Il Maggio ’68 a Parigi è stato un’esplosione inattesa. La Primavera di Praga, la conclusione di un lungo processo che aveva le sue radici nello shock del Terrore stalinista dei primi anni successivi al 1948.Â
Il Maggio parigino, legato soprattutto all’iniziativa dei giovani, era impregnato di lirismo rivoluzionario. La Primavera di Praga trovava la sua ispirazione nello scetticismo post-rivoluzionario degli adulti.Â
Il Maggio parigino era una gioiosa contestazione della cultura europea ritenuta noiosa, ufficiale, sclerotizzata. La Primavera di Praga era l’esaltazione di questa stessa cultura a lungo soffocata dall’idiozia ideologica, la difesa del cristianesimo come della miscredenza libertina e, naturalmente, dell’arte moderna (dico proprio: moderna, non post-moderna).Â
Il Maggio parigino ostentava il suo internazionalismo. La Primavera di Praga voleva ridare a una piccola nazione la sua originalità e la sua indipendenza.Â
In virtù di una «meravigliosa casualità », queste due Primavere, asincrone, venute da tempi storici diversi, si sono incontrate sul «tavolo anatomico» dello stesso anno.
(…)
Ah, i cari anni Sessanta; allora amavo dire, cinicamente: il regime politico ideale è una dittatura in decomposizione; l’apparato oppressivo funziona in modo via via più difettoso, ma è sempre lì a stimolare lo spirito critico e beffardo. Nell’estate del 1967, irritati dall’audacia del congresso dell’Unione degli scrittori e convinti che la sfrontatezza avesse passato il segno, i padroni dello Stato hanno cercato di inasprire la loro politica. Ma lo spirito critico aveva già contagiato perfino il comitato centrale del Partito che, nel gennaio del 1968, ha deciso di farsi presiedere da uno sconosciuto: Alexander Dubcek. E’ cominciata la Primavera di Praga: gaio, il paese ha goiosamente rifiutato lo stile di vita imposto dalla Russia; le frontiere dello Stato si sono aperte e tutte le organizzazioni sociali (sindacati, unioni, associazioni), destinate in origine a trasmettere al popolo la volontà del partito, sono diventate indipendenti e si sono trasformate negli inattesi strumenti di una inattesa democrazia. Nacque un sistema (senza alcun progetto preordinato, quasi per caso) che fu davvero senza precedenti: un’economia nazionalizzata al 100%, un’agricoltura nelle mani delle cooperative, nessuno troppo ricco, nessuno troppo povero, istruzione e sanità gratuite, ma anche: la fine del potere della polizia segreta, la fine delle persecuzioni politiche, la libertà di scrivere senza censure e, di conseguenza, il fiorire della letteratura, dell’arte, del pensiero, delle riviste. Ignoro quali fossero le prospettive future di quel sistema; nella situazione geopolitica di allora, di certo inesistenti; ma in un’altra situazione geopolitica? chi può saperlo… Ad ogni modo, il secondo durante il quale quel sistema è esistito, quel secondo è stato meraviglioso.
da Milan Kundera, Un incontro, Adelphi 2009
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