umanesimo socialista.

Continue reading E.P. THOMPSON SULLO STALINISMO (1978)

Jeremy Bellamy Foster: il Fronte Popolare e la Montly Review

Mi è arrivata oggi una mail dalla Montly Review per la campagna di abbonamenti e donazioni. Ne ho tradotto una parte perchè presenta un’interessante ricostruzione storica e anche una succinta analisi di fase. Buona lettura!

La Monthly Review è emersa settantacinque anni fa dall’ambiente del Fronte Popolare degli anni della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale, che da allora ha costituito una parte fondamentale della nostra identità. L’importanza storica di questo aspetto è forse meglio colta da Gerald Horne, autore di una serie di libri di riferimento della Monthly Review Press, tra cui Jazz and Justice (2019), che ha scritto:

Il Fronte Popolare [fu] un movimento internazionale che esercitò una potente influenza sulla cultura statunitense negli anni Trenta e Quaranta. Iniziato durante la Grande Depressione e spesso guidato dal Partito Comunista degli Stati Uniti, il Fronte Popolare raggruppava sotto un unico ombrello le forze radicali e liberali animate dall’antifascismo. Basato su ampie campagne di organizzazione del lavoro, lottò contro il Jim Crow nel Sud, condusse campagne di solidarietà per cause internazionali come la Spagna repubblicana e diede un sostegno di base ai programmi del New Deal. All’apice della sua forza, il Fronte Popolare diede vita a una tendenza che non superò la fine della Seconda Guerra Mondiale: Comunisti, liberali e persino alcuni centristi che agivano di concerto, soprattutto su basi antifasciste, pro-lavoro e antirazziste (Criterion, 21 aprile 2022).

La scomparsa del Fronte Popolare come movimento rilevante negli Stati Uniti può essere ricondotta alla sconfitta politica dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Henry A. Wallace, candidato del Partito Progressista alle elezioni presidenziali del 1948. Continue reading Jeremy Bellamy Foster: il Fronte Popolare e la Montly Review

Fredric Jameson: Nient’altro che una merce. Su Lukacs

Nothing but a commodity è il titolo della recensione di Fredric Jameson del libro di Georg Lukács, A Defence of History and Class Consciousness: Tailism and the Dialectic, pubblicata su Radical Philosophy n. 110 del nov.dic, 2001. Il libro è stato meritoriamente pubblicato in Italia dalle edizioni Alegre con il titolo Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica. Pubblico questa traduzione come omaggio alla memoria dell’autore de “Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo” scomparso ieri. 

 

Immagino che per i marxisti occidentali (come me) Storia e coscienza di classe abbia significato un’analisi ideologica piuttosto che quelli che Lukács chiamava ‘problemi organizzativi’. In altre parole, questo libro avrà rappresentato una svolta nello studio delle ‘antinomie della coscienza borghese’ (sottotitolo di uno dei suoi capitoli più famosi) piuttosto che quelle argomentazioni organizzate intorno a una coscienza ‘imputata’ al proletariato senza alcuna prova empirica. Da questa prospettiva, quindi, Lukács viene letto come il filosofo di un marxismo prodotto sottraendo il leninismo proprio a quel marxismo-leninismo che ne ha reso possibile la produzione in prima battuta.

Ma non è forse tutto positivo? E l’attuale consenso non è forse basato sulla sensazione che, a prescindere dallo status del marxismo stesso – vivo o morto – è il leninismo a essere storicamente morto per sempre: come testimonia la moltitudine di revival anarchici che si moltiplicano per riempire quel vuoto nell’attuale politica e attivismo radicale?

Per questa lettura, è opportuno che l’adorazione dell’eroe di Lukács Lenin: A Study on the Unity of His Thought sia stato pubblicato separatamente, un anno dopo History and Class Consciousness e un mese dopo la morte di Lenin. È opportuno anche che il volume precedente non includesse alcun numero di altri saggi politici contemporanei, e che ciò che Lukács definì “cruciale” in quel volume – è, come sottolinea John Rees, “Towards a Methodology of the Problem of Organization” – sia relegato alla sua fine, dove pochi lo avranno raggiunto. Ma ora è emerso un altro testo di questo stesso periodo. (La sorprendente resurrezione di un certo numero di testi antichi “perduti” di Lukács dai loro polverosi caveau bancari o, come in questo caso, dagli archivi sovietici, è un’avventura archeologica che aspetta di essere raccontata.) Questo nuovo testo, una risposta ai critici di Storia e coscienza di classe all’interno del partito e redatta nel 1925 o 1926, rafforza la visione finora minoritaria, non solo che l’autore del classico filosofico in questione fosse un leninista, ma che il testo stesso non è pienamente comprensibile se non come contributo al marxismo-leninismo. E così, sentiamo quasi lo stesso Lenin mormorare, capita che per ottant’anni nessun marxista abbia mai capito correttamente Storia e coscienza di classe! Continue reading Fredric Jameson: Nient’altro che una merce. Su Lukacs