Visto che poco si è parlato in Italia dell’ondata di mobilitazione sindacale in Polonia contro le misure economiche del governo vi propongo una mia maldestra traduzione di un articolo di un giornalista polacco pubblicato sulla storica rivista di sinistra americana Dissent. Le lotte dei lavoratori polacchi piacevano ai media quando erano contro il regime socialista. Nella stessa Polonia dopo aver celebrato il ruolo di Solidarnosc, ora la nuova classe dirigente ne farebbe volentieri a meno anzi tratta i lavoratori che protestano come nemici dello Stato. Buona lettura!
Nel mese di settembre la Polonia è scesa in sciopero. In molti altri paesi colpiti da difficoltà economiche e severe misure di austerità , uno sciopero di massa non sarebbe una notizia. Ma in un paese dove i media senza sosta ribadiscono il dogma che il grande pubblico è “passivo” e non ci sono sindacati “con cui vale la pena di ragionare” questa è davvero una notizia.
A partire dall’11 settembre una vasta coalizione di sindacati (tra cui l’Alleanza dei sindacati di tutta la Polonia e Solidarnosc sono solo i più noti), anarchici, movimenti sociali e persone deluse dal governo di centro destra del primo ministro Donald Tusk si è impadronita di Varsavia. Manifestazioni e raduni di protesta sono durati per quattro giorni consecutivi e, per molti – grazie alla scala di massa e all’onnipresente bandiera rossa e bianca di Solidarność – ha suscitato la memoria della Solidarnosc originale del 1980, il movimento largamente responsabile per la decomposizione del sistema socialista.
Per quanto questa analogia possa sembrare ispirata, si scopre essere anche pericolosa. Coloro che protestano oggi non stanno combattendo contro qualche malvagio “sistema” impersonale, ma contro i difetti concreti delle politiche neoliberiste attuate per affrontare la crisi in corso.
È il programma economico del primo ministro Tusk e del governo della sua Piattaforma Civica (PO) – il primo in ventiquattro anni di storia della Terza Repubblica polacca a governare per un intero mandato e a essere rieletto – che causa preoccupazione tra i sindacati e i lavoratori della Polonia. Nonostante il fatto che la crisi economica mondiale ha lasciato l’economia polacca relativamente indenne, anzi ci fu un tempo in cui la Polonia era il solo Stato membro UE con un PIL in crescita, che ha portato i politici a vantarsi che la Polonia fosse una “Green Island” – ci sono un numero crescente di persone che vivono la disperazione dei lavori precari e contratti a breve termine, uno status solo leggermente migliore della disoccupazione. La quale, per inciso, è anche impennata, soprattutto tra i giovani con istruzione universitaria. Le modalità per risolvere questi problemi del governo di Tusk sono esattamente l’opposto di quello che molte persone – sostenute da molti economisti, giornalisti e intellettuali – hanno la sensazione che dovrebbe essere fatto.
Negli ultimi mesi i polacchi hanno assistito all’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni (che prima era di sessantacinque anni per gli uomini e sessanta per le donne), all’eliminazione della giornata lavorativa di otto ore e alla ristrutturazione dei fondi pensione privati - il tutto in nome del portare competitività ed elasticità all’economia locale.
O meglio, al fine di aggredire il deficit e portare in equilibrio a breve termine il rapporto debito/pil, come i critici sostengono. Sono queste politiche neoliberiste che hanno provocato l’indignazione generale e le più grandi proteste da anni. La lista di rivendicazioni dei manifestanti non era lunga: aumentare il salario minimo, ritirare la riforma dell’età pensionabile e porre fine al lavoro “flex-time” e ai contratti a breve termine. Solo la loro ultima richiesta – a Tusk di dimettersi – può essere considerata esagerata o irraggiungibile. Ma innanzitutto per la maggior parte dei media e l’elité ricca in Polonia i sindacati ed i dimostranti non sono interlocutori. Indipendentemente dalla correttezza delle loro richieste e dal sostegno popolare di cui godono essi sono descritti – nel migliore dei casi – come populisti e demagoghi. Anche parole come “rivoltosi” e “teppisti” vengono usate spesso. La “plebaglia” è semplicemente non “abbastanza ragionevole” per essere trattata seriamente.
Questo ha portato i media a tracciare il raffronto tra i manifestanti di oggi e il movimento Solidarnosc del 1980. E, purtroppo – non solo per i sindacati ma per la prospettiva di cambiamento sociale in Polonia in generale – questo confronto non è mai favorevole verso coloro che esigono i loro diritti qui e ora. La narrazione abituale sulle recenti proteste funziona più o meno così: la Solidarnosc originale combatté con un sistema che era costruito su una bugia. Essa si basava su sostegno popolare ampio e i suoi membri e sostenitori subirono percosse e tutte le altre possibili forme di oppressione dello stato compresa la detenzione. I manifestanti di oggi combattono le realtà eque e moderne del capitalismo liberale. Sono guidati da un gruppo di dirigenti sindacali ben pagati e isolati dalla realtà quotidiana dei lavoratori che essi pretendono di rappresentare. Essi capitalizzano il risentimento popolare antimodernista che sbarra la strada delle riforme progressiste che potrebbero trasformare la Polonia in una democrazia veramente occidentale.
Uno degli esempi più significativi di tale retorica è un articolo pubblicato ancor prima che le proteste effettivamente avessero avuto luogo, dal titolo “Due ‘Solidarnosc'” (“Dwie ‘SolidarnoÅ›ci'”). In quel pezzo, pubblicato dalla liberale Gazeta Wyborcza – una volta solidale con i sindacati quando fu fondata dai leader dell’opposizione anti-comunista strettamente legati a Solidarnosc indietro negli anni – JarosÅ‚aw Kurski scrive che lui si “vergogna” di ciò che passa sotto il nome di un sindacato oggi. Kurski scrive:
Quella Solidarnosc era un movimento di emancipazione per tutto il Paese questa Solidarnosc di oggi è un movimento di una nuova classe – l’esatblishment del sindacato. Quella Solidarnosc è stata seguita da milioni di persone in nome della libertà e della giustizia per tutti – questa Solidarnosc di oggi è seguita da migliaia di persone, in nome dei privilegi per pochi.
Tali affermazioni non sono solo false – i manifestanti hanno il sostegno popolare, realtà economiche dure sono tutt’altro che eque e questo governo ha mentito numerose volte contraddicendo quasi tutte le sue promesse fatte durante gli ultimi anni – ma pongono una richiesta che non può essere soddisfatta: che ogni nuova protesta che ogni nuovo movimento sociale sia una nuova Solidarnosc. Questo non è semplicemente possibile – e sia i media che i politici sono ben consapevoli di questo – ma tuttavia riduce i manifestanti al le ombre dell'”l’originale” solidarnosc. Questo agli occhi di molti, li fa apparire meno seri, meno popolari meno rappresentativi della classe lavoratrice nel suo complesso indipendentemente dal numero di persone che si riuniscono per le strade di Varsavia. Non c’è da stupirsi che questa tattica funzioni: la realtà è destinata a perdere se paragonata con la leggenda. I sindacati sono – come Maciej Gdula da Krytyka Polityczna (critica politica) ha osservato- ricattati dal mito, impegnati in un gioco che non possono vincere.
Ma questa convinzione che la Solidarnosc originale è stato il primo e unico movimento popolare con la legittimità sociale – una convinzione già considerata come un’enunciazione vuota tranne che dagli ambienti economici ultra-liberisti e da alcuni dei mezzi di comunicazione – è destinata al fallimento. Non perché ci sia un cambiamento radicale in arrivo tanto presto piuttosto perché non riflette il reale stato delle cose. I sindacati di oggi in Polonia non possono essere la Solidarnosc originaria ma operano all’interno dei loro diritti costituzionali ed esprimono le preoccupazioni non solo del lavoro industriale – come molti pensano - ma del precariato dei giovani professionisti, dei disoccupati, e dei pensionati. Coloro che affermano che le proteste di Varsavia non rappresentano gli interessi di nessuno tranne quelli dei leader sindacali non potrebbero essere più lontani dalla verità .
Neanche la seconda accusa più popolare contro i sindacati , che non agiscono “razionalmente”, non è fondata . Contrariamente a quello che dicono i loro oppositori, i manifestanti hanno un programma coerente. Ci sono esperti ed economisti disposti a sostenere la loro causa, non è la rabbia vuota di una “folla che mostra un atteggiamento radicalmente esigente” e vuole abolire  il governo illuminato e liberale. Né vi è violenza tra i manifestanti. Quelle paure sono ormai lontane, hanno perso il loro fascino soprattutto dal momento che un paio di anni fa quando ci sono stati movimenti effettivamente attratti dalla violenza incanalando la rabbia popolare in un delirio nazionalista e anti-UE. Ciò di cui Varsavia è testimone oggi è una forma di populismo che è adatta ugualmente per la strada e per il dibattito accademico. Il governo semplicemente non vuole riconoscere il carattere civile e anche moderato degli scioperi.
L’approccio dei media ai movimenti sociali (o alla loro mancanza) in Polonia di solito è che il grande pubblico è “passivo” ed “disimpegnato”, e che nessuna manifestazione di massa era possibile perché non c’è “società civile” in Polonia. Sulla scia delle proteste fino a 100.000 persone nella sola Varsavia nessuno ha più il coraggio di indulgere in queste sciocchezze. Coloro che vogliono scoraggiare le persone dal sostenere gli scioperi si rivolgono al concetto opposto: che ci sia una società di tipo occidentale e liberale consolidata in Polonia ma coloro che si sono riuniti per un paio di giorni ventosi a settembre per esprimere il loro disaccordo con le politiche di Tusk non sono rappresentativi di quella società . Che queste persone non hanno la legittimità , che mancano di esperienza, che operano in violazione della legge. Quanta ironia nel fatto che la prima Solidarnosc fu diffamata dalla propaganda statale con parole non molto diverse da quelle?
Questa nuova visione non durerà per molto tempo ormai. Alla fine, il confronto tra le proteste di oggi e del passato si basa su un mito che è per lo più coltivato tra le élite. Per chi sta in basso è la realtà che conta.
Jakub Dymek scrive per Opinion Daily ed è un membro di Political Critique di Varsavia.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.