La notizia di una querela dell’amministrazione comunale di Pescara nei confronti di un quotidiano on line come Primadanoi è di una gravità inaudita.
E’ davvero una caduta di stile, un segno di nervosismo e arroganza sul quale spero ci sia un momento di pausa e riflessione.
Gli assessori di Pescara potevano più semplicemente redarre e sottoscrivere un comunicato in cui dichiaravano di non aver incontrato nè discusso di vicende attinenti l’amministrazione comunale con il sindaco D’Alfonso da quando si è sospeso dall’incarico.
Una smentita delle voci riferite da Primadanoi che il quotidiano avrebbe sicuramente pubblicato.
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Primadanoi si è segnalato in questi anni per la sua indipendenza, per lo spazio dato a tutte le voci fuori dal coro dei sistemi di potere clientelari, per le inchieste, per un prezioso lavoro che ha messo a disposizione dei cittadini tanti documenti che altrimenti sarebbero rimasti ben chiusi nei cassetti.
Primadanoi rappresenta sicuramente un’esperienza di innovazione autentica, uno spazio di libertà a disposizione degli abruzzesi.
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Se l’intenzione è quella di intimidire la redazione di pdn credo che D’Angelo & co. si siano fatti male i conti.
L’unico risultato che potranno ottenere è quello di vedere crescere l’interesse e la curiosità della cittadinanza verso uno strumento di informazione libera.
Ricordo che ultimamente chi ha minacciato querele non ha fatto molta strada, anzi si è ritrovato inquisito, come è accaduto ai vertici di ACA e ATO per le nostre denuncie relative all’erogazione di acqua inquinata e
a un noto imprenditore rinviato a giudizio per abusi sulla spiaggia.
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Invio la mia più totale solidarietà alla redazione di primadanoi e una sonora pernacchia alla giunta di Pescara.
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Maurizio Acerbo, consigliere regionale PRC
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P.S.: Se ho capito bene sarà l’amministrazione a farsi carico della querela (con i suoi costi) e non i singoli membri della Giunta a spese loro. Insomma questo atto liberticida sarà a spese dei pescaresi?
L’oro di Napoli – Eduardo De Filippo – ‘o pernacchio http://www.youtube.com/watch?v=gkrnK0igAP0
[…] fatte attendere, a partire dal capogruppo regionale di RC Maurizio Acerbo che, dopo aver scritto un comunicato nel suo blog dove dice tra l’altro Gli assessori di Pescara potevano più semplicemente redarre e […]
un vecchio amico e compagno che ora insegna all’università di torino mi ha fatto notare il poco elegante “redarre” che avevo usato nel comunicato.
mi è sembrato opportuno correggere il testo (e infatti su facebook c’è un più appropriato redigere).
Visto che ci siamo approfondiamo la questione: che differenza c’è tra il verbo “redarre” e il verbo “redigere”? Quando si usa il primo e quando il secondo?
Sappiamo che il sistema lingua tende alla semplificazione e che uno dei motori dell’innovazione è la spinta analogica (redarre come trarre, con participio passato terminante allo stesso modo: redatto / tratto), per cui è possibile che redarre un giorno affianchi o perfino scalzi redigere, verbo di uso limitato, specialistico (redigere un atto, un contratto) e si imponga anche nei vocabolari e nelle grammatiche come (unica) forma pienamente accettabile. Fino a quando quel giorno non sarà venuto, non considereremo come accettabile redarre. Nell’appendice alla grammatica di Luca Serianni, Italiano (una garzantina), stesa da Giuseppe Patota, si dedica un apposito riquadro alle forme in questione. Vale la pena citare: «redigere / redarre: nessun dubbio: la forma corretta è la prima; la seconda è dovuta all’attrazione del verbo trarre, favorita dalla comune terminazione in -atto dei due participi passati (redatto – tratto)». È vero che un dizionario come il Devoto-Oli (2004-5) mette a lemma la forma redarre: ma ciò dimostra la sensibilità dei lessicografi che, prendendo atto della forma errata ma circolante nell’uso, decidono di riportarla all’interno del lemmario, dando però la seguente perentoria indicazione: «Forma errata per redigere, modellata sul tema del participio passato redatto». Anche il Vocabolario Treccani porta a lemma redarre. Certamente dalla formulazione («Forma talora usata erroneamente in luogo di redigere») si capisce che, nel giro di una quindicina d’anni (il volume del Vocabolario che contiene la voce redarre è del ’91) la forma redarre si è espansa nell’uso.