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Ernesto Ragionieri: La Prima Internazionale

iwa-posterUn lungo articolo di Ernesto Ragionieri pubblicato su l’Unità il 29 settembre 1964 in occasione del centenario della fondazione della Prima Internazionale.

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Probabilmente non molti fra gli osservatori contemporanei ebbero immediatamente la consapevolezza precisa che il meeting indetto il 28 settembre 1864 alla St. Martin Hall di Londra era destinato ad aprire una fase nuova nella storia del movimento operate internazionale. Si trattava, è vero, di una riunione che annoverava fra i propri organizzatori i due nuclei più forti, più importanti e più ricchi di tradizioni gloriose della classe operaia in quel momento esistenti, e cioè i rappresentanti delle Trade Unions inglesi e gruppi di operai francesi che coi loro compagni di Oltremanica avevano già riallacciato i rapporti in occasione della Esposizione Universale di Londra del 1863, e ai quali si erano uniti per la circostanza i rappresentanti nella emigrazione degli operai tedeschi, svizzeri, polacchi e italiani. Il fine per il quale la manifestazione era stata convocata era di carattere non ristretto, non corporativo. ma politico e concerneva la solidarietà con l’insurrezione polacca repressa dall’assolutismo zarista. Però le parole d’ordine con le quali il meeting si svolse, i discorsi che ne caratterizzarono lo svolgimento non sembravano oltrepassare i limiti del democratismo borghese e del generico solidarismo fra i popoli. Tentativi simili erano stati effettuati più volte fino a quel momento nella storia d’Europa tanto prima quanto dopo, sia pure con assai maggiore difficoltà, la rivoluzione del 1848: ma la partecipazione e il sostegno di associazioni operaie non avevano impedito che i comitati internazionali sorti da simili manifestazioni non avessero approdato a nulla di stabile e di duraturo.

Se però il meeting della St.Martin Hall ebbe un esito diverso da tutti questi precedenti ed approdò alla costituzione della prima grande organizzazione internazionale del movimento operaio, l’Associazione Internazionale degli Operai, ciò si dové a due elementi altrettanto importanti per esprimere la maturità dei tempi per una simile impresa: il grado dello sviluppo reale raggiunto dal movimento dei lavoratori e la presenza di un alto livello di coscienza teorica.

Infatti, la ripresa e lo sviluppo del capitalismo dopo 1850 avevano notevolmente contribuito alla estensione della grande industria in Inghilterra e sul continente europeo. Il processo di formazione della classe operaia era divenuto uno dei tratti caratteristici della vita economica e sociale di numerosi paesi: laddove si estendeva il fenomeno della « rivoluzione industriale», masse compatte di operai di fabbrica apparivano al posto dei gruppi ristretti di operai ancora in gran parte legati all’artigianato che nel corso della rivoluzione del 1848 avevano rappresentato la «classe operaia ». Però la sconfitta subita da quel movimento rivoluzionario aveva respinto notevolmente indietro le posizioni e gli orientamenti del movimento operaio. Il risveglio che agli inizi degli anni ’60 era caratteristico dei lavoratori di tutti i paesi di più avanzato sviluppo economico e sociale si manifestava sotto bandiere politiche che per un verso o per l’altro venivano a negare la necessità di una funzione protagonistica della classe operaia mentre ne contestavano seriamente il collegamento internazionale. Il tradeunionismo in Inghilterra, il lassallismo in Germania, il  proudhonismo in Francia, il mazzinianesimo in Italia erano senza dubbio indirizzi di organizzazione politico e sociale molto diversi fra loro e che corrispondevano passivamente alle peculiarità di sviluppo dei singoli paesi nei quali si erano manifestati. Tutti quanti però avevano in qualche modo comune un carattere angusto, limitativo, per molti si dirà giustamente «settario», che finiva col negare un carattere autonomo all’azione della classe operaia e a subordinarla alla direzione politico di singole frazioni della borghesia nazionale.

Questa contraddizione fra le possibilità del movimento reale e gli indirizzi delle sue «guide» teoriche era molto chiara ad un uomo che al meeting della St.Martin Hall aveva assistito — lo scriverà qualche settimana dopo — «come figura muta» dal banco della presidenza, in rappresentanza degli artigiani tedeschi emigrati a Londra. Il suo nome – Karl Marx – era destinato a divenire famoso e popolare soltanto tre anni dopo, con la pubblicazione del primo volume del Capitale. Negli anni vissuti in esilio, dopo avere partecipato in primissimo piano in Germania alla rivoluzione del 1848-’49, non aveva condiviso le avventurose speranze nell’impossibile ritorno di una rivoluzione nelle vecchie forme del passato. Aveva meditato sulle cause della sconfitta della rivoluzione e aveva indagato con profondo rigore scientifico i nuovi sviluppi della situazione preparandosi a riprendere su nuove basi l’attività rivoluzionaria. Egli rappresentava davvero la coscienza critica del movimento; nella sua continuità come nei suoi elementi nuovi. Per questo, incluso nella sottocommissione per la redazione del programma e degli statuti, divenne presto il capo della nuova organizzazione. Per quanto formalmente sempre in secondo piano rispetto ai radicali e ai sindacalisti inglesi che occuparono le cariche direttive più rappresentative dell’Internazionale, Marx  dette l’impronta del suo genio teorico all’attività dalla sua formazione fino alla sua dissoluzione.

L’opera di Marx

Particolarmente in Italia dove ebbe uno sviluppo più tardo e fu in gran parte sotto l’influenza bakunista l’opera di Marx è stata troppo a lungo conosciuta e giudicata attraverso lo spettro deformante delle critiche e delle accuse rivolte contro dall’agitatore russo. Nulla però contrasta di più con la sostanza dei fatti dell’affermazione che Marx intendesse imporre  dogmaticamente il proprio punto di vista o che volesse costituire un Consiglio Generale dotato di pieni poteri alla testa di una organizzazione fortemente centralizzata sovrastante le singole sezioni nazionali.

Lo smentiscono in primo luogo il contenuto dell’Indirizzo inaugurale e l’orientamento degli statuti provvisori, che redasse nell’ottobre del 1864 sostituendoli al programma e allo schema di statuto elaborati inizialmente in un senso profondamente influenzato dall’idealismo mazziniano. Già la sostituzione del programma con l’indirizzo inaugurale è di per sé significativa.

Quell’indirizzo, che resta tutt’oggi uno dei documenti più importanti della storia del movimento operaio internazionale, fu giustamente definito da Marx «una specie di rassegna delle vicende delle classi lavoratrici dal 1845». Infatti così facendo, Marx metteva al posto della immancabile dichiarazione sugli «eterni principi» un’analisi storica dello sviluppo capitalistico, sostituiva alla affermazione di una «verità» la definizione della caratteristica della situazione nella quale la classe operaia era chiamala a muoversi, faceva scaturire l’indicazione dei

compiti della classe operaia non già da una petizione di principio, ma dalla considerazione dello sviluppo reale e delle sue contraddizioni.

Il contenuto dell’indirizzo e degli statuti é noto. Nel primo Marx sottolineava come il grandioso sviluppo del capitalismo non fosse valso

nè in Inghilterra nè sul continente ad alleviare le condizioni di miseria degli operai, ma avesse soltanto dimostrato che «nessun perfezionamento della macchina, nessuna applicazione della scienza alla

produzione, nessun progresso dei mezzi di comunicazione, nessuna nuova colonia, nessuna emigrazione, nessuna apertura di nuovi mercati, nessun libero scambio, né tutte queste cose prese insieme eliminassero la miseria delle classi lavoratrici; ché anzi, sulla falsa base presente, ogni nuovo sviluppo delle forze produttive del lavoro inevitabilmente deve tendere a rendere più profondi i contrasti sociali, e più acuti gli antagonismi sociali». Lo sviluppo del capitalismo affratellava gli operai inglesi e gli operai del continente europeo già divisi durante la rivoluzione: «Se dunque, tra la classe operaia inglese e quella del Continente non vi era stata solidarietà di azione, vi era ora in ogni caso solidarietà nella disfatta». Marx era consapevole di lanciare questo appello ad operai presso i quali si era notevolmente offuscata la tradizione rivoluzionaria. Perciò, se il documento si concludeva con le stesse parole del Manifesto Comunista («Proletari di tutti i paesi, unitevi!»), al tempo stesso ne attenuava i toni e si faceva a considerare gli elementi «positivi» della nuova situazione che riformatori borghesi e socialisti di varie scuole presentavano come vie di uscita dalla difficile condizione del proletariato. Tanto la legge sulla limitazione della giornata lavorativa a dieci ore quanto i primi esperimenti positivi di cooperative di produzione direttamente gestite da lavoratori erano dichiarati da Marx fatti interessanti, capaci di dimostrare come fosse  possibile sottrarsi alle rigide leggi della offerta e della domanda e dare vita a forme di produzione «senza l’esistenza di una classe di padroni che impieghi una classe di operai». Ma né l’uno né l’altro di questi lati «positivi» arrivavano ad intaccare i privilegi politici delle classi dominanti. Perciò Marx indicava come grande compito della classe operaia la conquista del potere politico, che, sola, avrebbe potuto consentire una profonda trasformazione sociale.

Marx, affermando che l’emancipazione della classe operaia deve essere l’opera della classe operaia stessa», e che «L’emancipazione economica

della classe operaia» è il grande fine cui deve essere subordinato, come mezzo, ogni movimento politico, enunciava un programma che si saldava col movimento reale e vi introduceva gli elementi di coscienza socialista che egli aveva approfondito nello studio dello sviluppo capitalistico. Ma un uguale passo in avanti egli faceva compiere alla formula organizzativa del movimento operaio attraverso gli statuti dei quali proponeva la introduzione. Wilhelm Eichhoff, autore di una Storia del’Internazionale pubblicata nel 1868 alla cui redazione Marx prese una parte assai attiva (…) osservava come Marx avesse concepito i poteri del Consiglio Generale in forme tali che eliminassero anche la parvenza di un governo centrale del movimento operaio.

Nella sua lotta contro le sette e per il pieno spiegamento del movimento operaio, Marx mirava a eliminare ogni residuo della associazione segreta e a conferire alla Internazionale una direzione pubblica e controllabile dal basso, corrispondente al carattere oggettivamente democratico del movimento operaio. Di qui la concezione articolata dell’Internazionale come «mezzo centrale di collegamento e di collaborazione tra le Associazioni operaie che esistono nei diversi paesi e tendono allo stesso fine» e i compiti di informazione, di collegamento

e di coordinazione assegnati al suo organismo dirigente, cioè al Consiglio generale.

La parte sostenuta da Marx nella direzione dell’Internazionale è ancora troppo poco nota in Italia. Ma qui basterà fare riferimento, per indicare la linea da lui seguita, alle «istruzioni» da lui trasmesse ai rappresentanti del Consiglio Generale che partecipavano al primo congresso tenutosi a Ginevra nel 1866. Al centro dei compiti dell’Internazionale Marx collocava la necessità di far si che gli operai non soltanto si sentano fratelli e compagni nell’esercito della emancipazione, ma anche si comportino come tali. Per raggiungere questo obiettivo spettava all’Internazionale non già di dettare o di imporre agli operai  «un qualsiasi sistema dottrinario», ma più semplicemente di «unificare e di generalizzare i movimenti spontanei della classe operaia». Marx sapeva che la strada per arrivare alla costituzione di partiti politici che consentissero al proletariato di operare come classe sarebbe stata lunga e difficile e vedeva la necessità di accompagnare con gradualità il processo di sviluppo di una coscienza socialista in seno alla classe operaia. Caratteristica  della sua concezione in questo senso è la sua proposta, contenuta appunto in queste « istruzioni», di estendere dovunque fosse possibile la costituzione dei sindacati i quali, sorti inizialmente con obiettivi limitati su questioni di salario e di tempo di lavoro, si erano venuti gradualmente trasformando in «centri di organizzazione della classe operaia». Marx introduceva qui per la prima volta quel confronto fra la funzione dei sindacati per la classe operaia e la importanza dei Comuni per la borghesia medievale, che era destinata ad avere una larga risonanza in Italia nei primi anni del nostro secolo a proposito delle Camere del lavoro.

Marx ebbe a scrivere che la lotta dell’Internazionale era stata tutta una continua lotta del Consiglio Generate contro le sette e contro gli esperimenti dilettanteschi che cercavano di prevalere sul movimento reale della classe operaia. E, ove si vada a guardare da vicino il grado di intensità della lotta e la tattica seguita da Marx  e dal Consiglio Generale non si mancherà di osservare come appunto il movimento reale della classe operaia costituisse di questa lotta la pietra di paragone fondamentale.

Verso i trade-unionisti inglesi, ad esempio, che rappresentavano una forza reale del movimento operaio, Marx tenne un atteggiamento di stretta collaborazione almeno fino a che questi, dopo la Comune di Parigi del 1871, che L’Internazionale non aveva promosso ma aveva decisamente sostenuto, non ruppero la loro solidarietà col proletariato rivoluzionario. Si limitò ad operare fortemente nei loro confronti perché non trasformassero il movimento operaio in un semplice supporto delle correnti riformatrici della borghesia inglese. Fra il 1865 e il 1867, ad esempio, nel corso della campagna per l’allargamento del suffragio politico che vedeva accomunati insieme operai e borghesi progressisti, Marx insisté con particolare forza nel Consiglio Generale perche quella battaglia fosse intesa come una parte integrante della lotta per la democrazia, e criticò la soluzione di compromesso che fu alla fine raggiunta attraverso un semplice e limitato allargamento del suffragio.

Democrazia e socialismo

Ma la partecipazione della classe operaia alle lotte politiche era intesa da Marx in un senso più ampio delle battaglie politiche all’interno dei singoli paesi. Tutto il problema dei rapporti fra democrazia e socialismo trova nell’azione dell’Internazionale  un primo decisivo approfondimento al livello delle questioni poste dalla società del tempo. E significativo in proposito è soprattutto l’intervento

compiuto dall’Internazionale in tutte le grandi questioni di politica internazionale: le dichiarazioni di solidarietà  alla lotta per l’indipendenza della Polonia, la condanna dell’ oppressione dell’Irlanda da parte dell’Inghilterra, l’appoggio all’opera del presidente Lincoln per la liberazione degli schiavi, le discussioni sul problema della pace e della guerra e le prese di posizione intorno alla guerra franco-prussiana non costituiscono soltanto il prolungamento di un solidarismo democratico ereditato da quanti avevano partecipato alle precedenti rivoluzioni europee; rappresentavano altresì la manifestazione dell’interesse specifico della classe operaia a che condizioni più favorevoli alla propria emancipazione fossero realizzate mediante la eliminazione dei contrasti caratteristici di periodi precedenti la formazione e la diffusione del modo di produzione capitalistico.

Questa considerazione del rapporto fra democrazia e socialismo esteso anche alle questioni della politica internazionale. Era inoltre il segno della opposizione

di Marx alla concezione catastrofica e unilaterale delle sette che appunto l’essenza di quel rapporto contestavano o mettevano in discussione.

Il primo periodo della storia dell’Internazionale ebbe al proprio centro la battaglia fra questa concezione del rapporto fra democrazia e socialismo, fra lotta economica

e lotta politica, che costituisce la prima incarnazione storica di ciò che nei decenni successivi della storia del movimento operaio verrà sviluppandosi come «marxismo»,  e il proudhonismo assai ricco di influenza fra i lavoratori  particolarmente della Francia e del Bclgio. Fino all’immediata vigilia della guerra franco-prussiana del 1870 furono i seguaci di Proudhon a contrastare il passo alla direzione del Consiglio Generate opponendosi in ogni forma, anche attraverso uno stravolgimento e una deformazione del testo degli statuti dell’Internazionale, alle affermazioni favorevoli alla partecipazione degli operai alla lotta politica non meno

che alla necessità della organizzazione sindacale o alle dichiarazioni di collettivismo. E’ però significativo della concezione delle possibilità e dei compiti dell’Internazionale che Marx aveva, il rilevare il carattere di estrema gradualità della

lotta condotta dal Consiglio Generale per superare le posizioni proudhoniane fondate sulla difesa accanita della cooperazione e del credito considerati come mezzi esclusivi e universalmente validi per la emancipazione della classe operaia. Questa lotta, che si prolungò con varie vicende per ben quattro congressi dell’Internazionale partì sempre dal riconoscimento della situazione di fatto, e cioè del parziale fondamento nelle cose che la diffusione di una simile dottrina trovava nella condizione di una classe operaia ancora depressa dal «bagno di sangue» del giugno del ’48 e costretta nell’ambito dell’Impero napoleonico a vivere in condizioni che ne limitavano fortemente la libertà di organizzazione e la possibilità di partecipare in modo autonomo alla lotta politica.

Certo, se ben più deciso e risoluto fu l’atteggiamento di Marx nei confronti dell’altra setta contro la quale si concentrò successivamente il fuoco del Consiglio Generale e cioè contro il bakunismo, ciò si dové anche alla posizione di maggior forza raggiunta

Dall’Internazionale, al prestigio che aveva conseguito presso le masse operaie nonché per essere divenuta il simbolo della rivoluzione appoggiando e difendendo la causa della Comune. Ma diversa, é doveroso riconoscerlo, era anche la natura della setta e del particolare indirizzo che cercava di imprimere alla attività e alla organizzazione dell’Internazionale. I risultati della ricerca storica possono avere messo in discussione questo o quel particolare della requisitoria spietata mossa

nel 1871-72 e negli anni successivi da Marx e da Engels contro Bakunin; hanno anche confermato però come non già «motivi personali» ma ragioni sostanziali e di principio animarono la polemica di Marx contro Bakunin. A ragione, Togliatti in un saggio su marxismo e bakunismo (…), nel mettere in evidenza come l’antitesi fra Marx e Bakunin fosse piena e investisse tutte le questioni fondamentali per lo sviluppo del movimento operaio, osservava come per molti aspetti e trasponesse sul piano della problematica socialista numerosi punti di vista caratteristici della fiducia

che la borghesia aveva accumulato nel corso della sua esperienza per la libertà politica ed economica. Di qui discendeva in primo luogo l’affermazione di Bakunin secondo la quale lo Stato costituiva il nemico principale del proletariato, non già come espressione di determinati rapporti di classe e come strumento delle classi dominanti, ma come Stato in sé, creatore di questi stessi rapporti e dello sfruttamento delle classi lavoratrici da parte delle classi dominanti. Il «livellamento delle classi » che sarebbe subentrato dopo la dissoluzione dello Stato sarebbe stata la conseguenza di un colpo di mano insurrezionale preparato da un gruppo di cospiratori appoggiato sugli strati più arretrati della popolazione lavoratrice della città e della campagna. L’indirizzo dell’Internazionale veniva negato in blocco non soltanto perche il bakunismo contestava punto per punto tutto il lavoro che l’Internazionale aveva svolto fino a quel momento, metteva in discussione la lotta economica non meno che la partecipazione alla lotta politica, ma anche perchè Bakunin si rifiutava di accettare la struttura organizzativa e la disciplina della Internazionale mediante la costituzione di una associazione segreta, l’Alleanza Democratica Universale, rivolta a conquistare dall’interno la direzione  dell’Internazionale.

Si è molto discusso dei motivi che poterono indurre Marx nell’ultimo congresso dell’Internazionale (L’Aja, settembre 1872) a proporre e a fare accettare, col trasferimento negli Stati Uniti del Consiglio Generale, la fine di fatto dell’Internazionale. E’ difficile pensare che a Marx sfuggissero i pratici effetti di quel trasferimento: nonostante egli guardasse con lungimiranza agli sviluppi industriali del nuovo continente, non poteva certo immaginare che lì già fossero presenti forze capaci di farsi centro del movimento operaio internazionale. E’ assai più probabile che egli valutasse con estremo realismo una situazione generale resa precaria dal fatto che, dopo la Comune, l’Internazionale, fatta oggetto dovunque ad una persecuzione furiosa da parte dei governi, era divenuta troppo debole per non soggiacere alle troppo numerose spinte centrifughe, che andavano dalla defezione dei sindacati inglesi al separatismo che l’agitazione di Bakunin fomentava nei paesi latini. Marx era un rivoluzionario che aveva troppo meditato sulle difficoltà delle rivoluzioni per non comprendere che prolungare la vita dell’Internazionale sarebbe stato pregiudicarne il compito che tanto mirabilmente aveva assolto. Il discorso pubblico che egli tenne all’Aja al termine del congresso col suo accenno alle possibilità diverse di accesso al potere che si aprivano al movimento operaio nei diversi paesi indica chiaramente la sua consapevolezza che l’Internazionale aveva aperto la strada alla formazione del proletariato in «partito politico autonomo, che si oppone a tutti gli altri partiti delle classi possidenti», ciò che era appunto uno dei fini assegnati all’Internazionale all’atto della sua fondazione.

Le forze dell’Internazionale e le lotte operaie

Come tutte le cose fatte oggetto di un odio inestinguibile e di un amore indomato, l’Internazionale è stata spesso trasportata nel regno della leggenda. I suoi avversari come i suoi fautori, per opposti motivi, ne hanno a più riprese alterato e dilatato la consistenza effettiva. Il Times nel 1871 ne valutò gli aderenti a due milioni e mezzo, mentre Oscar Testut, il famoso agente segreto «numero 47» che all’Internazionale   dedicò tutta una serie di scritti, parlò addirittura di cinque milioni di membri. Ma erano gli stessi internazionalisti, i rappresentanti delle singole sezioni che nei loro saluti ai congressi si facevano portatori di cifre assai elevate.

La realtà fu più modesta e soprattutto assai diversa. In una recente storia delle organizzazioni internazionali Julius Braunthal ha ricostruito la consistenza numerica dell’Internazionale sulla scorta di uno spoglio assai attento dei documenti ed è arrivato a conclusioni che ridimensionano notevolmente quelle cifre leggendarie. Nei singoli paesi i membri individuali della Internazionale si contavano sulla base di unità ben inferiori: a poche centinaia in Inghilterra ad alcune migliaia in Francia e in Svizzera, a non più di un migliaio in Gcrmania, dove fra l’altro la adesione ad associazioni internazionali era ostacolata da severi divieti di legge; mentre in Spagna e in Italia si diffuse prevalentemente nella sua versione bakunista, in altri paesi come l’Olanda, la Danimarca e gli Stati Uniti ebbe rappresentanze sparute e la sua sezione russa ebbe vita soltanto nella emigrazione.

Un discorso diverso deve farsi invece per le adesioni all’lnternazionale non individuali, ma collettive, di associazioni sindacati, cooperative e politiche di lavoratori. Per quanto difficile possa risultare un tale calcolo, molto ampia risulta in questo senso la influenza dell’Internazionale in virtù dell’azione e dell’intervento costanti che essa esercitò nelle lotte operaie del tempo. Il Consiglio Generale intervenne più volte, ad esempio, per impedire che in occasione degli scioperi di operai inglesi lavoratori « crumiri» venissero importati dai paesi del continente europeo e conquistò mediante quest’opera una grande popolarità fra gli operai inglesi: nel 1869 ben 28 sindacati inglesi, fra i quali quello assai importante dei meccanici, risultavano aderire all’Internazionale. A sua volta il Consiglio Generale organizzò a più riprese sottoscrizioni e interventi di solidarietà a favore di operai in sciopero in Francia, in Svizzera, nel Belgio e altrove. A partire dal 1867 quando il Consiglio Generale raccolse un cospicuo fondo per sostenere i lavoratori del bronzo di Parigi in parte licenziati e in parte minacciati di licenziamento per avere voluto sostenere la loro organizzazione sindacale, simili interventi si fecero sempre più numerosi ed efficaci; nel 1868 appoggiò uno sciopero dei muratori di Ginevra per una riduzione della giornata lavorativa da 12 a 10 ore che costrinse gli  imprenditori ad un compromesso; sempre nello stesso anno sostenne uno sciopero dei setaioli di Lione, nel 1869 la lotta dei minatori belgi, e ancora altre lotte operaie in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti. L’Internazionale non riceveva da questi interventi soltanto un prestigio quale precedentemente nessun’altra associazione aveva mai conosciuto. Forti gruppi di questi lavoratori vi aderirono entusiasticamente, magari senza che questa adesione si rivelasse un fatto duraturo o permanente, ma iniziandosi concretamente attraverso queste esperienze di lotta ai principi dei quali l’Internazionale era portatrice. E ancora: per quanto le leggi vigenti nei rispettivi paesi ne impedissero una adesione formale all’Internazionale, il Partito Operaio Socialdemocratico Tedesco fondato ad Eisenach nel 1869 e le associazioni socialiste dell’Impero austro-ungarico si richiamavano in modo esplicito ai principi dell’Internazionale fino ad includerli nei loro programmi. (…)

Da allora il movimento per la emancipazione della classe operaia, sostanzialmente circoscritto in quegli anni alle avanguardie dei lavoratori dei paesi economicamente e socialmente più sviluppati, si è esteso a masse sterminate di uomini di tutti i continenti, si e identificato in modo sempre più stretto con la causa universale della liberazione dell’uomo. Guida del suo cammino sono state le parole contenute nell’Indirizzo inaugurale di Marx del 1864: «La classe operaia possiede un elemento del successo, il numero; ma i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti  dalla organizzazione e guidati dalla conoscenza». Il corso della storia del mondo è stato cambiato dall’intervento di questa forza costruttrice di nuovi Stati e di nuovi ordinamenti sociali, capace dovunque di organizzarsi come forza politica autonoma. Sono variate e possono ancora variare le forme di collegamento organizzato nelle quali si esprime e realizza la solidarietà del movimento organizzato dei lavoratori. Ma se questo primo incontro fra le idee del socialismo scientifico e la classe operaia dominò per dieci anni una parte della storia europea, e «precisamente quella parte in cui è riposto l’avvenire » (Engels), questo avvenire è divenuto  sempre più il presente del nostro tempo. Quell’incontro costituisce la costante dello sviluppo del movimento operaio internazionale ed è la base insopprimibile della sua unità. Sviluppare questo incontro in un processo confortato dall’esperienza alla luce dei problemi nuovi della situazione del nostro tempo, in un necessario approfondimento della diversità  delle vie di sviluppo del movimento reale, è ancora oggi la lezione che scaturisce dalla Associazione fondata cento anni or sono.


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