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Non mi stupisce che si respiri un clima di consenso bipartisan intorno alla nomina dell’architetto Gaetano Fontana a capo della Struttura tecnica di missione che ha l’obiettivo di sovrintendere la ricostruzione dell’Aquila. Dopotutto la deregulation urbanistica, cioè la mano libera alla speculazione, è stata bipartisan in Abruzzo come in tutta Italia.
Che Fontana entusiasmi Chiodi come ieri Del Turco e D’Alfonso è la dimostrazione di quanto poco alternativi tra di loro siano PD e PDL e di quanto siano trasversali i poteri reali in questo paese.
Mi capiterà per l’ennesima volta di essere la voce fuori dal coro, ma che venga scelto per coordinare la ricostruzione il direttore generale dell’Associazione nazionale dei costruttori mi sembra scelta assai discutibile, segno inequivocabile della subalternità della politica agli interessi non certo collettivi dei signori del mattone.
Non conosco personalmente Fontana e non ne metto in dubbio le competenze tecniche che saranno sicuramente eccellenti vista la lunga carriera nel ministero dei lavori pubblici, poi ribattezzato delle infrastrutture.
Negli anni ’90 Fontana diventa segretario della Dicoter (direzione del coordinamento territoriale). In questo periodo inventa il grimaldello che ha distrutto l’urbanistica in Italia. In primo luogo sostituisce ai piani urbanistici i “progetti di intervento”. C’è un evidente cambio di scala tra le vecchie categorie di intervento e quelle da lui inventate (programmi di recupero urbano, programmi di riqualificazione, Prusst): esse sono infatti ritagliate sull’iniziativa dei proprietari e non più sulla dimensione urbana più coerente. Ma il suo capolavoro è la parte procedurale. Alla variante urbanistica che consentiva comunque di poter intervenire ai consigli comunali viene sostituito l’istituto dell’accordo di programma con cui, una volta approvato il progetto edilizio, si va automaticamente in variante di piano. L’accordo di programma è sottoscritto tra il sindaco e la proprietà immobiliare: il consiglio comunale viene chiamato soltanto a ratificarlo (senza dunque poter intervenire nel merito) soltanto dopo la sottoscrizione. La democrazia cancellata e l’urbanistica abolita, dunque. Proprio per questi meriti conseguiti sul campo, nel 2008 lascia la pubblica amministrazione per andare a ricoprire il ruolo di direttore generale dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance). Dal pubblico al privato come nelle porte girevoli degli alberghi. Ora l’inventore degli accordi di programma e della deregulation urbanistica viene chiamato a supervisionare la ricostruzione. E’ surreale che venga chiamato a vigilare sulla torta della ricostruzione il direttore generale dell’associazione nazionale costruttori? Capisco che in Italia il conflitto d’interessi non sia di casa, ma non era meglio individuare un urbanista specializzato in centri storici?
  Maurizio Acerbo, consigliere regionale PRC
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