Il 9 ottobre 1964 moriva improvvisamente e prematuramente (aveva 43 anni) Raniero Panzieri, il fondatore dei Quaderni rossi, una delle più originali figure di dirigente e intellettuale militante del movimento operaio italiano. La sua influenza fu determinante per la “nuova sinistra” e il movimento sindacale, le sue analisi anticiparono il ciclo di lotte operaie degli anni ’60-’70, la sua opera di rinnovamento del marxismo e di reinvenzione delle forme della politica e dell’organizzazione della cultura rappresentano ancora un esempio valido di rifondazione del socialismo e del comunismo oltre la socialdemocrazia e lo stalinismo. La sua biografia di militante e intellettuale coerente e non allineato, che paga con l’emarginazione la sua ricerca di nuove strade, costituisce un esempio etico e politico di inestimabile valore in questa Italia di opportunisti e ignavi. Ho creato su facebook una pagina dedicata a Raniero Panzieri che vuole essere un piccolo ma sentito omaggio a questo “Socrate socialista” che se ne andò troppo presto.
Quello che segue è un articolo di Panzieri scritto quasi al termine di quello che Ingrao poi ha definito “l’indimenticabile ’56”, l’anno del 20° congresso con la denuncia da parte di Kruscev dei crimini di Stalin e dell’invasione dell’Ungheria. Senza esagerare credo che Raniero Panzieri sia stato un rifondatore ante-litteram. Per quanto mi riguarda è stato da sempre un punto di riferimento prezioso e oserei dire un modello da cui trarre ispirazione. Un perdente certo, ma che ha seminato tanto.
“La ragione evidente della tragedia che scuote i paesi a direzione comunista nell’Europa orientale è nella terribile forza di inerzia, forza di idee di strutture e di uomini, che ha tentato di infrenare la trasformazione democratica, cioè autenticamente socialista, che lo stesso svolgimento del XX Congresso del Pcus aveva provocato. (…) Non è possibile limitare ai paesi socialisti l’insegnamento che deriva dagli eventi polacchi e ungheresi e rifiutarsi di riconoscere il valore che esso ha per tutto il movimento operaio di tutti i paesi del mondo, senza ripetere il terribile errore che consiste oggi nel tentativo di perpetuare le vecchie posizioni dogmatiche. Per quanto pesante sia l’inerzia che richiama al passato, per quanto sia potente il fascino della coerenza formale del vecchio sistema, per quanto grande possa essere il timore di distruggere ciò che si è costruito in lunghi anni di lotta, vi è oggi per i militanti comunisti del movimento operaio un solo modo di servirne gli interessi, di conservare le stesse conquiste finora realizzate: riconoscere lealmente la rottura qualitativa che si è verificata, abbandonare ogni doppiezza e cautela, condurre fino in fondo il rinnovamento che si impone. (…) Tale critica deve riguardare anzitutto il rapporto meccanico verso l’Unione Sovietica, ristabilendo in pieno il criterio marxista dell’internazionalismo proletario che non può in nessun caso essere deformato nel rispetto passivo verso una potenza statale.
Deve riguardare la concezione del partito-guida, che stabilisce una assurda identità tra la classe operaia e il partito, identità che viceversa non può darsi a priori, ciò che porta alla direzione burocratica e autoritaria, ma è da verificare sempre in un rapporto veramente dialettico, nel quale il partito si pone come strumento della classe.
Deve riguardare la concezione stessa della politica delle alleanze della classe operaia, che non deve essere intesa come automatica coincidenza degli interessi delle altre classi oppresse con quelli della classe operaia, ma come la capacità della stessa classe operaia di sostenere in concreto gli interessi generali della nazione.
Deve quindi riguardare, questa critica radicale, il modo di organizzare le masse, rinunciando ad ogni criterio di meccanica direzione dall’alto, ad ogni determinazione autoritaria e gerarchica.
Il profondo rinnovamento culturale e pratico che si propone al comunismo non coincide perciò in nessun modo con l’abbandono del marxismo, ma si presenta anzi come ripresa critica di esso al di là delle cristallizzazioni e deformazioni dogmatiche dello stalinismo. Per il comunismo italiano in particolare si presenta come ripresa del pensiero di Gramsci, da restituire alla sua piena originalità oltre ogni “˜conciliazione” con lo stalinismo. I capisaldi del marxismo come metodo di analisi e di azione riemergono in tutta la loro forza e validità.
Si riafferma in pieno il principio dell’analisi scientifica della società come analisi concreta, determinata, da verificare nell’azione.
Si riafferma attraverso tragiche esperienze il principio dell’internazionalismo proletario.
Si riafferma in tutto il suo vigore il principio dell’azione di classe come autonomia delle classi sfruttate e oppresse nella lotta per la loro liberazione.
Si riafferma la prospettiva della rivoluzione proletaria come rivoluzione intesa non a sostituire nei privilegi una vecchia classe con una nuova, ma ad abolire, con le classi, tutti i privilegi.(…)
Il pericolo insito nell’attuale situazione della sinistra in Italia è che la crisi si sviluppi nella duplice cristallizzazione del movimento popolare in posizioni settarie di vecchio tipo comunista da un lato e in forme solo apparentemente rinnovate di riformismo dall’altra parte.
Raniero Panzieri, La crisi del comunismo, da Il punto 10 novembre 1956, ripubblicato in Raniero Panzieri, L’alternativa socialista, Scritti scelti 1944-1956, Einaudi 1982
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