Community

Already a member?
Login using Facebook:
Powered by Sociable!

Archivi

Antonio Gramsci: Nazionalismo rivoluzionario? (1918)

Una pagina del giovane Gramsci che le suona ai nazionalisti che si atteggiano a rivoluzionari. 

La malafede degli innovatori popolareschi — scrive Maurizio Maraviglia nell’Idea nazionale — ha accreditato il preconcetto che il nazionalismo sia una dottrina conservatrice, la quale tende a mantenere e consolidare i privilegi di classe.
Il nazionalismo è invece essenzialmente rivoluzionario, anzi la sola vera dottrina rivoluzionaria, perché ha come punto di riferimento la nazione — nella sua unità politica, economica e spirituale —, mentre le altre dottrine non hanno punto di riferimento o ne hanno uno molto minore: la classe, il partito, la fazione, e magari le persone proprie degli stessi innovatori. Il nazionalismo è principio d’energia e come tale non rifugge dalle piú ardite innovazioni: un
economista nazionalista — Filippo Carli — si è fatto banditore del «partecipazionismo» e dell’«azionariato sociale», e la sua propaganda ha trovato larga eco nel campo nazionalista. 


Maurizio Maraviglia, come gli altri nazionalisti, crede aver esaurito trionfalmente la sua dimostrazione, affermando la «storicità» del punto di riferimento della sua dottrina. Ma le affermazioni hanno valore dogmatico, ed è questo uno strano modo di essere storicisti e rivoluzionari. La distinzione effettiva tra la dottrina nazionalista e le altre dottrine è implicitamente posta dal Maraviglia stesso in una questione di «dignità», non di storicità; la nazione è piú degna
della classe, dei partiti, dei singoli individui. Il rivoluzionarismo internazionalista si riduce quindi ad un’elegantissima questione retorica, simile in tutto alle questioni che i vecchi letterati facevano nel bel tempo antico per stabilire la maggiore dignità di un genere poetico piuttosto che di un altro, di un’opera d’arte piuttosto che di un’altra.
Nella storia non c’è il piú o il meno degno: c’è solo il necessario, il vivo e l’inutile, il cadavere. La classe, il partito, hanno altrettanta dignità che la nazione; essi anzi sono la nazione stessa, che non è un’astratta entità metafisica, ma concreta lotta politica di individui associati per il raggiungimento di un fine. Il fine è l’unica discriminante possibile di «dignità». E il fine non è un fatto, ma un’idea che si realizza attraverso i fatti. Fine rivoluzionario è la libertà, intesa come organizzazione spontanea di individui che accettano una disciplina per trovar in modo piú adeguato e idoneo i mezzi necessari allo sviluppo dell’umanità spirituale loro; intesa come massimo incremento dell’individuo, di tutti gli individui, ottenuto autonomamente dagli individui stessi. I nazionalisti sono conservatori, sono la morte spirituale, perché di «una» organizzazione fanno la «definitiva» organizzazione, perché hanno per fine non un’idea, ma un fatto del passato, non un universale, ma un particolare, definito nello spazio e nel tempo.
Il rivoluzionarismo nazionalista è pertanto solo confusionarismo. Se i partiti, le classi, gli individui sono necessari storicamente, hanno un loro compito da svolgere, il proporsene l’annullamento significa anche annullare il punto di riferimento cui si dice di tanto tenere: la nazione. E il fine reale cui i nazionalisti effettivamente rivelano di tendere non è altro che il consolidamento e la perpetuazione dei privilegi di un ceto economico: gli industriali odierni, e di un ceto politico, quello costituito dalle loro proprie persone di sedicenti innovatori. A danno delle energie economiche e politiche che la lotta politica, nel libero giuoco della concorrenza, può suscitare e avvalorare. A danno della nazione, che non è alcunché di stabile e definitivo, ma è solo un momento dell’organizzazione economico-politica degli uomini, è una conquista quotidiana, un continuo sviluppo verso momenti piú completi, affinché tutti gli uomini possano trovare in essa il riflesso del proprio spirito, la soddisfazione dei propri bisogni. Essa si è allargata dal Comune artigiano allo Stato nazionale, dal feudo nobilesco allo Stato nazionale borghese, in una affannosa ricerca di libertà ed autonomie. Tende ad allargarsi maggiormente, perché la libertà ed autonomie realizzate finora non bastano piú, tende a organizzazioni piú vaste e comprensive: la Lega delle Nazioni borghesi, l’Internazionale proletaria.
Il rivoluzionarismo nazionalista, la storicità della dottrina nazionalista è retorica e confusione.

Il Grido del Popolo, 23 marzo 1918; Avanti!, ed. milanese, 30 marzo 1918. firmato A. G.

Leave a Reply