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Rosa Luxemburg: la guerra e i lavoratori, autodifesa in tribunale (1914)

L’autodifesa di Rosa Luxemburg pronunciata al Tribunale di Francoforte nel febbraio 1914 contro l’accusa d’incitamento alla diserzione.

Come tanti socialisti e anarchici Rosa finì in prigione per la sua opposizione alla guerra imperialista. Uscì dalla galera l’8 novembre 1918. Il giorno dopo la rivoluzione tedesca pose fine alla Prima Guerra Mondiale. I consigli dei marinai, dei soldati e degli operai avevano costretto in pochi giorni il kaiser all’abdicazione. A chi ci chiede “da che parte state?” rispondiamo che stiamo dalla aprte di Rosa e dell’Internazionale. Buona lettura!

I miei difensori hanno giuridicamente chiarito in modo esauriente gli elementi di fatto dell’accusa nella loro futilità. Vorrei chiarire quindi l’accusa sotto un altro punto di vista. Tanto nella arringa odierna del procuratore di stato quanto nella sua accusa scritta ha una parte importante non soltanto il tenore letterale delle mie espressioni incriminate, ma ancor più la chiosa e la tendenza che avrebbe dovuto essere inerente a queste parole. Ripetutamente e con il massimo vigore è stato rilevato dal procuratore di stato ciò che secondo il suo parere io avrei voluto e saputo, allorché facevo le mie dichiarazioni in quelle riunioni. Ora, nei riguardi del momento psicologico interno del mio dire, sulla mia coscienza, nessuno può essere più competente di me e più di me in condizione di dare il chiarimento più completo e di fondo.
E io voglio premettere un rilievo: ben volentieri sono disposta a dare un totale chiarimento al procuratore di stato e a loro, signori giudici. Per eliminare il fattore principale, vorrei spiegare come ciò che il procuratore di stato, appoggiato dalle dichiarazioni dei suoi principali testimoni, ha descritto come corso delle mie idee, come mie intenzioni e miei sentimenti, non sia che una caricatura piatta, priva di spirito, tanto dei miei discorsi come in generale del metodo di agitazione socialdemocratico. Sentendo l’esposizione del procuratore di stato mi veniva da ridere interiormente e pensavo: qui abbiamo di nuovo un esempio classico di come una cultura normale sia insufficiente a comprendere il pensiero socialdemocratico, il nostro mondo ideale in tutta la sua complessità, sottigliezza scientifica e profondità storica quando l’appartenenza a una classe sociale ne impedisce la visione. Se loro, signori giudici, avessero chiesto al più semplice, illetterato operaio delle migliaia che frequentano le mie riunioni, avrebbero ottenuto da lui un quadro ben differente, avrebbero tratto ben altra impressione dei miei discorsi. Sì, i semplici uomini e donne del popolo lavoratore sono in grado di afferrare il nostro pensiero, che invece nel cervello di un procuratore di stato prussiano si riflette come in uno specchio curvo in forma di caricatura. Voglio adesso dimostrare ciò più minutamente in alcuni punti. Continue reading Rosa Luxemburg: la guerra e i lavoratori, autodifesa in tribunale (1914)

Richard Falk: La guerra in Ucraina evolve verso l’Armageddon

Churchill, Roosevelt e Stalin a Yalta, febbraio 1945. Foto: US Army.

Richard Falk è Albert G. Milbank Professor Emeritus of International Law presso la Princeton University, Chair of Global law, Queen Mary University London, e Research Associate, Orfalea Center of Global Studies, UCSB. Questo articolo, pubblicato il 21 ottobre su Counterpunch, contiene un’analisi molto in sintonia con le cose che abbiamo detto e scritto sulla guerra fin dai primi giorni. Ci vediamo il 5 novembre a Roma alla manifestazione per la pace.

Disdegnare la diplomazia, cercare la vittoria

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022 la risposta della NATO, principalmente articolata e materialmente attuata dagli Stati Uniti, è stata quella di versare grandi quantità di petrolio sulle fiamme del conflitto, schernendo la Russia e il suo leader, aumentando la portata della violenza, l’entità della sofferenza umana e aumentando pericolosamente il rischio di un esito disastroso. Non solo Washington ha mobilitato il mondo per denunciare l'”aggressione” della Russia, ma ha fornito un flusso costante di armi avanzate in grandi quantità agli ucraini per resistere all’attacco russo e persino organizzare contrattacchi. Gli Stati Uniti hanno fatto tutto il possibile all’ONU e altrove per costruire una coalizione punitiva ostile alla Russia, ma hanno unito a ciò una serie di sanzioni e la demonizzazione di Putin come famigerato criminale di guerra inadatto a governare e meritevole di incriminazione e perseguimento.

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Naomi Klein: Il greenwashing per uno stato di polizia: la verità dietro la mascherata della Cop27 egiziana

Naomi Klein ha scritto per The Intercept e Guardian un lungo articolo sulla prossima Cop 27 sul clima che a novembre 2022 si terrà in Egitto. Giustamente segnala che il movimento per il clima non dovrebbe prestarsi al gioco di un regime militare che tiene in carcere sessantamila prigionieri politici. Noi in Italia ben conosciamo l’ipocrisia di una politica che non ha voluto rischiare la rottura con Al Sisi neanche di fronte all’assassinio di Giulio Regeni. Klein segnala che i governi inglese e anche quello tedesco (compresi i verdi nuova versione Nato) fanno tranquillamente affari con l’Egitto. Nelle prossime settimane sarà bene moltiplicare le iniziative per denunciare la repressione in Egitto cercando di guastare la festa al dittatore con la richiesta della liberazione dei prigionieri d’opinione. Purtroppo le emissioni crescono e ora le Cop diventano occasioni anche per riverniciare di verde le dittature. Intanto Alaa Abd El-Fattah, detenuto nelle carceri egiziane, ha superato i 200 giorni di sciopero della fame. Abbiamo lanciato questa petizione per chiedere al governo italiano di non partecipare alla Cop 27 che vi invito a firmare.

Non si sa che fine ha fatto la lettera perduta sul clima. Tutto ciò che si sa è questo: Alaa Abd El-Fattah, uno dei prigionieri politici di più alto profilo d’Egitto, l’ha scritto durante lo sciopero della fame nella sua cella del Cairo il mese scorso. Riguardava, ha spiegato in seguito, “il riscaldamento globale e le notizie dal Pakistan”. Era preoccupato per le inondazioni che hanno causato lo sfollamento di 33 milioni di persone e per ciò che quel cataclisma prediceva sulle difficoltà climatiche e sulle risposte meschine dello stato a venire.

Tecnologo e intellettuale visionario, il nome di Abd El-Fattah – insieme all’hashtag #FreeAlaa – è diventato sinonimo della rivoluzione pro-democrazia del 2011 che ha trasformato la piazza Tahrir del Cairo in un mare in tempesta di giovani che ha posto fine a tre decenni di governo del dittatore egiziano Hosni Mubarak. Dietro le sbarre quasi ininterrottamente negli ultimi dieci anni, Abd El-Fattah è in grado di inviare e ricevere lettere una volta alla settimana. All’inizio di quest’anno, una raccolta dei suoi scritti dalla prigione è stata pubblicata in un libro ampiamente celebrato Non siete stati ancora sconfitti. (questa edizione italiana).

La famiglia e gli amici di Abd El-Fattah vivono per quelle lettere settimanali. Soprattutto dal 2 aprile, quando ha iniziato lo sciopero della fame, ingerendo solo acqua e sale all’inizio, e poi solo 100 calorie al giorno (il corpo ha bisogno di circa 2.000). Lo sciopero di Abd El-Fattah è una protesta contro la sua detenzione per il reato di “diffusione di notizie false” – apparentemente perché ha condiviso un post su Facebook sulla tortura di un altro prigioniero. Tutti sanno, tuttavia, che la sua prigionia ha lo scopo di inviare un messaggio a tutti i futuri giovani rivoluzionari che hanno in testa sogni democratici. Con il suo sciopero, Abd El-Fattah sta tentando di fare pressione sui suoi carcerieri per ottenere importanti concessioni, compreso l’accesso al consolato britannico (la madre di Abd El-Fattah è nata in Inghilterra, quindi ha potuto ottenere la cittadinanza britannica). I suoi carcerieri finora si sono rifiutati, e così continua a deperire. “È diventato uno scheletro con una mente lucida”, ha detto di recente sua sorella Mona Seif.

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CHANTAL MOUFFE: NOI E LORO. SU MELENCHON, LA NUPES E IL POPULISMO DI SINISTRA

Ho tradotto un articolo della filosofa belga Chantal Mouffe, uscito sul blog della New Left Review, sulle recenti elezioni francesi e le strategie di Jean Luc Melenchon e La France Insoumise. Chantal Mouffe – teorica del populismo di sinistra con il suo compagno Ernesto Laclau, scomparso nel 2014 – è stata definita da Le Monde “la filosofa che ispira Melenchon” e  la madrina di Podemos. 

Il forte risultato di Jean-Luc Mélenchon al primo turno delle elezioni presidenziali francesi di quest’anno ha mostrato che il populismo di sinistra non è una breve ‘parentesi’ seguita da un ritorno a una forma più tradizionale di politica di classe. Naturalmente, il momento populista “caldo” a cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio in Europa occidentale è ora passato e molti dei suoi portabandiera – Syriza, Podemos, Corbyn’s Labour – hanno subito battute d’arresto. Ma ciò non significa che il populismo di sinistra sia diventato obsoleto. Sarebbe sbagliato respingere una strategia politica solo perché alcuni dei suoi aderenti non hanno raggiunto i loro obiettivi al primo tentativo. La politica, come ci ricorda Max Weber, “consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà”. Continue reading CHANTAL MOUFFE: NOI E LORO. SU MELENCHON, LA NUPES E IL POPULISMO DI SINISTRA

Assange e noi

Oggi giornata mondiale #24hAssange. Vi propongo l’articolo che ho scritto per la rivista Left, ripubblicato nel libro collettivo Free Assange che vi consiglio di acquistare on line. Va ringraziata la redazione di Left per la costante attenzione al caso. Salviamo Julian Assange! Buona lettura.
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“Guardiamoci, se ne abbiamo il coraggio, e vediamo quel che avviene di noi”. John Pilger ha aperto uno dei suoi articoli in difesa di Assange citando la celebre prefazione di Jean Paul Sartre a “I dannati della terra” di Franz Fanon, un testo fondamentale dell’anticolonialismo degli anni sessanta.
E’ bene leggere qualche frammento di quel j’accuse:
“Occorre affrontare questo spettacolo inaspettato: lo “streap-tease” del nostro umanesimo. Eccolo qui tutto nudo, non bello: non era che un’ideologia bugiarda, la squisita giustificazione del saccheggio; le sue tenerezze e il suo preziosismo garantivano le nostre aggressioni. Voi sapete bene che siamo degli sfruttatori. Sapete bene che abbiam preso l’oro e i metalli, poi il petrolio dei «continenti nuovi» e li abbiamo riportati nelle nostre vecchie metropoli. E quel mostro supereuropeo, l’America del Nord? Che cicaleccio: libertà, uguaglianza, fratellanza, amore, onore, patria? Questo non c’impediva di tenere nello stesso tempo discorsi razzisti. Spiriti buoni, liberali e delicati – neocolonialisti, insomma – si pretendevano urtati da questa incongruenza; errore o malafede: niente di più congruo, da noi, che un umanesimo razzista, poiché l’europeo non ha potuto farsi uomo se non fabbricando degli schiavi e dei mostri”.

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