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Avevo tradotto qualche tempo fa questo articolo dell’ottimo Kevin B. Anderson, marxista umanista statunitense e autore del fondamentale Marx at the margins, ma avevo dimenticato di caricarlo sul blog.
È chiaro oggi che l’emancipazione del lavoro dall’alienazione e dallo sfruttamento capitalista è un compito che ancora ci attende. Il concetto di lavoratore (operaio) di Marx non è limitato ai maschi bianchi europei, ma include lavoratori irlandesi e neri super sfruttati e quindi doppiamente rivoluzionari, nonché donne di tutte le razze e nazioni. Ma la sua ricerca e il suo concetto di rivoluzione vanno oltre, incorporando una vasta gamma di società agrarie non capitaliste del suo tempo, dall’India alla Russia e dall’Algeria ai popoli indigeni delle Americhe, spesso enfatizzando le loro relazioni di genere. Nei suoi ultimi scritti, ancora in parte inediti, volge lo sguardo verso Oriente e verso Sud. In queste regioni al di fuori dell’Europa occidentale, trova importanti possibilità rivoluzionarie tra i contadini e le loro antiche strutture sociali comuniste, anche se queste vengono minate dalla loro sussunzione formale sotto il dominio del capitale. Nel suo ultimo testo pubblicato, immagina un’alleanza tra questi strati non operai e la classe operaia dell’Europa occidentale.
“Proletari [Proletarier] di tutti i paesi, unitevi!” con queste parole squillanti che Karl Marx e Friedrich Engels concludono notoriamente il loro Manifesto comunista nel 1848. Questo slogan suggerisce un’ampia lotta di classe che coinvolge milioni di lavoratori attraverso i confini nazionali e regionali contro i loro nemici collettivi, capitale e proprietà fondiaria. In quello stesso Manifesto, Marx ed Engels scrivono anche, in un altro passaggio ben noto, che “i lavoratori non hanno patria”, e inoltre che “le differenze nazionali e gli antagonismi tra i popoli [Völker] si stanno riducendo sempre di più” con lo sviluppo del mercato mondiale capitalista.
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Capitale monopolistico-finanziario, complesso militare-industriale ed era digitaleÂ
di John Bellamy Foster e Robert W. McChesney (Montly Review)
Gli Stati Uniti sono usciti dalla seconda guerra mondiale come potenza egemonica nell’economia mondiale. La guerra aveva sollevato l’economia degli Stati Uniti dalla Grande Depressione fornendo la domanda effettiva necessaria sotto forma di ordini infiniti di armamenti e truppe. La produzione reale aumentò del 65 percento tra il 1940 e il 1944 e la produzione industriale aumentò del 90 percento.1 Nell’immediato dopoguerra, a causa della distruzione delle economie europea e giapponese, gli Stati Uniti rappresentavano oltre il 60 per cento della produzione manifatturiera mondiale.2 Il timore molto palpabile al vertice della società alla fine della guerra era quello di un ritorno alla situazione prebellica in cui la domanda interna sarebbe stata insufficiente ad assorbire l’enorme e crescente potenziale surplus economico generato dal sistema produttivo, quindi portando a una rinnovata condizione di stagnazione economica e depressione.
L’assistente del segretario di Stato Dean Acheson dichiarò nel novembre 1944 davanti al Comitato speciale del Congresso per la politica e la pianificazione economica del dopoguerra, che se l’economia fosse tornata al punto in cui era prima della guerra “sembra chiaro che siamo in un periodo molto brutto, quindi per quanto riguarda la posizione economica e sociale del Paese. Non possiamo passare altri dieci anni come i dieci anni tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 [cioè, il crollo della Borsa e la Grande Depressione], senza le conseguenze più profonde sul nostro sistema economico e sociale”. Acheson chiarì che la difficoltà non era che l’economia soffrisse di una mancanza di produttività , ma piuttosto che essa era troppo produttiva. “Quando guardiamo al problema possiamo dire che è un problema di mercato. Non hai problemi di produzione. Gli Stati Uniti hanno un’energia creativa illimitata. L’importante sono i mercati».3 Continue reading Il capitalismo della sorveglianza (2014)
Ripubblico un lungo articolo di Franco Calamida che nell’inserto del Manifesto per il ventennale del ’68 ricostruì l’esperienza del Gruppo di studio alla Philips e la nascita dei Cub. Franco di recente ha raccontato quella fondamentale esperienza nel libro Volevamo cambiare il mondo curato da Roberto Biorcio e Matteo Pucciarelli. Ci mancherà un compagno come Franco Calamida. L’articolo l’ho rititolato riprendendo una frase di Franco. Quello originale era più classico:Â
Unire ciò che il padrone divide
I tecnici scendono in campo insieme agli operai
Franco Calamida
Nel giugno del ’68 scioperano i 1.800 tecnici e impiegati della Falk di Sesto S. Giovanni e nei successivi 8 mesi scenderanno in lotta quasi tutte le aziende con più di 1 .O00 dipendenti, a Milano ma anche a Genova; scioperano gli impiegati dei centri siderurgici di Taranto e di Bagnoli, del cantiere navale di Castellammare di Stabbia.
Si sciopera all’ltalcantieri, alla Breda, alla Asgen, alI’ErcoleMarelli, alla Fatme di Roma, all’Ansaldo … Scendono in lotta i tecnici dell’Alfa Romeo, sia a Milano che ad Arese; alla Snam Progetti di S. Donato 1.200 tecnici lavorano in un solo capannone, detto «bunker» e come forma di lotta decretano lo stato di «Assemblea permanente», all’interno del ((bunker)) stesso.
Alla Sit Siemens è attivo il primo Gruppo di studio, informale, nessuno è eletto, vi partecipa chi vuole; leader pressoché carismatico è Gaio Di Silvestro, ingegnere; anche Mario Moretti ne fa parte, più o meno con le stesse idee degli altri, i valori della democrazia diretta e del protagonismo dei lavoratori; più tardi sceglierà percorsi diversi e contrapposti. Continue reading Realizzammo il sogno segreto di Fantozzi. Il lungo sessantotto di Franco Calamida
 Ritratto commemorativo in terracotta (nsodie) di un sovrano Akan dell’attuale Ghana meridionale
Giorgia Meloni ha dichiarato che “non ho mai capito cos’è il gender” ma si oppone alla legge contro l’omolesbotransfobia perchè altrimenti l’ideologia gender entrerebbe nelle scuole, ecc. Mentre leggevo queste fregnacce mi è arrivato sotto gli occhi questo articolo di Mohammed Elnaiem che su twitter così presenta questo articolo: “ho scritto su come il colonialismo europeo ha cercato di sorvegliare, cambiare e punire coloro che non rispettavano il loro binario di genere. Ciò include il caso di una Vitoria, una schiava che si considerava una donna ma che secondo l’inquisizione era un uomo”. Buona lettura!
I viaggiatori e gli antropologi europei scoprirono che la loro visione del mondo basata sul genere non si adattava facilmente alle società che incontravano. Continue reading Mohammed Elnaiem: I generi africani “devianti” condannati dal colonialismo

Il numero di maggio 2021 della storica rivista marxista statunitense Montly Review si apre con un editoriale molto interessante anche dalle nostre parti. Ci racconta come la questione dell’imperialismo divise il movimento socialista britannico e quale fu la posizione di Engels e dei socialisti più vicini a Marx tra cui la figlia Eleonor la cui figura – fondamentale nella storia del movimento operaio britannico – è stata scoperta di recente grazie al film Miss Marx. Una prima occasione di rottura fu proprio l’invasione inglese del Sudan che fu occasione di un’esplosione di spirito imperialista e colonialista sui giornali inglesi dell’epoca. La vicenda che vide i sudanesi inizialmente sconfiggere gli inglesi fu oggetto negli anni ’60 di un film kolossal Khartoum – ovviamente neocolonialista – con Charlton Heston e Laurence Olivier che periodicamente viene riproposto in tv (nel 2002 anche di un altro film Le quattro piume). Nel film, come nella propaganda imperialista ottocentesca, il cattivone era il Mahdi ma non la pensavano così come i nostri antenati che difesero il diritto di resistenza dei sudanesi. Ho tradotto l’articolo perché mette in guardia da un atteggiamento che non è diffuso solo nella sinistra USA ma anche in Europa, quello di lasciarsi egemonizzare dalle narrazioni prodotte per giustificare le logiche di guerra. Montly Review con questo editoriale implicitamente si rivolge ai socialisti di Sanders e Ocasio Cortez che stanno ottenendo dei successi sul piano sociale interno dal rischio di diventare – come l’aristocrazia operaia inglese del 1885 – complici delle politiche imperiali USA. Nel momento in cui – come è evidente leggendo i giornali o guardando i dati sull’aumento delle spese militari – le tendenze neoimperialiste sono molto forti è bene tenere a mente la lezione che ci arriva dalle origini del nostro movimento. I partiti “socialdemocratici” europei e anche i Verdi tedeschi – un tempo partito alternativo e pacifista – sono già prevalentemente arruolati. Evitiamo che lo siano anche settori della sinistra radicale. Leggendo i cablo USA sull’Italia rivelati da Wikileaks nel 2006/2008 la presenza in parlamento di Rifondazione Comunista (qualificata come “populisti di estrema sinistra“) dava molto fastidio probabilmente perché non allineati con le politiche di riarmo e intervento all’estero. Come ha raccontato una giornalista coraggiosa come Stefania Maurizi che segue dall’inizio il caso Assange la nascita del PD era accolta con entusiasmo dall’ambasciatore Spogli (nominato da Bush). Buona lettura!
Nel dicembre 1884, figure molto importanti nel nascente movimento socialista inglese come William Morris, Eleanor Marx, Edward Aveling, E. Belfort Bax e John L. Mahon, tra gli altri, ruppero con la Federazione socialdemocratica guidata da HM Hyndman e formarono la Socialist League. Una delle controversie chiave che portarono alla rottura sorse in relazione allo sciovinismo allora appena nascosto di Hyndman e al forte sostegno all’impero britannico. Continue reading Quando Miss Marx si schierò con i ribelli sudanesi. Una lezione dal passato
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