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Leo Panitch: Rinnovamento del socialismo: democrazia, strategia e immaginazione (2001)

Ho tradotto questo saggio di Leo Panitch del 2001 ripubblicato dalla Montly Review dopo la sua scomparsa lo scorso 19 dicembre. 

“Suonate le campane che possono ancora suonare

Dimenticate la vostra offerta perfetta

C’è una crepa in ogni

cosa

Ecco come entra la luce”.

—Leonard Cohen, “Anthem”

Quello che è successo è successo. L’acqua che

hai versato una volta nel vino non si può più

scolare, ma

tutto cambia. Puoi

ricominciare da capo con il tuo ultimo respiro.

—Bertolt Brecht, “Tutto cambia”

Per far restituire al ladro il suo bottino,

Per liberare lo spirito dalla sua galera.

Dobbiamo decidere noi stessi il nostro dovere,

dobbiamo decidere e farlo bene.

—Eugene Pottier, “L’Internationale”

Ha senso parlare in termini di rinnovamento socialista all’inizio del ventunesimo secolo? Le massicce proteste anticapitaliste da Seattle a Praga al Quebec che hanno catturato l’attenzione del mondo all’inizio del nuovo millennio attestano il fatto che lo spirito della rivoluzione, uno degli aspetti centrali della vita politica nei secoli precedenti, non è certo  acqua passata. Se “lo spirito rivoluzionario degli ultimi secoli, cioè l’entusiasmo di liberare e costruire una nuova casa dove possa dimorare la libertà, [che] è inedito e senza eguali in tutta la storia precedente”1 inizia correttamente con le rivoluzioni borghesi della fine del diciottesimo secolo, pochi contesterebbero che questo desiderio di trasformazione sociale fondamentale sia stato in gran parte portato nel mondo del ventesimo secolo dalle aspirazioni rivoluzionarie del socialismo di trascendere lo stesso ordine capitalista. È stato il socialismo a esprimere la lotta del secolo scorso per la liberazione dalla paradossale libertà della rivoluzione borghese, cioè dalla concorrenza e dallo sfruttamento su cui si fondano le relazioni sociali capitaliste; ed è stato il socialismo a incarnare l’aspirazione a costruire una società pienamente democratica, cooperativa e senza classi in cui la libertà e l’uguaglianza potessero realizzare piuttosto che negare la socievolezza dell’umanità. Continue reading Leo Panitch: Rinnovamento del socialismo: democrazia, strategia e immaginazione (2001)

Il ritorno della censura dopo il 18 aprile. Quando la Dc tagliò Totò

Nel 1999 l’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro fece una dichiarazione alquanto discutibile sui risultati delle elezioni del 18 aprile 1948 vinte dalla DC contro il Fronte Popolare che riuniva comunisti e socialisti, i due principali partiti della Resistenza e dell’antifascismo militante. Scalfaro dichiarò che “aveva vinto la libertà“. Quel 18 aprile in realtà segnò la sconfitta dello spirito della Resistenza e un arretramento rispetto alle speranze di rinnovamento che avevano animato il paese dopo la Liberazione dal fascismo. Cominciava un periodo segnato dalla repressione di Scelba, dal ritorno al dispotismo padronale nelle fabbriche con la fine dei Consigli di Gestione e il dilagare dei licenziamenti politici e i reparti confino alla Fiat, un clima di restaurazione clericofascista e il riciclaggio dei fascisti negli apparati dello stato. I partiti di sinistra non proponevano nel 1948 l’adesione al Patto di Varsavia ma una linea di neutralismo – che tra l’altro fu perseguita da paesi della Scandinavia – e un programma di riforme che avesse come obiettivo l’attuazione della Costituzione. Si uscì da quegli anni duri solo con la rivolta del luglio ’60 e la ripresa delle lotte operaie che spostarono a sinistra il paese e gli stessi equilibri politici. Sull’Unità il critico AGGEO SAVIOLI ricordò cosa significò la vittoria DC in termini di “libertà” per il cinema italiano. Un modo per ironizzare sull’affermazione un po’ troppo unilaterale di Scalfaro. Buona lettura!

Dunque, la vittoria della Dc e dei suoi alleati, nelle elezioni del 18aprile 1948, avrebbe garantito la libertà di tutti, frenando i cavalli cosacchi ansiosi di abbeverarsi alle fontane di Piazza San Pietro (non stiamo inventando nulla, anche di questa pasta, appigliandosi magari alla maldestra profezia di un Venerabile Uomo, fu la propaganda anticomunista e antisocialista di quel periodo). Ma, certo, per le nostre arti dello spettacolo, cinema e teatro, si trattò di lottare fino allo stremo contro l’ondata di oscurantismo e di cieca repressione scatenatasi con particolare virulenza nei primissimi Anni Cinquanta. Dei casi, a volte grotteschi e risibili, comunque drammatici, che si verificarono allora, sono stati riempiti interi libri (citiamo, almeno, «La censura nel cinema italiano» di Mino Argentieri, Editori Riuniti, e «La censura teatrale in Italia» di Carlo Di Stefano, Cappelli editore). Qualche esempio appena vorremmo citare, perché specialmente clamoroso ed emblematico. Continue reading Il ritorno della censura dopo il 18 aprile. Quando la Dc tagliò Totò

Tariq Ali: Il principe killer

L’altro giorno ho ricevuto la newsletter della New Left Review con questo articolo di Tariq Ali su Bin Salman, il principe saudita “amico” di Renzi. L’ho tradotto perchè mi sembra che ricostruisca molto bene i rapporti tra potenze occidentali e monarchia saudita. Non ne posso più della banalizzazione di tutti i temi da parte dell’informazione mainstream e nel dibattito politico. Il comportamento di Renzi è gravissimo ma non è un’eccezione. Ce ne sono molti di politicanti occidentali che si fanno pagare da questi principi e sceicchi le cui fortune sono state create dall’imperialismo. Renzi non è l’unico a esaltare il principe “riformista”. Per anni è andata avanti la guerra in Yemen e da sempre la violazione dei diritti umani più elementari da parte della monarchia fondamentalista saudita. Renzi va da Bin Salman perchè sa che l’Arabia Saudita è il bastione anglo-americano in Medio Oriente. Stati Uniti e Unione Europea mettono le sanzioni al Venezuela mentre sono alleati dei sauditi. Buona lettura!

L’offerta saudita di un cessate il fuoco nello Yemen il 22 marzo è stata un riconoscimento da parte di Riyadh e dei suoi sostenitori a Washington di aver perso la guerra. Biden ha segnalato la resa riluttante a febbraio, quando ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero posto fine al loro sostegno alle “operazioni offensive”. Dopo sei anni di bombardamenti e blocchi, le forze Houthi sono pronte a conquistare la strategica città centrale di Marib. Hanno chiesto che gli aggressori – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Regno Unito e Francia – rimuovessero la morsa sul porto di Hodeidah sul Mar Rosso, causa di una catastrofe umanitaria di carestie ed epidemie nel paese, prima di sedersi a parlare.

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Michael Lowy: La Comune di Parigi del 1871

Il 18 marzo 1871, a Parigi assediata dalle truppe prussiane, il popolo prese il controllo della propria città e per 72 giorni condusse il primo esperimento di vita sotto il controllo popolare.
1. La tradizione degli oppressi
C’è un muro al cimitero di Père Lachaise a Parigi, noto come “Le Mur des Fédérés“. Fu là che gli ultimi combattenti della Comune di Parigi furono uccisi nel maggio 1871 dalle truppe di Versailles. Ogni anno migliaia – e talvolta, come nel 1971, decine di migliaia – di francesi, ma anche persone di tutto il mondo, visitano questo luogo esaltato della memoria del movimento operaio. Vengono da soli o in manifestazione, con bandiere rosse o fiori, e talvolta cantano una vecchia canzone d’amore, che è diventata la canzone dei Comunardi: “Le Temps des Cerises“. Non rendiamo omaggio a un uomo, un eroe o un grande pensatore, ma a una folla di persone anonime che ci rifiutiamo di dimenticare.

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L’omaggio di Allen Ginsberg e Joe Strummer alla Comune di Parigi

Nel 150° della Comune di Parigi va ricordato che i suoi principi e il suo esempio hanno dimostrato quell’eternità  che gli attribuì Karl Marx scrivendo nei giorni che seguirono il massacro dei comunardi. La Comune è rimasta simbolo vivente della rivolta degli oppressi e della loro possibilità  di cambiare la vita e il mondo, per dirla con i surrealisti. 

Non è un caso che dall’incontro tra il principale esponente della beat generation  Allen Ginsberg e la più importante punk band i Clash venne fuori nel 1982 un brano come Ghetto Defendant che accostava la descrizione dei ghetti delle metropoli nordamericane e del pianeta inondati di eroina e la rivolta dei proletari di Parigi del 1871. 

Le voci di Allen e Joe Strummer si alternavano in una poesia che rendeva omaggio alla Comune e al poeta Arthur Rimbaud che alla rivolta dedicò versi entrati nella storia. Emblematico che, come segnala Toni Negri, l’ultimo libro importante uscito sulla Comune del 1871, quello di Kristin Ross Lusso Comune, parta proprio dai versi che Rimbaud dedicò all’epopea dei comunardi. 

C’è un filo rosso in quella che Benjamin chiamava “tradizione degli oppressi”.

Ricordo quando ascoltai allora il brano per la prima volta e l’emozione: la voce di Allen pronunciava le parole “Paris Commune” nel disco di maggior successo commerciale dei Clash. All’epoca c’erano le rivolte degli immigrati caraibici in Gran Bretagna che ispiravano i Clash mentre i ghetti USA e le periferie d’Europa erano ormai inondate di eroina. Parole profetiche come quelle di Know Your Rights. Diventate realtà con le rivolte in Francia e più di recente Black Lives Matter che ha visto i “perseguitati del ghetto” affrontare la polizia bianca razzista in tutte le città degli Stati Uniti. Gli eserciti davvero hanno cominciato la guerra con le stelle. Nel testo Ginsberg cita una data 1873 non 1871, l’anno della Comune. Il riferimento è all’uscita della raccolta di Rimbaud Una stagione all’inferno. 

ACCUSATO DI GHETTO

Morto di fame nella metropoli

Preso da necropolis

Drogato di metropolis

Fa il verme sull’acropoli
Fa danzare* la cosmopolis
Illuminando il popolo dei quartieri poveri

Oscurità  affamata di vita,
Chi avrà  sete nella fossa?
Presa all’amo in metropolis
Lei passò tutta l’esistenza a decidere
Come scappare via
Drogati di Metropolis
Una volta il destino aveva un senso
E gli anni mi sembravano amici
Ora le ragazze innamorate
Partoriscono bambini che possono sognare
Ma i sogni cominciano come la fine

Sparato nell’eternità 
Metadone come premio
Ferrea serenità

Imputato di ghetto
L’eroina non ti piega
Nè il gas lacrimogeno nè le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città 

Comitato strafatto

Murato fuori dalla città
Cacciato a bastonate dai quartieri alti
Parassita scovato con l’insetticida
Fuggito verso la zona del Barrio
Le guardie sono nervose
Obbligato ad assistere alla festa
E a raccogliere nel buio
Pochi spiccioli gettati
Bottiglie rotte
Scambiato per diritto di nascita
Fregato in un attimo

Imputato di ghetto
L’eroina non ti piega
Nè il gas lacrimogeno Né le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città 

Comitato strafatto

Nessuna botte di ferro
Fregato in un attimo

La pietà  dell’eroina
Né i lacrimogeni né le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città 

Il principe del ghetto dei poeti di fogna
Fu cacciato via dalla stanza
Jean Arthur Rimbaud
Dalle guardie del corpo dell’avidità
Per aver violato il sepolcro
1873

Comune di Parigi
Le sue parole come lanciafiamme

Bruciarono i ghetti nei loro petti

La sua faccia fu dipinta più bianca
E fu sepolto
Morto a Marsiglia

Imputato del ghetto

Sepolto a Charleville
La pietà  dell’eroina
Né i lacrimogeni né le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città

Chiudi il becco per l’eternità

E’ la pietà  dell’eroina
Né i lacrimogeni né le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città

Guatemala
Honduras
Polonia
guerra dei 100 anni
La TV replica l’invasione
Squadroni della morte
Salvador
Meditazione afgana
Antica influenza cinese
Calci nelle palle
Cos’altro può fare un povero operaio?

Imputato di ghetto
La pietà  dell’eroina
Né i lacrimogeni né le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città

Imputato di ghetto
La pietà  dell’eroina
Né i lacrimogeni né le cariche coi manganelli
Ti impediranno di prendere la città 

[in corsivo Allen Ginsberg]