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Franco Berardi Bifo: la caduta del Muro evento liberatorio

Altro che elogio del Muro e del socialismo reale
La libertà non è valore secondario a nulla

E’ paradossale. Proprio quando le ultime vestigia del comunismo sembrano essersi cancellate dalla storia del mondo, proprio quando le forme organizzative prodotte dal movimento comunista novecentesco sembrano essersi dissolte, il capitalismo entra nella sua crisi (forse) finale.

Oggi assistiamo al collasso (non alla crisi) dell’economia capitalista. Ma proprio dall’esistenza di un movimento comunista, proprio dall’esistenza di un’alternativa sociale radicale come solo il comunismo può essere (e non e’ mai stato) dipende la possibilità di mettere la parola fine alla storia dello sfruttamento.
E allora? Allora forse occorre dare un senso e uno sbocco alla volontà di rifondazione che negli ultimi anni ha animato settori coscienti del movimento di classe. E per far questo occorre prima di tutto chiedersi cosa sia stato il comunismo novecentesco, e perché abbia finito per crollare così rovinosamente da trascinare con sé anche la forza sociale e contrattuale dei lavoratori.
La parola comunismo evoca due diversi ordini di questioni: in primo luogo evoca la priorità dell’interesse sociale rispetto all’interesse privato, implica l’abolizione della proprietà privata (o la sua subordinazione all’interesse pubblico), ed infine implica la comunione dei beni d’uso indipendentemente dal loro valore di scambio.
Ma in secondo luogo, nella realtà storica la parola comunismo ha significato, e di conseguenza evoca inevitabilmente nella memoria e nell’immaginazione collettiva, una metodologia politica basata su premesse filosofiche di tipo storico-dialettico. La società capitalistica è stata intesa come totalità, e la rottura sociale operaia è stata concepita come il superamento dialettico e come l’instaurazione di una totalità superiore e successiva.
L’eredità dell’illusione di origine hegeliana, secondo cui nella storia si presentano delle formazioni totalizzanti e si verificano delle rotture capaci di “abolire” la forma presente e di instaurare totalità, filtra nella storia del movimento operaio attraverso le ambiguità filosofiche di Marx, e si salda infine con il soggettivismo paranoico del pensiero di Lenin.
Occorrerebbe in verità ricostruire la genesi della metodologia politica del comunismo novecentesco partendo dalla storia del pensiero moderno della politica, partendo cioè dalla visione machiavelliana della volontà in opposizione al caso (alla fortuna, dice Machiavelli) e dalla visione hobbesiana dello stato come espressione della volontà politica che risolve il conflitto sociale. Ma qui ci limitiamo a ricordare che il leninismo, ovvero la forma che il comunismo novecentesco ha preso inevitabilmente dopo la rottura del 1917, ha finito per modellare in modo profondo le linee di sviluppo dei movimenti operai così da costringerli a subire una visione di tipo oppositivo-dialettico che non comprende assolutamente la realtà delle vicende umane e sociali.
In effetti il comunismo leninista (e dopo il ’17 comunismo ha finito per significare obbligatoriamente leninismo) ha prodotto una identificazione del movimento reale con l’astrazione storicista e dialettica. La lotta di classe è stata di conseguenza ridotta al terreno di una contraddizione semplice, nella quale il soggetto fattosi partito afferma un progetto soggettivo e volontaristico di imposizione di una forma totalizzante.
Questa visione è fallita molto prima del 1989, forse già negli anni della Nep sovietica, e certamente negli anni della Rivoluzione culturale cinese. Ma ha continuato a imporsi come verità di stato, come pilastro essenziale della sopravvivenza di uno stato totalitario che ha sistematicamente sacrificato alla sua sopravvivenza gli interessi e il futuro della classe operaia internazionale. Per questo il crollo del muro e soprattutto il crollo dell’Urss, pur avendo scatenato processi di regressione spaventosa, vanno considerati come fenomeni di tipo liberatorio: hanno aperto la strada a una visione finalmente non più totalizzante e non più totalitaria del movimento operaio e del comunismo. Ma questo dipende dall’evoluzione presente e futura, dipende dalla nostra capacità di ricostruire, oggi, una prospettiva comunista libertaria egualitaria e umanistica, nel crollo del capitalismo globale, nell’imminenza di una barbarie generalizzata.

da Liberazione, 11/01/2009

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