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GREGG HERKEN: Robert Oppenheimer era un comunista e un patriota

Portrait of American physicist J. Robert Oppenheimer wearing a porkpie hat and smoking a cigarette.

Dalla rivista americana TIME un articolo dello storico Gregg Herken è un professore emerito di storia presso l’Università della California e autore di Brotherhood of the Bomb: The Tangled Lives of Robert Oppenheimer, Ernest Lawrence e Edward Teller.

Il film campione di incassi Oppenheimer di Christopher Nolan ha ravvivato l’interesse per il fisico noto come “il padre della bomba atomica”. Tuttavia, il soggetto del film di Nolan rimane un enigma duraturo. Perché l’evidentemente brillante Robert Oppenheimer crollò improvvisamente e completamente sotto un interrogatorio ostile durante l’udienza per la lealtà del 1954? Perché, a differenza di Andrei Sakharov – il fisico nucleare russo a cui viene spesso paragonato – Oppenheimer, dopo quell’udienza, smise di parlare contro le armi di distruzione di massa che aveva contribuito a creare?

“Oppie” era un uomo dai molti segreti: segreti di stato e persino segreti del cuore. Ma credo che la risposta all’enigma di Oppenheimer sia un segreto che lui con aria di sfida mantenne per tutta la vita, un segreto che si portò nella tomba.

Oppenheimer era una figura molto più complessa, conflittuale e importante di quanto ritrae il film di Nolan.

Gli storici sono sempre felici quando il loro lavoro porta a una migliore comprensione del loro argomento. Ancora più gratificante è quando quel lavoro ispira poi nuove scoperte. Continue reading GREGG HERKEN: Robert Oppenheimer era un comunista e un patriota

Stephen F. Cohen: Chi non è Putin (2018)

Nel 2018 lo storico statunitense Stephen F. Cohen pubblicò sulla rivista statunitense The Nation questo articolo sul presidente russo. Professore emerito di studi e politica russa a Princeton e alla New York University, è scomparso nel 2020. Cohen è stato uno dei più importanti storici dell’URSS e amico personale di Gorbaciov che alla sua morte gli rese omaggio con un messaggio alla moglie Katrina Vanden Heuvel: “Era una delle persone a me più vicine per le sue opinioni e la sua comprensione degli enormi eventi accaduti alla fine degli anni ’80 in Russia e che hanno cambiato il mondo. Steve era uno storico brillante e un uomo con convinzioni democratiche. Amava la Russia, l’intellighenzia russa e credeva nel futuro del nostro Paese”. Cohen contrastò per anni la politica degli USA verso la Russia di Putin. Nel 2018 pubblicò un libro profetico War With Russia?” in cui sosteneva che la nuova guerra fredda russo-americana è più pericolosa di quella precedente, durata 40 anni, alla quale il mondo è sopravvissuto. Le probabilità sono ancora maggiori che questa possa sfociare, inavvertitamente o intenzionalmente, in una vera e propria guerra tra le due superpotenze nucleari. Durante la precedente Guerra Fredda, la possibilità di una catastrofe nucleare era in prima linea nella discussione politica e mediatica tradizionale americana e nel processo decisionale. Durante quella nuova, raramente sembra essere nemmeno una preoccupazione. Cohen era un uomo di sinistra ma criticò apertamente i corporate Democrats di Hillary Clinton sul Russiagate: le accuse principali del Russiagate – collusione USA-Russia e tradimento di Trump – rimangono tutte non provate. Cohen è stato uno studioso dello stalinismo che in Italia ebbe ampia attenzione alla fine degli anni ’70 quando Feltrinelli pubblicò la sua biografia di Bucharin e fu ospite di convegni organizzati dall’Istituto Gramsci e dalla rivista Studi Storici. Nel leggere questo articolo si tenga conto che è stato scritto prima delle strette repressive più recenti su cui rimando a un articolo scritto da Boris Kagarlitsky prima di finire in galera. Buona lettura!

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Naomi Klein: ‘The Zone of interest’ riguarda il pericolo di ignorare le atrocità, anche a Gaza

Se il coraggioso discorso di accettazione dell’Oscar di Jonathan Glazer vi ha messo a disagio, quello era il punto.
È una tradizione degli Oscar: un discorso politico serio squarcia la bolla del glamour e dell’autocompiacimento. Ne conseguono risposte contrastanti. Alcuni proclamano il discorso un esempio di artisti al loro meglio nel cambiamento culturale; altri un’usurpazione egoistica di una notte altrimenti celebrativa. Poi tutti vanno avanti.
Eppure ho il sospetto che l’impatto del discorso epocale di Jonathan Glazer agli Academy Awards di domenica scorsa sarà significativamente più duraturo, con il suo significato e la sua portata analizzati per molti anni a venire.
Glazer ha ritirato il premio per il miglior film internazionale per The Zone of Interest, ispirato alla vita reale di Rudolf Höss, comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Il film segue l’idilliaca vita domestica di Höss con la moglie e i figli, che si svolge in una casa signorile con giardino immediatamente adiacente al campo di concentramento. Glazer ha descritto i suoi personaggi non come mostri ma come “orrori non pensanti, borghesi, ambiziosi e carrieristi”, persone che riescono a trasformare il male profondo in rumore di fondo.

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SIONISMO ÜBER ALLES

German Foreign Minister Joschka Fischer places a yarmulke, or Jewish skullcap, on his head as he enters the Yad Vashem Holocaust Memorial”s Hall of Rememberances June 3, 2001 in Jerusalem. (Photo by Isaac Harari/Getty Images)

L’establishment politico tedesco ha abbandonato la convinzione che l’Olocausto gli abbia conferito una responsabilità nei confronti dell’umanità e l’ha sostituita con una responsabilità solo nei confronti di Israele. Dalla storica rivista progressista americana Dissent Magazine ho tradotto un articolo che ben racconta la deriva filo-israeliana e più in generale guerrafondaia occidentale dei Verdi tedeschi, un partito originariamente ecopacifista, parallela alla loro omologazione nell’establishment.

di Hans Kundnani*
Nei cinque mesi trascorsi dal 7 ottobre, le persone di tutto il mondo hanno assistito con orrore alla Germania che ha utilizzato la memoria dell’Olocausto per mettere a tacere le critiche alla guerra di Israele a Gaza. La risposta del governo tedesco al conflitto stesso non è stata poi così diversa da quella degli Stati Uniti: entrambi hanno aumentato la fornitura di armi a Israele e hanno sostenuto Israele contro il Sud Africa presso la Corte internazionale di giustizia. Ma la Germania è andata molto oltre gli Stati Uniti nel perseguitare manifestanti, artisti e intellettuali che esprimevano simpatia e solidarietà con il popolo palestinese. La responsabilità di un genocidio del passato viene esercitata come una sorta di autorità morale.
L’invocazione dell’Olocausto per reprimere le critiche a Israele è ben lontana dalla Erinnerungskultur, o cultura della memoria, che un tempo molti osservatori internazionali celebravano come una forma esemplare di confronto con il passato. Persino la filosofa Susan Neiman, che cinque anni fa scrisse un libro in cui celebrava la cultura della memoria tedesca come modello per gli Stati Uniti, ora pensa che sia andata “in tilt”. Neiman parla di un “maccartismo filosemita” particolarmente tedesco – anche se, poiché spesso è stato diretto anche contro gli ebrei critici nei confronti di Israele, come la scrittrice del New Yorker Masha Gessen e l’artista Candice Breitz, potrebbe essere più corretto chiamarlo “maccartismo sionista”.

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Una dichiarazione degli ebrei americani che si oppongono alla lobby ebraica

Sul sito dello storico settimanale progressista statunitense The Nation è stata pubblicata il 20 marzo questa dichiarazione collettiva. 

Una dichiarazione degli ebrei americani che si oppongono all’AIPAC

“Sosterremo i candidati che si oppongono all’AIPAC e che sono sostenitori della pace e di una nuova, giusta politica statunitense nei confronti di Israele/Palestina”.

Per decenni, l’American Israel Public Affairs Committee (o AIPAC) è stata l’ala più potente della lobby israeliana negli Stati Uniti. Fino a poco tempo fa godeva del sostegno quasi totale dei politici di entrambi i principali partiti politici.

Negli ultimi anni, tuttavia, gli atteggiamenti all’interno del Partito Democratico nei confronti di Israele, Palestina e della stessa AIPAC hanno cominciato a cambiare radicalmente, minacciando il potere di lobbying dell’AIPAC. In risposta, l’AIPAC ha iniziato a intervenire in modo aggressivo nelle elezioni primarie democratiche, spendendo ingenti somme di denaro per sconfiggere i candidati politici che potrebbero opporsi alle politiche del governo israeliano. L’AIPAC si è recentemente vantata di essere “dollaro su dollaro, il maggior contribuente ai candidati alle elezioni di medio termine del 2022 ” e ha in programma di spendere ancora più soldi nel 2024.

Gran parte del potere e della legittimità dell’AIPAC derivano dall’idea che essa rappresenta ampiamente il punto di vista degli ebrei americani. Ma gli ebrei non sono mai stati un monolite e, sulla scia dell’incessante attacco israeliano a Gaza, sempre più ebrei americani si esprimono a favore di un diverso tipo di politica.

La seguente lettera aperta ne è un chiaro esempio. È stata firmata da eminenti ebrei americani di ogni ceto sociale , i quali hanno tutti deciso di ripudiare pubblicamente sia l’abbraccio incondizionato dell’AIPAC al governo israeliano sia i suoi tentativi di schiacciare il nascente movimento all’interno del Partito Democratico per un nuovo approccio verso Israele e Palestina. 

Di seguito il testo della lettera. Continue reading Una dichiarazione degli ebrei americani che si oppongono alla lobby ebraica