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Montly Review: il movimento per la pace negli anni ’80 fermò riarmo nucleare. Le strategie nucleari USA e i nuovi missili in Germania

Da leggere e meditare l’editoriale del numero di settembre della rivista Montly Review. “Le “Notes from the Editors” di questo mese raccontano la storia dei preparativi degli Stati Uniti per una guerra nucleare “prolungata e limitata” e il ripetuto rifiuto di Washington di rispettare gli accordi internazionali in materia di armamenti nucleari. Con il recente annuncio che gli Stati Uniti posizioneranno missili Tomahawk con capacità nucleare sul suolo tedesco, a pochi minuti di distanza da Mosca, questa storia è ora, in modo preoccupante, più rilevante che mai. Buona lettura!
Nel luglio 1980, il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, su istigazione del suo consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, firmò la Direttiva presidenziale segreta 59 (PD-59, declassificata nel 2012) volta a sviluppare la capacità di combattere una guerra nucleare prolungata e limitata. La PD-59 era un piano per decimare la struttura di comando e controllo e di comunicazione dell’Unione Sovietica, insieme ai suoi sistemi di armi nucleari, in un primo attacco counterforce, privando così l’URSS della capacità di secondo attacco. Mentre questo piano segreto veniva messo in atto, Washington dichiarava pubblicamente la sua intenzione di installare centinaia di missili da crociera e Pershing II a medio raggio in Europa. Questa era apparentemente una risposta allo sviluppo russo di un missile nucleare a medio raggio, l’SS-20. Ma in realtà, come indicato dalla PD-59, era diretta a preparare una guerra nucleare “limitata”, utilizzando armi counterforce e basato sullo sviluppo di una capacità di primo attacco. Nel dicembre 1979, il Senato degli Stati Uniti si rifiutò di ratificare il trattato SALT II che limitava le armi nucleari strategiche, apparentemente sulla base dell’intervento sovietico in Afghanistan (una trappola per i sovietici avviata da Brzezinski in un altro piano segreto diretto a mobilitare i mujaheddin in Afghanistan, con terribili conseguenze a lungo termine che si sarebbero estese fino al secolo attuale) (“Jimmy Carter’s Controversial Nuclear Targeting Directive PD-509 Declassified” documents, Nuclear Vault, National Security Archive, George Washington University, 14 settembre 2012; William Burr, “How to Fight a Nuclear War“, Foreign Policy, 14 settembre 2012; “1998 Interview with Zbigniew Brzezinski on Afghanistan in Le Nouvel Observateur“, University of Arizona, dgibbs.arizona.edu).

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ISAAC DEUTSCHEER, MAOISMO: ORIGINI, CONTESTO E PROSPETTIVE (1964)

Questo articolo del grande storico, autore della ormai classica biografia di Trotsky, fu pubblicato su THE SOCIALIST REGISTER nel 1964, ben prima dunque della Rivoluzione Culturale. Colpisce che non vi sia menzione della grande carestia causata dal Grande Balzo in avanti. Buona lettura!

Che cosa rappresenta il maoismo? Cosa rappresenta come idea politica e come corrente del comunismo contemporaneo? La necessità di chiarire queste domande è diventata ancora più urgente perché il maoismo è ora in aperta competizione con altre scuole di pensiero comuniste per il riconoscimento internazionale. Eppure, prima di entrare in questa competizione, il maoismo è esistito come corrente, e poi come tendenza dominante, del comunismo cinese per trenta o trentacinque anni. È sotto la sua bandiera che le principali forze della rivoluzione cinese hanno combattuto la più lunga guerra civile della storia moderna e che hanno ottenuto la vittoria nel 1949, compiendo la più grande breccia nel capitalismo mondiale dalla Rivoluzione d’Ottobre e liberando l’Unione Sovietica dall’isolamento. Non sorprende che il maoismo sia finalmente riuscito ad avanzare politicamente oltre i confini nazionali e a rivendicare l’attenzione mondiale per le sue idee. Ciò che sorprende è che non l’abbia fatto prima e che sia rimasto a lungo chiuso nei confini della sua esperienza nazionale.
Il maoismo presenta, a questo proposito, uno stridente contrasto con il leninismo.
Anche quest’ultimo è esistito inizialmente come scuola di pensiero puramente russa, ma non per molto. Nel 1915, dopo il crollo della Seconda Internazionale, Lenin era già la figura centrale del movimento per la Terza Internazionale, il suo iniziatore e ispiratore: il bolscevismo, come fazione del Partito socialdemocratico russo, non aveva allora più di un decennio. Prima di allora i bolscevichi, come gli altri socialisti russi, avevano vissuto intensamente tutti i problemi del marxismo internazionale, assorbito tutte le sue esperienze, partecipato a tutte le sue controversie e si sentivano legati ad esso da vincoli indissolubili di solidarietà intellettuale, morale e politica.
Il maoismo è stato fin dall’inizio all’altezza del bolscevismo per quanto riguarda la vitalità e il dinamismo rivoluzionario, ma si differenziava da esso per una relativa ristrettezza di orizzonti e per la mancanza di un contatto diretto con gli sviluppi critici del marxismo contemporaneo. Si esita a dirlo, ma è vero che la rivoluzione cinese, che nella sua portata è la più grande di tutte le rivoluzioni della storia, è stata guidata dal più provinciale e “insulare” dei partiti rivoluzionari. Questo paradosso mette ancora più in risalto la forza intrinseca della rivoluzione stessa.

Cosa spiega questo paradosso? Uno storico nota innanzitutto la totale assenza di qualsiasi influenza socialista-marxista in Cina prima del 19171.
Fin dalla metà del XIX secolo, dalle guerre dell’oppio e dalla ribellione dei Taiping, passando per la rivolta dei Boxer e fino al rovesciamento della dinastia Manciù nel 1911, la Cina era stata animata dall’antimperialismo e dalla rivolta agraria; ma i movimenti e le società segrete coinvolti nelle rivolte erano tutti di carattere tradizionale e basati su antichi culti religiosi. Anche il liberalismo e il radicalismo borghese non erano penetrati oltre la Grande Muraglia fino all’inizio di questo secolo: Sun Yat-sen formulò il suo programma repubblicano solo nel 1905. A quel tempo il movimento laburista giapponese, di cui Sen Katayama era il famoso portavoce nell’Internazionale socialista, aveva ufficialmente abbracciato il marxismo. In Russia l’invasione delle idee socialiste occidentali era iniziata a metà del XIX secolo e da allora il marxismo aveva attanagliato le menti di tutti i rivoluzionari, populisti e socialdemocratici. Come disse Lenin, il bolscevismo si reggeva sulle spalle di molte generazioni di rivoluzionari russi che avevano respirato l’aria della filosofia e del socialismo europei.
Il comunismo cinese non ha avuto una simile ascendenza. La struttura arcaica della società cinese e l’autosufficienza profondamente radicata della sua tradizione culturale erano impermeabili ai fermenti ideologici europei.

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JOHN J. MEARSHEIMER: CHI HA CAUSATO LA GUERRA IN UCRAINA?

La questione di chi sia responsabile della causa della guerra in Ucraina è stata una questione profondamente controversa da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022.
La risposta a questa domanda ha un’enorme importanza perché la guerra è stata un disastro per una serie di ragioni, la più importante delle quali è che l’Ucraina è stata di fatto distrutta. Ha perso una parte considerevole del suo territorio ed è probabile che perda di più, la sua economia è a pezzi, un gran numero di ucraini sono sfollati all’interno o sono fuggiti dal paese, e ha subito centinaia di migliaia di vittime. Naturalmente, anche la Russia ha pagato un prezzo di sangue significativo. Sul piano strategico, le relazioni tra la Russia e l’Europa, per non parlare della Russia e dell’Ucraina, sono state avvelenate nel prossimo futuro, il che significa che la minaccia di una grande guerra in Europa sarà con noi ben dopo che la guerra in Ucraina si trasformerà in un conflitto congelato. Chi è responsabile di questo disastro è una questione che non scomparirà presto e se qualcosa è probabile che diventi più evidente man mano che l’entità del disastro diventa più evidente per più persone.

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György Lukács: Lo slogan fascista “Liberalismo = Marxismo” (1931)

Questo articolo di György Lukács – Ueber das Schlagwort “Liberalismus und Marxismus” , in Der rote Aufbau, 15, 1931 – fu pubblicato nel periodo in cui il Comintern stalinizzato impose la linea sciagurata del “socialfascismo“, superata purtroppo soltanto dopo l’ascesa di Hitler quando nel 1935 il VII congresso dell’Internazionale Comunista lanciò la linea dei Fronti Popolari. Tralasciando questo aspetto (ne parlo in un lungo articolo su Umberto Terracini) credo che questo articolo di Lukacs sia molto utile per le evidenti analogie con il presente. Anche oggi l’ultradestra attacca il “marxismo culturale”, la sinistra fucsia, ecc. ecc. presentandosi come destra sociale che dà voce alle istanze delle classi popolari. Segnalo il blog dedicato a Lukacs che è una vera miniera. Buona lettura.

La contraddizione interna della situazione di classe del fascismo si manifesta necessariamente in tutte le sue posizioni ideologiche e polemiche. I fascisti stessi lo sentono fortemente. Nelle grandi opere teoriche questa contraddizione viene coperta con giri di parole, con costruzioni “mitiche” della storia, con sofismi filosofici eclettici, ecc. Ma nella letteratura di propaganda, dove si è seri e ci si rivolge direttamente alle masse proletarie o proletarizzate, si è costretti a guardarle con chiarezza. E infatti Goebbels nel suo pamphlet Der Nazi-Sozi (Il nazista sociale), concepito in forma di dialogo, formula questa contraddizione come obiezione alla propaganda fascista in questi termini: “Questo significa, quindi, se ho capito bene: il NSDAP è un partito proletario con una leadership borghese”. La confutazione non è ovviamente così chiara come l’esposizione della difficoltà. Goebbels è costretto a eludere la questione del contenuto di classe del fascismo con frasi completamente vuote. “Non siamo né borghesi né proletari. Il concetto di borghese è morto e quello di proletario non tornerà mai in vita”, scrive nella sua risposta e continua la sua ‘confutazione’ nello stesso stile. Queste parole vuote si ripetono nelle più svariate varianti in tutti gli scritti fascisti. Ed è comprensibile. Esse, infatti, rappresentano la difficoltà centrale della propaganda fascista presso le masse lavoratrici. Queste masse, come risultato della crescente crisi del sistema capitalistico, si oppongono al capitalismo in modo sempre più energico. Il fascismo può guadagnare terreno tra le masse solo se fa appello ai loro istinti anticapitalistici (che non significano ancora opposizione consapevole al capitalismo), se li stimola, li sviluppa e ne fa la base dell’organizzazione e dell’azione. Ma l’intero movimento di massa fascista – la cui base di massa è proprio questo istintivo anticapitalismo delle masse – è allo stesso tempo asservito agli interessi del grande capitale. Il fascismo deve quindi condurre la sua propaganda in modo tale che i seguaci conquistati sulla base dei sentimenti di massa anticapitalistici siano usati in pratica come sicuri supporti del sistema capitalistico. Continue reading György Lukács: Lo slogan fascista “Liberalismo = Marxismo” (1931)

Marcel van der Linden: Le doppie crisi del capitalismo e del lavoro globale. Sull’imperialismo, Lenin e il tempo presente

Vi propongo la traduzione di un articolo di Marcel Van Der Linden pubblicato nel numero di luglio/agosto 2024 di Against The Current. L’autore è uno storico e sociologo di fama internazionale, fondatore della Global labour history, ha pubblicato innumerevoli saggi sulla storia del lavoro e sul marxismo, è senior researcher presso l’Istituto Internazionale di Storia Sociale (IISH) di Amsterdam, dove ha ricoperto il ruolo di direttore della ricerca tra il 2001 e il 2014, professore in pensione di storia dei movimenti sociali presso l’Università di Amsterdam e e membro del comitato editoriale del Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA). In Italia è stato pubblicato nel 2018 Il lavoro come merce. Capitalismo e mercificazione del lavoro. Il suo “The World Wide Web of Work. A History in the Making” (2023) è scaricabile gratuitamente. Buona lettura!

Se non ti aspetti l’inaspettato non lo scoprirai; perché è difficile da rintracciare e difficile da avvicinare.” 

Eraclito, c. 500 a.C.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE fu un punto di svolta sotto molti aspetti. Un cambiamento importante divenne visibile nelle analisi economiche della sinistra rivoluzionaria. Questo fu molto chiaro con Lenin: basandosi sul lavoro di Bucharin, Hilferding e Hobson, vide un declino esteso e probabilmente irreversibile del capitalismo mondiale.

Il potere in rapida crescita dei monopoli a partire dagli anni ’80 dell’Ottocento cominciò, secondo lui, a culminare in una nuova fase di sviluppo, vale a dire l’imperialismo. “L’essenza dell’imperialismo”, scrisse nel 1917, è una “combinazione di principi antagonisti, vale a dire concorrenza e monopolio”.  Continue reading Marcel van der Linden: Le doppie crisi del capitalismo e del lavoro globale. Sull’imperialismo, Lenin e il tempo presente