Da estimatore dei libri dello storico Enzo Traverso ho tradotto questa bella recensione del suo ultimo libro Malinconia di sinistra. Avendo fondato negli anni ’80 una rivista a 19 anni che si chiamava Spleen e dato che “in mezzo alle sconfitte ci sono nato” come rappava un poeta della mia generazione mi ritrovo nella “tradizione nascosta” di cui parla Traverso.Â
Questo brillante saggio è un tentativo di recuperare una tradizione nascosta e discreta: la tradizione della “malinconia di sinistra”. Questo stato d’animo non fa parte della narrazione canonica della sinistra: la sinistra è più orientata a festeggiare gloriosi trionfi che tragiche sconfitte. Tuttavia, la memoria di queste sconfitte – dal giugno 1848 a maggio 1871, gennaio 1919 e settembre 1973 – e la solidarietà con la sconfitta nutrono la storia rivoluzionaria come un invisibile fiume sotterraneo. Nelle profondità della rassegnazione, questa melanconia di sinistra è un filone rosso che attraversa la cultura rivoluzionaria, da Auguste Blanqui al cinema critico, passando per Gustave Courbet, Rosa Luxemburg e Walter Benjamin. Traverso con forza – e contro-intuitivamente – rivela l’intensa carica sovversiva, emancipatoria del lutto rivoluzionario.
La storia del socialismo negli ultimi due secoli è stata una costellazione di sconfitte tragiche e spesso sanguinose. Tuttavia, ciò non porta all’accettazione dell’ordine stabilito – anzi al contrario. Nel suo ultimo articolo del gennaio 1919, Rosa Luxemburg scrisse “La strada del socialismo è pavimentata da sconfitte … da cui traiamo esperienza storica, scienza, forza, idealismo!”. Lo stesso spirito ha animato Che Guevara quando ha detto ai suoi assassini nell’ottobre del 1967: “abbiamo perso, ma la rivoluzione è immortale”. Tuttavia, secondo Traverso questa dialettica della sconfitta potrebbe portare ad una sorta di teodicea secolare, con una fede quasi religiosa nella vittoria finale. È meglio riconoscere, come fece la Luxemburg nel 1915, che il futuro rimane incerto: “il socialismo o la barbarie”.
A differenza delle sconfitte gloriose del passato – 1848, 1871, 1919 – la sconfitta del 1989 (la caduta del Muro di Berlino, seguita dalla restaurazione del capitalismo) è stata una lugubre sconfitta che ha generato disillusione. Di qui lo sviluppo, da quegli anni, di un marxismo malinconico di cui Daniel Bensaïd è stato uno dei rappresentanti più eminenti. Secondo Enzo Traverso, la sua arte risiede in quello che Walter Benjamin definiva l’organizzazione del pessimismo: vale a dire, venire incontro al fallimento senza capitolare al nemico, sapendo che un nuovo inizio adotterà forme senza precedenti.
La malinconia di sinistra si esprime meglio nelle creazioni dell’immaginario rivoluzionario che nelle controversie teoriche. Il libro esplora quindi come questa sensibilità figura nel cinema, attraverso le opere di Chris Marker, Gillo Pontecorvo e Ken Loach. A differenza di quando scriviamo la storia, l’obiettivo del cinema non è la precisione. Ma mostra la dimensione soggettiva degli eventi, e questo lo rende un barometro dell’esperienza rivoluzionaria. Un marxista anti-colonialista, Pontecorvo è stato il film-maker par excellence nel ritrarre le sconfitte gloriose che preparano il futuro, come ha fatto in La battaglia di Algeri (1966) o Queimada (1969), che Edward Said considerava un “capolavoro”. In un certo senso la stessa valutazione potrebbe anche riguardare Terra e Libertà di Ken Loach, che proietta una visione melanconica della rivoluzione spagnola del 1936-37 e tuttavia è “tutt’altro che rassegnato”. Il suo film è inteso come un monumento ai rivoluzionari del Novecento, un monumento epico colorato dal lutto e che non è né dogmatico né sentimentale.
Un altro capolavoro, Calle Santa Fé di Carmen Castillo (2007) è un epitaffio dedicato alla memoria del suo compagno e partner Miguel EnrÃquez e alle rivoluzioni latino-americane degli anni ’70. A differenza del film di Ken Loach, innanzitutto documenta una sensazione profonda: Carmen Castillo non indaga le ragioni della sconfitta, ma piuttosto le emozioni che produce questa sconfitta, così come le reazioni della gioventù cilena che esse stesse oggi “adottano la memoria della sconfitta”. Le pagine dedicate da Enzo Traverso a questo film sono tra le più belle del suo libro.
I film di questi tre registi, come quelli di Theo Angelopoulos e Patricio Guzmán, descrivono il ventesimo secolo come un’era tragica di rivoluzioni mancate e di utopie sconfitte. La loro malinconia di sinistra esprime il lutto collettivo di una generazione.
Traverso dedica un capitolo a quella che definisce “malinconia postcoloniale”, che ha due forme: 1) disincanto nei confronti dei processi di decolonizzazione falliti e 2) delusione per l’incontro fallito tra il marxismo e l’anticolonialismo. Egli analizza molto finemente gli scritti di Marx, raccogliendo sia la sua visione eurocentrica iniziale che la sua graduale trascendenza a partire dagli anni ’60. Nel corso del ventesimo secolo, la storia del marxismo è stata inestricabilmente legata ai movimenti di liberazione nazionale, benché i marxisti occidentali (Lukács, la scuola di Francoforte) ignorassero la lotta dei popoli colonizzati. A mio avviso, una tale limitazione è innegabile, ma non credo che abbia prodotto una “melancolia di sinistra”, a differenza del primo tipo di “malinconia postcoloniale” – i processi di indipendenza falliti – di cui Enzo Traverso parla molto poco, ma che gravò pesantemente su una generazione di militanti anti-coloniali.
L’ultimo capitolo del libro è dedicato al nostro amico Daniel Bensaïd. Nella nuova congiuntura creata dagli anni ’90 (la restaurazione del capitalismo nell’Unione Sovietica e nell’Europa Orientale), Daniel ha cercato di ripensare la storia sulla base di Marx e Trotsky, ma anche della “galassia melancolica” – Baudelaire-Blanqui-Péguy-Walter Benjamin – come il terreno degli incerti e dei possibili, delle biforcazioni e della crescita di nuovi rami. Possiamo criticare la lettura di Bensaïd degli scritti di Benjamin – e in particolare per quanto riguarda le sue Tesi sulla filosofia della storia – perché lascia da parte la loro dimensione teologica e la relazione con l’utopia. Tuttavia, questa lettura atipica e non convenzionale è stata una delle prime a individuare la dimensione politica di Benjamin. Più che un’interpretazione scolastica dei testi, il saggio di Bensaïd, Walter Benjamin, sentinelle messianique (1990) è una riflessione che inizia da Benjamin, che usava come bussola per i rivoluzionari nella tempesta del 1989-90. La rivoluzione non può essere concepita come qualcosa di “inevitabile”: come ipotesi strategica e orizzonte regolatore, deve necessariamente essere oggetto di una scommessa melanconica (scommessa di Pascal, riveduta e corretta dal marxista Lucien Goldmann).
In conclusione, Enzo Traverso critica il discorso normativo del presente momento che presenta il regime liberale e l’economia di mercato come l’ordine naturale del mondo e stigmatizza le utopie del ventesimo secolo. Questo discorso dominante ritiene la malinconia di sinistra colpevole per i suoi legami con gli impegni sovversivi del passato. Ma la Sinistra stessa spesso respinse la malinconia, per evitare di “dispiacere Billancourt” [espressione che indicava i lavoratori del grande impianto di Renault a Billancourt, uno storico “bastione” del Partito Comunista Francese]. È tempo di scoprire questa malinconia ribelle, che si distingue dalla rassegnazione e dalla semplice “compassione” per le vittime. Questo è uno degli attributi dell’azione rivoluzionaria ed è iscritta nella storia di tutti i movimenti che hanno cercato di cambiare il mondo negli ultimi due secoli. Perché “attraverso le sconfitte l’esperienza rivoluzionaria viene trasmessa da una generazione all’altra”. Credo che l’autore di Le Pari mélancolique (1997) [Daniel Bensaïd] sarebbe d’accordo con questa conclusione …
l’articolo di Michael Lowi è uscito su Viento Sur. Io ho tradotto la versione inglese dal sito della Verso books
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