Un piccolo estratto dal libro di David Harvey “Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo“.
Non solo le elite capitaliste e i loro accoliti intellettuali e accademici che sembrano incapaci di produrre una rottura radicale con il loro passato o di definire un’uscita percorribile dalla crisi di crescita ridotta, stagnazione, elevata disoccupazione e perdita di sovranità statuale a vantaggio del potere dei possessori di bond. Le forze della sinistra tradizionale (partiti politici e sindacati) sono palesemente incapaci di fare una opposizione solida al potere del capitale. So stati bastonati da trent’anni di assalti politici della destra, mentre il socialismo democratico è stato screditato. Il collasso stigmatizzato del comunismo oggi esistente e la “morte del marxismo” dopo il 1989 non hanno fatto che peggiorare le cose. Quello che rimane della sinistra radicale ora opera in gran parte al di fuori di tutti i canali istituzionali o di opposizione organizzata, nella speranza che azioni a piccola scala e l’attivismo locale alla fine possano sommarsi e dare qualche sorta di macroalternativa soddisfacente. Questa sinistra, che stranamente riecheggia un’etica libertaria e addirittura neoliberista di antistatalismo, è nutrita intellettualmente da pensatori come Michel Foucault e da tutti quelli che hanno rimesso in piedi i frammenti del postmoderno sotto la bandiera di un poststrutturalismo, in gran parte incomprensibile , che predilige le politiche dell’identità ed evita l’analisi di classe. Ovunque sono evidenti prospettive e azioni autonomiste, anarchiche e localiste. Ma mentre questa sinistra cerca di cambiare il mondo senza prendere il potere, una classe capitalista plutocratica sempre più consolidata resta senza sfidanti nella sua capacità di dominare il mondo senza vincoli.  Questa nuova classe dominante ha l’aiuto di uno Stato di sicurezza e di sorveglianza che non ha alcun ritegno a usare i suoi poteri di polizia per mettere a tacere ogni forma di dissenso, nel nome della lotta al terrorismo.
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