I referendum di domenica e lunedì rappresentano un’occasione storica di rinascita della nostra democrazia malata e di riconquista della res pubblica da parte dei cittadini. In particolare i due quesiti sull’acqua costituiscono un punto di svolta rispetto a 20 anni di fallimentari riforme bipartisan che hanno reso il nostro paese più povero, ingiusto e arretrato. Fortunatamente i movimenti sociali e la tanta vituperata sinistra radicale con i referendum sono riusciti a chiamare a raccolta i cittadini di solito frastornati dalle risse del ceto politico. Per disincentivare un voto popolare che si teme più della peste i privatizzatori – governo e poteri forti – ora si travestono da grillini e invocano i privati contro la casta. Lo fanno perché il ripetere le solite tiritere liberiste sulle virtù delle privatizzazioni non funziona più dal momento che queste ricette hanno condotto a una crisi economica globale. I privatizzatori sostengono con spudoratezza che i cittadini sarebbero poco informati come se non fosse loro responsabilità non aver accettato per mesi un confronto pubblico e aver cancellato dalla programmazione televisiva le tribune referendarie. Ora predicano l’astensione come Craxi nel ’93 e questo è davvero di buon auspicio. Oppure come prestigiatori giungono a negare che oggetto del referendum sia la privatizzazione dell’acqua. Per farlo ovviamente devono offendere promotori e sostenitori del referendum: i primi sarebbero ingannatori, i secondi creduloni (anche se tra le loro fila vi sono docenti universitari o arcivescovi). La questione è semplice: si è tentata di imporre per legge la privatizzazione forzata della gestione dell’acqua e dei servizi pubblici locali. Il provvedimento – bloccato in parlamento altre volte dalla sinistra radicale- nell’estate di due anni fa è passato alla chetichella. Non c’erano più comunisti a Montecitorio! Purtroppo per loro i movimenti per l’acqua bene comune non si sono arresi e hanno raccolto le firme per i referendum. In nessun paese europeo si è imposta per legge la privatizzazione alle comunità locali. Un capolavoro dopo il profluvio di retorica sul federalismo. L’affidamento ai privati in Italia era già possibile, ha già fatto tanti danni ed è possibile trarre un bilancio. Infatti il record di perdite lo detiene l’acquedotto romano gestito dall’Acea, una spa quotata in  Borsa i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Caltagirone e multinazionale Suez. E’ surreale che i privatizzatori denuncino tardivamente i carrozzoni clientelari delle spa perché l’assurdo obbligo di gestire i servizi pubblici attraverso soggetti di diritto privato (con la possibilità di assumere senza concorsi) è stato il primo passaggio della privatizzazione. Noi referendari da 10 anni contestiamo questa gestione privatistica di un servizio pubblico a livello nazionale e sui territori e abbiamo depositato in parlamento nel 2006 una legge di iniziativa popolare sottoscritta da più di 400.000 cittadini (di cui ho avuto l’onore di essere stato relatore). Tale legge di riforma, bloccata dai veti trasversali della casta, prevedeva la cancellazione di queste famigerate spa e l’adozione di modelli di gestione del servizio pubblico traparenti ed efficienti. Non può essere definito una “riforma†il decreto Ronchi oggetto del referendum perché non ha affrontato il tema di come rendere più efficiente il servizio ma semplicemente ha imposto di cedere ai privati le quote della spa entro una certa data. I privatizzatori evitano di dire che il decreto che difendono non cancellerà la cattiva politica perché le società saranno miste e sarà proprio la casta a selezionare i partner privati amici scrivendo i bandi e gestendo le gare. Laddove c’è malcostume i cittadini pagheranno con le bollette i costi della partitocrazia più la remunerazione dei privati. I privatizzatori parlano di liberalizzazioni ma dimenticano di dire che i servizi idrici sono monopoli e quindi non ha senso parlare concorrenza (per questo motivo nel 1907 il liberale Luigi Einaudi fu promotore in parlamento della municipalizzazione dell’acqua). Non sapendo a quale santo votarsi i privatizzatori dicono che per garantire gli investimenti lo Stato dovrà far pagare i cittadini. E’ l’argomento più incredibile perché è sicuramente meglio un’imposizione progressiva come vuole la Costituzione rispetto ad aumenti generalizzati delle tariffe che incidono maggiormente sulla massa della popolazione. La gente fa quotidianamente esperienza dell’aumento progressivo dei pedaggi delle autostrade privatizzate e sa benissimo che se vuoi andare da Pescara a Roma non vi è alcuna concorrenza perché non vi sono alternative per il cittadino utente. Inoltre privati che operano nel campo delle costruzioni avranno interesse a opere faraoniche o inutili perché tanto a pagarle saranno i cittadini. E’ facile prevedere che dopo aver ceduto le quote ai privati , come già accaduto per Tav e autostrade, in nome di chissà quale emergenza una bella iniezione di denaro pubblico andrà a coprire i costi delle infrastrutture. Particolarmente fastidiosa è questa ideologia del pubblico incapace. Il business dell’acqua si è inizialmente sviluppato ad opera delle multinazionali supportate da Fondo Monetario e Banca Mondiale nei paesi del sud del mondo con risultati piuttosto disastrosi (ed è forse questa esperienza empirica che ha spinto il mondo cattolico che ben conosce quelle vicende ad assumere posizioni così nette su questo referendum). Il tentativo di imporlo nei paesi avanzati non ha funzionato e laddove si è privatizzato a macchia di leopardo si sta tornando di gran corsa indietro. Due grandi capitali europee, Parigi e Berlino, hanno ripubblicizzato l’acqua di recente. In gran parte dei comuni dell’Unione Europei, per non parlare di  Svizzera e Stati Uniti, la gestione dell’acqua è pubblica ma questo i privatizzatori fanno finta di non saperlo. Gli italiani avranno la possibilità di dare uno stop alla deriva argentina di svendita dei beni comuni di un sistema di potere politico-affaristico che ha condannato il paese al declino. Fino all’ultimo secondo cerchiamo di contattare quante più persone per informarle, sensibilizzarle, invitarle al voto. Sono in ballo scelte importantissime che segneranno il nostro paese per i prossimi decenni. Mi rivolgo anche a chi ha votato PDL (se ha cambiato idea sull’acqua il PD perchè non possono farlo loro?) e soprattutto a chi di solito si astiene. Domenica non si sceglie un candidato o un partito ma quale Italia e quale pianeta vogliamo.
 Maurizio Acerbo, consigliere regionale PRC
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