Community

Already a member?
Login using Facebook:
Powered by Sociable!

Archivi

IN RICORDO DI PAOLO HLACIA

Ho ricevuto via mail il giornale IL LAVORATORE della federazione di Rifondazione di Trieste e ho letto la notizia della scomparsa di Paolo Hlacia e gli articoli in sua memoria di Sergio Bologna e Matteo Gaddi. Paolo l’ho conosciuto dopo la rivolta di Seattle (1999). Avevo scritto una lettera a Liberazione, il quotidiano di Rifondazione, che a lui era piaciuta molto e che aveva riprodotto sulla prima pagina di un giornale che faceva a Trieste. Mi aveva rintracciato per complimentarsi ed esprimere il suo apprezzamento. Entrò in rapporto con noi di Rifondazione di Pescara nutrendo molte affinità con me e Lorenzo Calamosca in particolare l’internità ai movimenti, l’interesse per la tradizione dell’operaismo italiano (in particolare proprio i lavori di Sergio Bologna) e varie altre cose come l’inchiesta di cui si occupava nel PRC di Trieste. Lo sorprendeva che la nostra federazione fosse diretta da comunisti irregolari amici di Primo Moroni. Aderì con entusiasmo al Cantiere sociale su lavoro/non lavoro che organizzammo a Pescara nel febbraio 2001 con il giornale CARTA che all’epoca svolgeva un ruolo fondamentale di connessione tra settori di movimento e sinistra politica (in particolare Rifondazione). Fu una delle occasioni di incontro che precedettero Genova 2001 e per noi che eravamo fortemente convinti della necessità di costruire anche in Italia una coalizione simile a quella che aveva contestato WTO a Seattle ci sembrava essenziale radicarla su un terreno sociale e non solo etico. Noi pescaresi eravamo stati insieme ai veneziani i primi nel 1999 a presentare in un congresso del PRC la proposta di inserire il reddito nella piattaforma del partito. Con il cantiere ci proponevamo – con la nostra identità ibrida di partito ma anche di movimento, radio e social forum – di creare un terreno di elaborazione e azione unitaria superando contrapposizione tra la rivendicazione di reddito e quelle per/sul lavoro. Paolo Hlacia fu tra i primi a aderire e uno dei circa duecento compagni che vennero da tutta Italia molto contento dell’iniziativa a cui parteciparono Fumagalli, Revelli, Ferrero, Rieser, Gianni, Perini, Cacciari, Sullo, Caruso, Caccia e tantissimi altri. Ne sopravvive in rete solo questo resoconto uscito sul Manifesto. Negli ultimi anni non avevo avuto più notizie di Paolo. Lo saluto a pugno chiuso.  Continue reading IN RICORDO DI PAOLO HLACIA

Katyn

Nell’ottantesimo del massacro di Katyn leggo cosa ne scrive J. Arch.Getty, uno storico americano accusato di essere un “revisionista” perchè ha smentito molti luoghi comuni e cifre della storiografia anticomunista della guerra fredda. E’ uno che ha recensito negativamente il famoso Libro nero del comunismo e forse per questo nessuno dei suoi libri è stato tradotto in Italia.

In una presentazione dell’archivio delle carte di Stalin, ora finalmente disponibile per gli storici Getty scrive:

“Quando nel 1940 Stalin e il Politburo decisero di fucilare a Katyn più di 20.000 ufficiali polacchi catturati, registrarono le loro decisioni in memo e risoluzioni, complete di giustificazioni”.

Insomma negli archivi sono oggi disponibili le prove. Sono probabilmente quelle che esaminarono Gorbaciov e i suoi collaboratori quando nel 1990 ammisero la responsabilità del NKDV:

“Beria, Merkulov e i loro aiutanti hanno la responsabilità diretta dei crimini nella foresta di Katyn. La parte sovietica, esprimendo profondo rammarico in relazione alla tragedia di Katyn, dichiara che essa ha costituito uno dei crimini più gravi dello stalinismo” – Dichiarazione sull’agenzia TASS del 13 aprile 1990.

Il fatto che oggi la destra nazionalista polacca faccia un uso politico del massacro di Katyn non dovrebbe indurre a negare le evidenze storiche. Francamente ho cercato in rete scritti di noti negazionisti e non mi pare che contengano argomenti in grado di smentire quanto emerso nel corso degli anni.

La verità è sempre rivoluzionaria, insegnava Gramsci.

Se il nazionalismo polacco e quello russo si confrontano con opposti negazionismi penso che i comunisti e i socialisti del XXI secolo debbano rifiutare qualsiasi approccio di questo genere.

A. Rudzienski

Massacro di Katyn

Una tragedia che sanguina

(23 giugno 1947)

Articolo pubblicato negli USA su Labor Action, giornale del trotzikista Workers Party. L’autore era un polacco emigrato in America Latina che quando scriveva su quel continente si firmava Juan Rey o Juan Robles.

Esiste una conoscenza diffusa dell’assassinio di 23.000 prigionieri di guerra, soldati e ufficiali polacchi, “liquidati” nel classico modo GPU (un colpo alla nuca) nei campi di Kozielsk, Starobielsk e Katyn. Quando venne scoperto l’assassinio in massa di queste vittime innocenti, il governo russo negò categoricamente, sfruttando l’occasione per rompere i rapporti con il governo polacco in esilio a Londra. Gli stalinisti – Molotov, Beria, ecc. – negarono l’assassinio, attribuendone la responsabilità ai tedeschi. Ma l’organo di Marceau Pivert, The Masses , nel suo numero di febbraio-marzo 1947, rivela che l’assistente capo della GPU (NKVD) Merkulov, disse al generale fantoccio polacco, Berling, che guidava l’esercito stalinista-polacco, che i 23.000 prigionieri di guerra “era stato liquidato per errore ”. Un errore deciso freddamente e deliberatamente. Un errore che accusa e continuerà ad accusare il regime di Stalin fino alla sua miserabile fine. Quante centinaia di migliaia, quanti milioni di russi, ucraini, ebrei e tedeschi sono stati liquidati allo stesso modo di questi prigionieri di guerra polacchi? Non lo sappiamo perché nessuna voce si è levata in segno di protesta.

La tragedia di Katyn è stata il destino dell’intera clandestinità polacca. L’insurrezione di Varsavia fu consegnata a sangue freddo ai nazisti in modo che alla polizia stalinista potesse essere risparmiato il posto di boia. Quando le armate dell’invasore russo occuparono le rovine di quella terra desolata che fu la capitale di una nazione, le squadre mobili della GPU iniziarono la loro opera di persecuzione contro quella clandestinità che per tanti anni aveva combattuto tenacemente i nazisti. Con l’esercito di Stalin, gli agenti, le spie, i persecutori e gli assassini della GPU sono stati i primi ad entrare nelle città, paesi e villaggi occupati. Il loro lavoro era stato tracciato dalle spie del partito stalinista, che da tempo avevano stilato le liste nere dei militanti e dei dirigenti della Resistenza polacca.

Il numero dei prigionieri politici ha raggiunto le centinaia di migliaia. Il boia Radkiewicz, capo della “Sicurezza”, ha ammesso la cifra di 80.000 prigionieri politici in un Paese di 24 milioni di abitanti. Centinaia di migliaia di persone sono state segretamente deportate nei campi di lavoro forzato in Russia in assenza di qualsiasi controllo da parte dei tribunali o delle normali procedure legali. Solo coloro che si unirono ai gruppi armati illegali riuscirono a salvarsi dalle grinfie della polizia stalinista. La resistenza polacca fu spazzata via su due fronti, consegnata e sacrificata dagli “alleati occidentali” a Stalin per rispettare gli accordi imperialisti di Yalta e Potsdam. Così la Polonia cadde soggetta al dominio del conquistatore russo.

Eppure esistevano ancora resti della resistenza e dell’indipendenza polacca fuori dal paese, nell’esercito polacco comandato da Anders, e nel governo polacco in esilio, basato su una coalizione di quattro partiti (nazionalisti, cristiani, contadini e socialisti), il fantasma di un Polonia indipendente che ha inseguito il sogno di Stalin, erede delle politiche imperialiste dello Zar. Il Cremlino ha mobilitato tutti i suoi mezzi di propaganda, tutti i suoi lacchè e servitori per presentare il governo del riformista Arciszewski (vecchio combattente contro lo zar, e lui stesso operaio), come un governo “fascista”; e l’esercito polacco che ha combattuto su tutti i fronti contro i nazisti, dalla Norvegia all’Africa e all’Italia, che ha combattuto in Olanda, Belgio e Francia, come “ condottiero fascista “.

So, cari lettori, che tocco un tema “pericoloso” e poco gratificante, perché la sinistra ha ancora l’abitudine di vedere questi eventi attraverso gli occhiali della propaganda stalinista. Tuttavia, non posso astenermi dall’affrontare questo problema. Nella sua grande maggioranza, l’esercito polacco di Ander è composto da quelli deportati da Stalin dopo l’invasione russa della Polonia nel 1939. Questi ostaggi e prigionieri politici, condannati a morte nei campi di lavoro forzato di Stalin, sono principalmente gli umili operai e contadini polacchi, così come gli intellettuali, della Polonia orientale, che non sarebbero mai usciti se non fosse stato per la pressante necessità di Stalin, dopo l’invasione tedesca del 1941, di firmare nel 1942 un patto polacco-russo, per assicurare l’alleanza di Polonia e Inghilterra .

L’avanguardia di questi uomini è composta dai militanti del Partito Socialista Polacco (FPS), dei sindacati e del Partito Contadino, nonché da molti ex comunisti che sono stati di regola condannati ai lavori forzati dalla GPU. Un’altra sezione importante è costituita dai soldati ebrei, molti ex membri del Bund e di altri partiti ebraici, oltre a un’alta percentuale di ucraini e russi bianchi, cittadini polacchi entrati nell’esercito polacco per sfuggire all’inferno stalinista e tornare in le loro case e la terra perduta. Il resto è composto da Pomerania e Slesia polacchi, pressati nell’esercito tedesco, e dai polacchi deportati, per i lavori forzati in Germania e nell’Europa occidentale, che la stampa stalinista stigmatizza come “ Volksdeutsche” (tedeschi convertiti); infine, ci sono; i minatori polacchi di Francia e Belgio e gli emigranti del Sud America, degli Stati Uniti e del Canada.

L’esistenza di un esercito polacco in Inghilterra e di un’emigrazione politicamente organizzata costituisce un grave pericolo per l’autocrazia russa. La storia insegna a Stalin che la grande corrente dell’emigrazione polacca in Inghilterra e in Francia dopo la rivoluzione del 1831 si trasformò in un centro di opposizione rivoluzionaria allo zarismo e alla reazione europea, divenne una fonte creativa della cultura polacca e della resistenza politica. Anche se l’odierna emigrazione non possiede né tali condizioni né la loro possibilità, Stalin si sforza comunque di annientare ogni possibile opposizione politica polacca al di fuori della Polonia, fiducioso che col tempo la GPU vincerà ogni opposizione all’interno. Ecco il motivo delle sue continue e costanti pressioni sul governo laburista di Londra perché consegni i “resti anacronistici” dell’indipendenza polacca.

Un inedito di Rosa Luxemburg

In Italia non ci ha pensato nessuna casa editrice finora ma in lingua inglese stanno pubblicando le Opere Complete di Rosa Luxemburg curate da Peter Hudis. Speriamo che poi ne arrivi un’edizione italiana. Lenin in persona consigliò che fossero pubblicate e lette dalle generazioni successive di militanti. Pubblico la traduzione di questo articolo che lo stesso Hudis ha anticipato sul sito della casa editrice Verso Books e che sarà contenuto nel quarto volume delle Opere (1905-1909).  Si tratta di un inedito, “Critica nel movimento operaio”, originariamente pubblicato in polacco in Czerwony Sztandar, n. 39. 9 gennaio 1906, pagg. 1-2.

Continue reading Un inedito di Rosa Luxemburg

«Batti il tuo tempo». Il rap dà la linea

Pubblico da Alias, l’inserto del manifesto, questo estratto da un libro di Militant A di Assalti Frontali. Tra quelli della mia generazione è uno dei compagni che stimo di più. Quel giorno che Onda Rossa Posse fece irruzione sul palco della pantera a Piazza del Popolo fu una figata per me che da anni mixavo militanza e consolle, movimento e dancehall popolari. Fa piacere incrociare Luca praticamente in ogni manifestazione e vedere come ha sviluppato il suo progetto musicale e poetico. E mi associo al suo ricordo di Lapassade che fu nostro ospite a Pescara al Base con Sensibili alle Foglie e che mi fa tornare in mente gli amici fraterni del Sud Sound System originale Antonio D War e Militant P oltre che Renato e Marita, persone stupende. 

«Tu vai in trance quando rappi» mi diceva George Lapassade il giorno che arrivò alla Sapienza occupata dalla Pantera e mi vide cantare all’interno della facoltà di Lettere. Lui era un professore emerito di etnologia e scienze dell’educazione all’università di Parigi, uno dei più grandi esperti di stati modificati di coscienza e primi linguaggi hip hop ed era venuto a Roma a vedere che succedeva nel movimento, quali espressioni culturali e linguaggi usavamo, e noi, da irruenti e anche arroganti (come lo sono tutti i giovani ribelli) lo tenevamo un po’ a distanza, sperando che se ne andasse il prima possibile e ci lasciasse liberi di muoverci senza sentirci analizzati, non capivamo se fosse davvero dei nostri: era un professore, aveva i capelli bianchi, che ne sapeva di rap? Che voleva? Noi stavamo già volando con l’Onda Rossa Posse. Con Batti il tuo tempo. Il primo rap con il testo in italiano. Quando la cantavamo tutti impazzivano. La Pantera era al top, il corridoio pieno, centinaia di studenti andavano e venivano mentre lui mi parlava, io con la mente pensavo anche a dove avessi lasciato il sacco a pelo, inseguivo con gli occhi il mio amore che entrava in un’aula dove suonava musica reggae e tutti sembravano felici. Avevamo trasformato quella facoltà in un centro sociale.
Io in realtà ero iscritto a Economia e Commercio ma era troppo moscia quella facoltà e anche mezza nera, per cui facevo base a Lettere o Scienze Politiche. All’inizio non si potevano fare nemmeno le scritte sui muri, era stato votato in assemblea come gesto di responsabilità, ma la nostra banda aveva delle ragazze che facevano i graffiti come nessuno prima e davanti a quei capolavori d’arte a cielo aperto anche i più rigidi si erano arresi.

Continue reading «Batti il tuo tempo». Il rap dà la linea

Andy Weatherall RIP

Leggo che Andy Weatherall a soli 56 anni è partito per l’ultimo viaggio. Quando mettevo i dischi era un’ospite fisso negli anni ’90. Da quel che ricordo almeno dal fatidico 1990 (quello della pantera). E vale lo stesso per la regia automatica di Radio Città che ho curato per tanti anni mettendoci dentro di tutto di più. Loaded dei Primal Scream era in perfetta sintonia con la mia vocazione al ritmo trusciante e alla psichedelia. Leggo uno dei necrologi e mi ci ritrovo (per l’attitudine ovviamente. io ero solo uno zappatore): “La mia cosa preferita di Andrew Weatherall era la sua capacità di vedere i fili tra dischi, generi, decenni, continenti selvaggiamente diversi che avrebbero avuto un senso totale quando li avrebbe riuniti tutti insieme in un set o in un programma radiofonico. DJ come storytelling, con tutti invitati”. Non ho mai amato le monomanie. E soprattutto ho sempre cercato di mixare suoni e ritmi di tempi diversi senza badare alle mode e alle barriere tra i generi e i sottogeneri. Con un forte amore per i sixties. Loaded era come se l’avessimo remixato in testa io e Pablo Sax ovviamente con Molecola ai controlli. C’era tutto. La voce che apriva il disco era quella di Peter Fonda in The Wild Angels di Roger Corman, praticamente una celebrazione:

Alla domanda del reverendo

“Just what is it that you want to do?/ Che cosa volete fare?”

Fonda risponde

WE WANT TO BE FREE
WE WANT TO BE FREE TO DO WHAT WE WANT TO DO
AND WE WANT TO GET LOADED
AND WE WANT TO HAVE A GOOD TIME
THAT’S WHAT WE’RE GOING TO DO
(NO WAY, BABY, LET’S GO!)
WE’RE GOING TO HAVE A GOOD TIME
WE’RE GOING TO HAVE A PARTY

Vogliamo essere liberi / Vogliamo essere liberi di fare ciò che vogliamo fare / E vogliamo ubriacarci (?) / E vogliamo divertirci / Questo è quello che faremo (Assolutamente no, piccola, andiamo!) / Ci divertiremo / Faremo una festa Continue reading Andy Weatherall RIP