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Joe Slovo: Il socialismo ha fallito? (1989)

GW0391, South Africa, Johannesburg, 1990: South African Communist Party – SACP, rally in Soweto. Winnie Mandela, Nelson Mandela, Joe Slovo. Photograph: Graeme Williams/South Photographs

Molti conoscono le foto in cui Mandela compare accanto a un bianco sotto una grande falce e martello. Pochi però conoscono la leggendaria vita di quel comunista ebreo bianco che fu compagno di lotta per tutta la vita di Nelson Mandela fin dagli anni dell’università (consiglio un mio articolo). Ho tradotto questo saggio di Joe Slovo, uno dei più importanti leader del movimento anti-apartheid in Sud Africa e segretario del South African Communist Party, perchè lo ritengo un contributo e una testimonianza eccezionale del pensiero di uno dei più grandi dirigenti rivoluzionari anticolonialisti e antimperialisti della seconda metà del Novecento. Joe Slovo e sua moglie Ruth First, assassinata nel 1982 da una lettera bomba dei servizi segreti del regime dell’apartheid, sono stati due leggendari combattenti per la libertà. Slovo alla fine del 1989 scrisse questo opuscolo sulla crisi di quello che veniva definito “socialismo reale” rompendo una storica reticenza. L’autore era alla guida di un partito che, nella lotta durissima e eroica contro il regime razzista sostenuto da USA e GB, aveva sempre ricevuto un forte sostegno dall’URSS e dagli altri paesi del socialismo di stato. Al contrario del PCI italiano il SACP non avrebbe potuto permettersi polemiche con chi meritoriamente garantiva sostegno mentre affrontava un nemico ferocissimo. Il crollo però dei regimi dell’Europa Orientale lo spinse a intervenire con posizioni esplicite probabilmente maturate da lungo tempo. Il testo di Slovo aprì il dibattito non solo nel partito sudafricano, che allora si apprestava a uscire dalla clandestinità, ma anche nella sinistra nordamericana. Negli USA il movimento anti-apartheid aveva avuto grande forza e assai stretti erano i legami tra il Partito Comunista degli USA (CPUSA) e quello sud africano. Autorevoli esponenti del CPUSA come Angela Davis e Charlene Mitchell fecero proprie le tesi di Slovo mentre il segretario filo-sovietico Gus Hall si oppose e sostanzialmente mise fuori dalla porta molte tra le figure più importanti del partito (la vicenda viene ricostruita in un’intervista di Charlene Mitchell al giornale del SACP ‘The African Communist’). Il saggio di Slovo era molto in sintonia con le posizioni che avevano caratterizzato il PCI e anche con le contemporanee posizioni che nel 1989-1991 sostenne la mozione della Rifondazione Comunista. Nel 1991 fu diagnosticato a Slovo un cancro e prese il suo posto alla guida del SACP il popolarissimo Chris Hani che fu assassinato nel 1993. Il vecchio Joe, che fu nominato ministro per le abitazioni da Nelson Mandela, morì nel 1995. Le vicende storiche che seguirono il 1989 – la sconfitta del tentativo riformatore di Gorbaciov e la fine dell’URSS, le contraddizioni del nuovo Sud Africa democratico dopo la caduta dell’apartheid – non smentiscono a mio giudizio le argomentazioni di Slovo a favore di un comunismo democratico e il valore del suo testo di cui consiglio la lettura. (M.A.)

L’argomento di questo documento di discussione sarà senza dubbio oggetto di dibattito negli anni a venire, sia all’interno che all’esterno dei partiti comunisti e operai. La pubblicazione di questa bozza è stata autorizzata dalla direzione del nostro partito, come trampolino di lancio per ulteriori riflessioni critiche. Alcuni colleghi hanno dato suggerimenti estremamente preziosi, che sono stati recepiti. Ma, nel suo insieme, rappresenta solo le prime riflessioni dell’autore.

Gennaio 1990

1. Introduzione

Il socialismo è indubbiamente alle prese con una crisi più grande che mai dal 1917. L’ultima metà del 1989 ha visto il drammatico crollo della maggior parte dei governi dei partiti comunisti dell’Europa orientale. La loro caduta è stata determinata da massicce sollevazioni che hanno avuto l’appoggio non solo della maggioranza della classe operaia ma anche di una larga fetta degli iscritti agli stessi partiti di governo. Si trattava di rivolte popolari contro regimi impopolari; se i socialisti non sono in grado di venire a patti con questa realtà, il futuro del socialismo è davvero cupo.

La crescente cronaca di crimini e distorsioni nella storia del socialismo reale, i suoi fallimenti economici e il divario che si è sviluppato tra socialismo e democrazia, hanno sollevato dubbi nelle menti di molti ex sostenitori della causa socialista sul fatto che il socialismo possa funzionare. In effetti, dobbiamo aspettarci che, per un certo periodo, molti dei paesi colpiti diventeranno facili bersagli per coloro che mirano a realizzare un ritorno al capitalismo, compreso l’abbraccio delle sue politiche estere.( 1 )

Tra i comunisti, dentro e fuori il mondo socialista, si sono scatenate anche violente reazioni di autoesame quanto mai necessarie. Da parte nostra, crediamo fermamente nel futuro del socialismo; e non neghiamo tutto il suo passato come un assoluto fallimento. ( 2 ) Il socialismo ha certamente prodotto uno Stalin e un Ceaucescu, ma ha anche prodotto un Lenin e un Gorbaciov. Nonostante le distorsioni al vertice, la nobiltà degli obiettivi fondamentali del socialismo ha ispirato milioni e milioni a dedicarsi altruisticamente alla sua costruzione sul terreno. E nessuno può dubitare che se l’umanità è oggi pronta a entrare in un’era senza precedenti di pace e relazioni internazionali civili, è in primo luogo dovuto agli sforzi del mondo socialista.

Ma è più che mai vitale sottoporre il passato del socialismo esistente a una critica spietata per trarne le necessarie lezioni. Farlo apertamente è un’affermazione di giustificata fiducia nel futuro del socialismo e nella sua intrinseca superiorità morale. E non dovremmo lasciarci inibire solo perché la denuncia dei fallimenti fornirà inevitabilmente munizioni ai tradizionali nemici del socialismo: il nostro silenzio, in ogni caso, offrirà loro munizioni ancora più potenti.

2. Risposte ideologiche

Le risposte ideologiche alla crisi del socialismo esistente da parte dei componenti di quello che prima era noto come Movimento Internazionale Comunista e Operaio (e tra i nostri stessi membri) sono ancora così varie e incerte che è presto per tentare una netta categorizzazione. Ma a rischio di un’eccessiva semplificazione, identifichiamo una serie di tendenze generali dalle quali dobbiamo guardarci:

  1. Trovare scuse per lo stalinismo;
  2. Attribuire la crisi al ritmo della perestrojka;
  3. Agire come se avessimo dichiarato una moratoria sulla critica socialista al capitalismo e all’imperialismo e, peggio ancora,
  4. Concludere che la teoria socialista rendeva inevitabili le distorsioni.

A. Attaccarsi allo stalinismo

Il termine “stalinismo” è usato per indicare lo stile burocratico-autoritario di leadership (di partiti sia al potere che fuori) che ha spogliato il partito e la pratica del socialismo della maggior parte del suo contenuto democratico e ha concentrato il potere nelle mani di una minuscola élite che si autoalimenta.

Sebbene lo stampo dello stalinismo sia stato modellato sotto la guida di Stalin, non si suggerisce che egli sia l’unico responsabile delle sue pratiche negative. Il contenuto essenziale dello stalinismo – socialismo senza democrazia – è stato mantenuto anche dopo Stalin nell’Unione Sovietica (fino all’intervento di Gorbaciov), sebbene senza parte del terrore, della brutalità e delle distorsioni giudiziarie associate allo stesso Stalin.

All’interno di una minoranza che va riducendosi c’è ancora riluttanza a guardarsi esattamente allo specchio della storia e ad ammettere che il socialismo che riflette è stato, a conti fatti, così distorto che un appello ai suoi risultati positivi (e naturalmente ce ne sono stati molti) suona vuoto e molto simile a una supplica speciale. È sicuramente ormai ovvio che se il mondo socialista è a brandelli in questo momento storico è a causa delle distorsioni staliniste.

Dovremmo avere poca pazienza con l’appello a mitigare che, date le circostanze, gli eccessi stalinisti (come la collettivizzazione forzata) hanno prodotto alcuni risultati economici positivi. Le statistiche che mostrano alti tassi di crescita durante il periodo di Stalin dimostrano solo che i metodi di accumulazione primitiva ( 3 ) possono stimolare una crescita puramente quantitativa nelle prime fasi del capitalismo o del socialismo – ma a quale costo umano? In ogni caso, ogni giorno emergono sempre più prove che, nel lungo periodo, gli eccessi hanno inibito il potenziale economico del socialismo.

Un altro motivo familiare di mitigazione è che l’effetto di mobilitazione del culto di Stalin ha contribuito a salvare il socialismo dalla sconfitta militare. Tuttavia, sta ora diventando chiaro che la distruzione quasi totale del personale di comando dell’Armata Rossa, la mancanza di un’efficace preparazione contro l’assalto di Hitler e gli interventi dittatoriali e dannosi di Stalin nella condotta della guerra avrebbero potuto costare la vittoria all’Unione Sovietica.

È chiaramente necessaria la vigilanza contro gli stili di lavoro e di pensiero pre-perestrojka che hanno infettato praticamente ogni partito (incluso il nostro) e plasmato i loro membri per così tanti decenni. Non è sufficiente lanciarsi nel grido di autocommiserazione: “siamo stati ingannati”; dovremmo piuttosto chiederci perché così tanti comunisti si sono lasciati accecare così a lungo. E, cosa più importante, perché si sono comportati come stalinisti nei confronti di quei loro compagni che hanno sollevato anche il minimo dubbio sulla “purezza” del marchio di socialismo di Stalin.

Nel mondo socialista ci sono ancora avamposti che piangono spudoratamente la ritirata dallo stalinismo e usano i suoi dogmi per “giustificare” pratiche antidemocratiche e tiranniche. È chiaramente una questione di tempo prima che la repulsione popolare porti a una trasformazione. In generale, coloro che ancora difendono il modello stalinista, anche in modo qualificato, sono una razza in via di estinzione; a livello ideologico saranno senza dubbio lasciati indietro e non hanno bisogno di trattenerci qui.

 

B. Incolpare Gorbaciov

La maggior parte dei comunisti, ovviamente, ammette che molto “è andato storto” e deve essere corretto. Alcuni, tuttavia, temono che i metodi correttivi siano così frettolosi ed estremi che, alla fine, possano fare più male che bene. Ai nemici del socialismo, così si sostiene, vengono fornite nuove potenti armi con cui distruggere il socialismo e tornare al capitalismo. Il ritmo della perestrojka e della glasnost di Gorbaciov sono, direttamente o indirettamente, accusati del “crollo” dell’egemonia politica comunista in paesi come la Polonia, l’Ungheria, la RDT e la Cecoslovacchia.

Nei paesi citati, nonostante il vantaggio di oltre 40 anni di monopolio dell’istruzione, dei media, ecc., i partiti al potere non sono riusciti a trovare una parte significativa della classe che affermavano di rappresentare (o, del resto, nemmeno una maggioranza dei propri membri) per difendere loro o la loro versione del socialismo. Incolpare la perestrojka e la glasnost per i mali del socialismo è come incolpare la diagnosi e la prescrizione per la malattia. In effetti, l’unico modo per garantire il futuro del socialismo è prendere il problema di petto (afferrare l’ortica nel testo, ndt) con il coraggio politico di un Gorbaciov. Quando le cose vanno male (che sia in un movimento o in un paese) è inevitabile che qualcuno che ha secondi fini salti sul carrozzone. Quando si sviluppa un divario tra la leadership e il guidato, fornisce sempre aperture per veri nemici. Ma affrontare il divario in termini solo di cospirazioni nemiche è un dispositivo antico e screditato. Allo stesso modo, non affrontare errori o crimini solo perché la loro esposizione darà conforto ai nostri avversari è sia miope che controproducente.

In ogni caso, una serie di domande aggiuntive continuano a andare in giro:

In primo luogo, abbiamo il diritto di concludere che i nemici di una direzione di partito screditata siano gli stessi nemici del socialismo? Se il tipo di socialismo che le persone hanno sperimentato è stato cancellato ai loro occhi e cominciano a metterlo in discussione, stanno necessariamente mettendo in discussione il socialismo o stanno rifiutando la sua perversione?

In secondo luogo, quale dottrina del pre-stalinismo e del marxismo pre-maoista conferisce a un partito comunista (oa qualsiasi altro partito se è per questo) il diritto morale o politico di imporre la propria egemonia o di mantenerla di fronte al rifiuto popolare?

In terzo luogo, chi ci ha incaricato di imporre e difendere a tutti i costi la nostra versione del socialismo anche se la stragrande maggioranza ne è rimasta delusa?

In generale, è nostra opinione che il fatto che i processi di perestrojka e glasnost siano avvenuti troppo lentamente, troppo poco e troppo tardi nell’Europa orientale ha contribuito più di ogni altra cosa a mettere in pericolo la prospettiva socialista in quel paese. È attraverso questi processi – e devono essere attuati con tutta la velocità possibile – che il socialismo ha qualche speranza di mostrare il suo volto essenzialmente umano. Quando il socialismo come sistema mondiale ritornerà in sé stesso – come indubbiamente accadrà – la “rivoluzione di Gorbaciov” avrà svolto un ruolo fondamentale.

C. Abbandono della competizione ideologica

Siamo impressionati dal contributo che i giornali crociati pro-perestrojka (come Moscow News e New Times ) stanno dando al rinnovamento del socialismo. Allo stesso tempo, non dobbiamo trascurare l’allarmante tendenza tra molti partigiani mediatici della perestrojka a concentrarsi così esclusivamente sui difetti dell’esperienza socialista che la critica socialista del capitalismo e dell’imperialismo trova poco o nessun posto.

In linea con questa eccessiva difesa, c’è la tendenza a sottovalutare alcuni degli indicatori più espliciti del potenziale morale superiore della civiltà socialista. Ad esempio, è un triste commento alla precedente storia socialista che il popolo sovietico sia ora spinto a erigere monumenti alle vittime del periodo di Stalin. Ma il mondo capitalista non progetta monumenti ai suoi cittadini devastati dalle sue crudeltà né ai milioni di vittime del suo terrore coloniale.

Le trasformazioni avvenute in Polonia, Ungheria, Repubblica Democratica Tedesca, Cecoslovacchia e Bulgaria hanno portata rivoluzionaria. Ad eccezione della Romania, c’è un altro esempio nella storia umana in cui chi detiene il potere ha risposto all’inevitabile con una rassegnazione così civile e pacifica?

Dovremmo ricordare la risposta militare di De Gaulle nel 1968, quando dieci milioni di lavoratori e studenti riempirono le strade di Parigi. Non è difficile prevedere come Bush o la Thatcher avrebbero affrontato milioni di persone nelle loro strade sostenute da scioperi generali che chiedevano il rovesciamento del loro sistema di governo.

Alcuni giornali sovietici si sono concentrati così esclusivamente sull’autocritica che le disuguaglianze sociali all’interno del capitalismo e il continuo saccheggio da parte del capitale internazionale delle risorse del mondo in via di sviluppo attraverso la manipolazione neocoloniale, il commercio ineguale e il peso del debito ricevono poca enfasi. Gli elementi della classe media, inclusi molti giornalisti all’interno delle società socialiste, sembrano ipnotizzati dalla pura tecnocrazia; il luccichio del consumismo occidentale e la qualità dei beni di fascia alta sembrano oscurare la qualità della vita della società nel suo insieme. ( 4) C’è meno visibile che mai una critica delle continue violazioni dei diritti umani dell’imperialismo e della sua grossolana interferenza negli affari interni degli stati sovrani attraverso surrogati e aggressioni dirette, e il suo continuo sostegno al banditismo e alle dittature razziste e militari.

La patina che viene posta in alcuni di questi giornali sulle condizioni sociali e politiche all’interno dello stesso Occidente capitalista è stata descritta da Jonathan Steele sul British Guardian come poco meno che “grottesca”. In alcuni contributi il ​​capitalismo è abbellito nello stesso modo generalizzato e poco accademico in cui veniva condannato, cioè senza statistiche ricercate e con il dogma che prende il posto dell’informazione. Il confine tra il socialismo e quello che viene chiamato capitalismo del benessere è sempre più sfumato.

In contrasto con tutto ciò, qualunque altra cosa stia accadendo nelle relazioni internazionali, l’offensiva ideologica dei rappresentanti del capitalismo contro il socialismo è certamente a tutto spiano. I media occidentali gongolano ripetutamente con titoli come Communism: RIP il professor  Robert Heilbroner, un luminare della New York New School, ha già alzato il suo bicchiere di champagne con un brindisi di vittoria per il capitalismo. Affermando che l’Unione Sovietica, la Cina e l’Europa orientale hanno dimostrato che il capitalismo organizza gli affari materiali dell’umanità in modo più soddisfacente del socialismo, prosegue proclamando:

“Meno di 75 anni dopo il suo inizio ufficiale, la contesa tra capitalismo e socialismo è finita; il capitalismo ha vinto… la grande questione ora sembra quanto rapida sarà la trasformazione del socialismo in capitalismo, e non viceversa». ( 5 )

Nel caso in cui fosse necessario altro per soddisfare questa previsione, alcuni dei più potenti rappresentanti del capitalismo sono lì per dare una mano alla storia. L’ultimo vanto di Reagan per i suoi otto anni in carica è stato di aver fatto in modo che nemmeno un centimetro di territorio in più nel mondo “divenisse comunista”. Bush raccoglie il testimone con: “Ora possiamo passare dal contenimento al portare i paesi socialisti nella comunità delle nazioni libere”. The Guardian (6/2/89, Regno Unito) riporta un’iniziativa multimilionaria, approvata dai ministri britannici, per incoraggiare il cambiamento nell’Europa orientale. E così via.

Di fronte a tutto ciò, non è esagerato affermare che, per il momento, la critica socialista del capitalismo e la spinta a conquistare i cuori e le menti dell’umanità per il socialismo sono state praticamente abbandonate. L’offensiva senza precedenti degli ideologi capitalisti contro il socialismo è stata infatti affrontata con un disarmo ideologico unilaterale.

Nella misura in cui ciò sia avvenuto per la necessità di concentrarsi sul mettere in ordine la propria casa è quantomeno comprensibile. Ma, in molti casi, c’è l’incapacità di distinguere tra il socialismo in generale ei metodi scorretti che sono stati usati per tradurlo sul campo. Ciò ha portato a un flirt ingiustificato con certi valori economici e politici del capitalismo.

La perversione della democrazia nell’esperienza socialista è falsamente contrapposta alla sua pratica nell’Occidente capitalista, come se quest’ultima fornisse uno spazio adeguato per la realizzazione degli ideali democratici. Le devastazioni economiche causate dall’eccessiva centralizzazione e dal dirigismo sotto il socialismo sembrano anche aver spinto in secondo piano la fondamentale critica socialista del capitalismo secondo cui una società non può essere democratica quando è governata dal profitto e dalla disuguaglianza sociale e in cui il potere sulle aree più vitali della vita è al di fuori del controllo collettivo.

D: Perdere la fede nell’obiettivo socialista

Alcuni comunisti sono stati completamente sopraffatti dall’immagine sporca del socialismo che vedono nello specchio della storia. Concludono che riflette non solo ciò che era (e nel caso di alcuni paesi, ciò che è ancora), ma, inoltre, ciò che inevitabilmente doveva essere nei tentativi di costruire una società socialista come inteso dai padri fondatori della dottrina socialista .

Se, infatti, ciò che è accaduto nel mondo socialista doveva accadere a causa di alcuni o tutti i nostri punti di partenza teorici, se la perversione di tipo staliniano è inevitabile, allora non c’è altro da dire; dobbiamo chiaramente o cercare un’alternativa al socialismo o gettare a mare, o almeno qualificare, alcuni dei suoi postulati. ( 6 )

Riteniamo, tuttavia, che la teoria del marxismo, in tutti i suoi aspetti essenziali, rimanga valida e fornisca una guida teorica indispensabile per realizzare una società libera da ogni forma di sfruttamento della persona sulla persona. Le maggiori debolezze che sono emerse nella pratica del socialismo sono il risultato di distorsioni e di errate applicazioni. Non scaturiscono naturalmente dai concetti di base del marxismo, il cui nucleo è essenzialmente umano e democratico e che proiettano un ordine sociale con un potenziale economico di gran lunga superiore a quello del capitalismo.

3. Teoria marxista sotto tiro

Tocchiamo alcuni dei concetti che sono stati presi di mira nelle polemiche post-perestrojka:

  • Il marxismo sostiene che la lotta di classe è il motore della storia umana. ( 7 ) Alcuni commentatori dei media socialisti stanno mostrando la tentazione di abbandonare questa teoria semplicemente perché Stalin e la burocrazia intorno a lui l’hanno distorta per razionalizzare le pratiche tiranniche. Ma rimane valida 
    • sia come spiegazione delle passate trasformazioni sociali sia come guida alla strategia e alla tattica della lotta per conquistare un ordine socialista; una lotta in cui la classe operaia gioca il ruolo dominante.
    • La stagnazione economica del socialismo e le sue scarse prestazioni tecnologiche rispetto al settore mondiale capitalista non possono essere attribuite all’inefficacia dei rapporti di produzione socialisti, ma piuttosto alla loro distorsione. I rapporti di produzione socialisti forniscono il quadro più efficace per massimizzare la capacità produttiva dell’umanità e utilizzare i suoi prodotti nell’interesse dell’intera società.
    • La dottrina etica marxista non vede alcun conflitto tra l’affermazione secondo cui tutta la moralità è legata alla classe e l’affermazione che i valori della classe operaia riguardano, soprattutto, la supremazia dei valori umani. ( 8 ) La separazione di questi concetti interdipendenti (nella successiva teoria e pratica) ha fornito il contesto in cui i crimini contro il popolo sono stati razionalizzati in nome della classe. Continuiamo ad affermare che è solo in una società non sfruttatrice, comunista e senza classi che i valori umani troveranno la loro massima espressione e saranno liberati da ogni morale di classe. Nel frattempo la transizione socialista ha il potenziale per affermare progressivamente i valori dell’intero popolo rispetto a quelli delle classi.
    • Il grande divario che si sviluppò tra socialismo e democrazia politica non dovrebbe essere trattato come derivante naturalmente da aspetti chiave della dottrina socialista. Questo approccio è alimentato dalla violazione dei diritti umani e dal collettivismo da caserma di alcune delle esperienze del socialismo esistente. Crediamo che il marxismo proietti chiaramente un sistema ancorato in una democrazia politica profondamente radicata e nei diritti dell’individuo che possono essere veramente raggiunti solo quando la società nel suo insieme assume il controllo e la direzione di tutte le sue ricchezze e risorse.
    • La connessione cruciale tra socialismo e internazionalismo e l’importanza della solidarietà della classe operaia mondiale non dovrebbero essere sottovalutate a causa delle distorsioni subite. Questi includevano l’eccessiva centralizzazione nell’era del Comintern, la subordinazione delle legittime aspirazioni nazionali a un concetto distorto di “internazionalismo”, le rivalità nazionali tra e all’interno degli stati socialisti (compresi esempi di confronto armato). L’internazionalismo della classe operaia rimane uno dei concetti più liberatori del marxismo e deve trovare un’espressione efficace nelle nuove condizioni del mondo.

    Riassumendo, crediamo che il marxismo sia una scienza sociale i cui postulati fondamentali e intuizioni di base nei processi storici rimangono un’arma teorica potente (perché precisa). Ma questo non vuol dire che ogni parola di Marx, Engels e Lenin debba essere presa come vangelo; non erano infallibili e non erano sempre corrette nelle loro proiezioni.

    Lenin, ad esempio, credeva che il capitalismo stesse per crollare in tutto il mondo nel periodo post-ottobre.

    Era una convinzione basata sulla premessa errata che, come sistema, il capitalismo fosse in una crisi irreversibile e che i rapporti di produzione capitalistici costituissero un ostacolo all’ulteriore sviluppo globale delle forze di produzione.

    Ciò era combinato con la convinzione dell’imminenza della trasformazione socialista globale, che indubbiamente contagiava gran parte del pensiero precedente sulle prospettive della costruzione socialista nell’Unione Sovietica.

    Inoltre, si potrebbe ben sostenere che la descrizione classica della democrazia borghese ( 9 ) fosse una semplificazione eccessiva e tendesse a sottovalutare le conquiste storiche della lotta della classe operaia nell’imporre e difendere aspetti di una vera cultura democratica sullo stato capitalista; una cultura che non dovrebbe scomparire ma piuttosto deve essere ampliata sotto il vero socialismo.

    Ma sottolineiamo ancora una volta che le distorsioni fondamentali emerse nella pratica del socialismo esistente non possono essere ricondotte ai principi essenziali della scienza rivoluzionaria marxista. Se cerchiamo colpevoli, dobbiamo guardare a noi stessi e non ai fondatori del marxismo.

    La colpa è nostra, non del socialismo

    In alcuni casi, le deformazioni vissute dagli stati socialisti esistenti sono state il risultato di distorsioni burocratiche che sono state razionalizzate a livello ideologico da un’invocazione meccanica e fuori contesto del dogma marxista. In altri casi erano il risultato di un’applicazione autenticamente motivata ma tragica della teoria socialista in nuove realtà che non erano state previste dai fondatori del marxismo.

    Il fatto che il potere socialista sia stato conquistato per la prima volta nell’avamposto più arretrato del capitalismo europeo, senza una tradizione politica democratica, ha giocato un ruolo non secondario nel modo in cui è stato plasmato. A ciò vanno aggiunti gli anni di isolamento, di assedio economico e di intervento armato che, nell’immediato dopo ottobre, portarono alla quasi decimazione della relativamente piccola classe operaia dell’Unione Sovietica. Nel corso del tempo la direzione del partito si è trasformata in un posto di comando con un prepotente centralismo e pochissima democrazia, anche nei confronti dei propri iscritti.

    La maggior parte degli altri paesi socialisti è emersa 30 anni dopo all’ombra della guerra fredda. Alcuni di loro dovevano molto al potere sovietico per la loro stessa creazione e sopravvivenza, e la maggior parte, per gran parte della loro storia, seguì il modello economico e politico stalinista. I comunisti fuori dal mondo socialista ei rivoluzionari impegnati nei movimenti anticoloniali furono i beneficiari di generosi aiuti e consistenti atti di solidarietà internazionalista. Vedevano giustamente nel potere sovietico un baluardo contro i loro nemici e non credevano, o non volevano credere, al modo in cui venivano sviliti aspetti del socialismo.

    Tutto ciò contribuisce a spiegare, ma non a giustificare in alcun modo, l’orribile presa che lo stalinismo finì per esercitare in ogni settore del mondo socialista e su tutto il movimento comunista internazionale. Era una presa che, se allentata da entrambi i partiti (es. Jugoslavia) o da individui all’interno dei partiti, di solito portava all’isolamento e alla scomunica.

    Non tentiamo qui di rispondere alla complessa questione del perché così tanti milioni di autentici socialisti e rivoluzionari siano diventati così ciechi adoratori nel tempio del culto della personalità. Basti dire che la forza di questo conformismo risiedeva, in parte, nella convinzione ideologica che coloro che la storia aveva nominato custodi del futuro comunista dell’umanità sembravano costruire sulle fondamenta preparate dai padri fondatori del marxismo. E non c’era abbastanza nella teoria marxista classica sulla natura del periodo di transizione per fornire una guida dettagliata al futuro.

    Questo stato di sottosviluppo della teoria marxista classica in relazione alla forma e alla struttura della futura società socialista si prestava facilmente all’elaborazione di dogmi che potevano rivendicare una “legittimità” generale da una selezione di citazioni dei maestri. Ma i fondatori del marxismo «non hanno mai inventato forme e meccanismi specifici per lo sviluppo della nuova società. Hanno elaborato il suo ideale socialista … hanno fornito il carattere storicamente transitorio del capitalismo e la necessità storica di transizione verso una nuova fase di sviluppo sociale. Quanto alla struttura della società futura in sostituzione del capitalismo, ne discussero nei termini più generali e soprattutto dal punto di vista dei principi fondamentali». (corsivo mio) ( 10 )

    In particolare, consideriamo due questioni:

    1. socialismo e democrazia, e la relativa questione
    2. alienazione sociale ed economica sotto il socialismo.

4. Socialismo e democrazia

L’ideologia marxista vedeva il futuro Stato come “una democrazia diretta in cui il compito di governare non sarebbe appannaggio di una burocrazia statale” e come “un’associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è una condizione per il libero sviluppo di tutti”. ( 11 ) Come è potuto accadere che, in nome di questa ideologia umanissima e liberatrice, la burocrazia sia diventata così onnipotente e l’individuo sia stato così soffocato?

Per trovare, almeno, l’inizio di una risposta, dobbiamo guardare a quattro aree correlate:

  1. La tesi della ‘dittatura del proletariato’ che è stata utilizzata come razionalizzazione teorica per l’autoritarismo sfrenato.
  2. La costante erosione del potere popolare sia a livello di governo che di organizzazioni sociali di massa.
  3. La perversione del concetto di partito come avanguardia della classe operaia, e
  4. Se, in fin dei conti, la democrazia socialista possa trovare una reale espressione in uno stato a partito unico.
     

A. Dittatura del proletariato

Il concetto di “dittatura del proletariato” è stato trattato in modo piuttosto vago da Marx come “una transizione verso una società senza classi” senza molte ulteriori definizioni. ( 12 ) Da parte sua, Engels, rifacendosi all’analisi di Marx della Comune di Parigi, affermava che essa «era proprio la dittatura del proletariato». ( 13 ) La Comune di Parigi del 1871 fu un’esperienza sociale eccezionale che diede vita a una specie di città-stato operaia (per niente guidata dai socialisti) in cui, per un breve momento, la maggior parte delle funzioni dello Stato (sia legislative che esecutivo) erano esercitati direttamente da un’assemblea popolare democratica.

Il concetto di “dittatura del proletariato” fu elaborato da Lenin in Stato e rivoluzione proprio nel pieno della trasformazione rivoluzionaria del 1917. Lenin citò Engels con approvazione quando disse che “il proletariato ha bisogno dello Stato, non nell’interesse della libertà“. ma per tenere a freno i suoi avversari, e non appena diviene possibile parlare di libertà, lo Stato in quanto tale cessa di esistere» (Engels, Lettera a Bebel ). Nel frattempo, in contrasto con la democrazia capitalista che è “ristretta, misera, falsa… per i ricchi, per la minoranza… la dittatura del proletariato, il periodo di transizione al comunismo, per la prima volta, creare la democrazia… per la maggioranza… insieme alla necessaria soppressione degli sfruttatori, della minoranza». (14 )

Lenin prevedeva che il potere della classe operaia sarebbe stato basato sul tipo di democrazia della Comune, ma non ha affrontato, in alcun dettaglio, la natura della società civile socialista consolidata, comprese questioni fondamentali come il rapporto tra partito, stato, rappresentanti eletti del popolo, organizzazioni sociali, ecc. Comprensibilmente, la preoccupazione dominante all’epoca era la presa del potere, la sua protezione di fronte all’atteso assalto controrivoluzionario, la creazione della “democrazia per la maggioranza” e la “soppressione della minoranza degli sfruttatori».

Rosa Luxemburg disse, in polemica con Lenin:

«La libertà solo per i sostenitori del governo, solo per i membri di un partito — per quanto numerosi possano essere — non è affatto libertà. La libertà è sempre ed esclusivamente libertà per chi la pensa diversamente… la sua efficacia svanisce quando la “libertà” diventa un privilegio speciale’. ( 15 )

Queste parole potrebbero non essere state appropriate come politica (che è ciò che la Luxemburg sosteneva) nelle condizioni speciali della fase immediatamente successiva alla presa del potere nell’ottobre 1917. Senza una limitazione alla democrazia non c’era modo che la rivoluzione potesse difendersi in la guerra civile e l’intervento diretto di tutto il mondo capitalista. Ma il concetto di libertà della Luxemburg è sicuramente incontrovertibile una volta che una società ha raggiunto la stabilità.

Lenin presumeva chiaramente che qualsiasi repressione fosse necessaria nel periodo immediatamente successivo alla rivoluzione sarebbe stata relativamente mite e di breve durata.

Lo stato e i suoi tradizionali strumenti di forza inizierebbero a “svanire” non appena il potere socialista fosse stato conquistato e il processo di ampliamento e approfondimento della democrazia sarebbe iniziato. Lenin si riferiva allo stato socialista di transizione (e non alla futura società comunista) quando sottolineò che ci sarebbe stata un’estensione della “democrazia a una maggioranza così schiacciante della popolazione che la necessità di una speciale macchina di repressione inizierà a scomparire”. … non è più uno stato nel senso proprio della parola (perché) la soppressione della minoranza di sfruttatori … è facile, semplice’, comportando relativamente poco spargimento di sangue, e difficilmente necessitando di una macchina o di un apparato speciale diverso dalla “semplice organizzazione del popolo armato (come i soviet) …” (16 ) 

Sappiamo che tutto questo è ben lontano da quanto è accaduto nei decenni successivi. L’intero processo è stato invertito. La completa ‘soppressione degli sfruttatori’ è stata seguita dal rafforzamento degli strumenti di repressione statale e dal restringimento della democrazia per la maggioranza della popolazione, compresa la classe operaia.

La teoria antileninista avanzata (nel nome di Lenin) per “giustificare” questo processo era che la lotta di classe diventa più intensa piuttosto che meno intensa con il radicamento del socialismo. Per certi aspetti questa divenne una profezia che si autoavvera; un ritiro dalle norme democratiche ha intensificato le contraddizioni sociali che, a loro volta, sono diventate la scusa per un’intensificazione della “lotta di classe”.

Una delle razionalizzazioni principali di questa tesi era l’indubbia minaccia, anche dopo la fine della guerra civile, rappresentata dall’imperialismo e dal fascismo per la sopravvivenza stessa dell’Unione Sovietica e le continue cospirazioni occidentali per impedire la diffusione del potere socialista dopo il 1945. Ma gli eventi hanno dimostrato che se la sopravvivenza dell’Unione Sovietica era a rischio a causa dell’assalto fascista, ciò era dovuto, tra l’altro, anche ai danni arrecati all’intero tessuto sociale sovietico (compreso l’esercito) dalla burocrazia autoritaria. E se le “cospirazioni” occidentali sono riuscite a minacciare la sopravvivenza stessa del socialismo in luoghi come l’Europa orientale, è stato il restringimento piuttosto che l’estensione della democrazia a fare il loro gioco.

Il termine “dittatura del proletariato” rifletteva la verità storica che nelle formazioni sociali divise in classi il potere statale è in ultima analisi esercitato dalla classe che possiede e controlla i mezzi di produzione e nell’interesse di essa. È in questo senso che le formazioni capitaliste venivano descritte come una “dittatura della borghesia” il cui dominio sarebbe stato sostituito da una “dittatura del proletariato” durante il periodo di transizione socialista. In quest’ultimo caso, tuttavia, il potere sarebbe esercitato nell’interesse della stragrande maggioranza del popolo e dovrebbe portare a una vera democrazia in continua espansione, sia politica che economica. ( 17 )

Riflettendoci, la scelta della parola ‘dittatura’ per descrivere questo tipo di società apre certamente la strada ad ambiguità e distorsioni.

L’abbandono del termine da parte della maggior parte dei partiti comunisti, compreso il nostro, non implica, in tutti i casi, un rifiuto della validità storica del suo contenuto essenziale. Ma il modo in cui il termine finì per essere abusato somigliava poco al concetto originale di Lenin. Fu progressivamente spogliato del suo intrinseco contenuto democratico e venne a significare, in pratica, una dittatura di una burocrazia di partito. Per Lenin l’aspetto repressivo del concetto aveva una rilevanza incombente in relazione alla necessità della rivoluzione di difendersi dal terrore controrivoluzionario nell’immediato periodo post-rivoluzionario. ( 18 ) Difendeva, contro l’utopismo degli anarchici, il limitato mantenimento dell’apparato repressivo.

Ma, sfortunatamente, le pratiche giustificate dalle esigenze delle fasi precedenti divennero una caratteristica permanente della nuova società. Col passare del tempo il divario tra socialismo e democrazia si è ampliato; la natura e il ruolo delle istituzioni sociali (come i soviet, il partito e le organizzazioni di massa) che in precedenza avevano dato consistenza al potere popolare e alla democrazia socialista, vennero progressivamente erosi.
 

B. Organi eletti e organizzazioni di massa

La costante erosione dei poteri e del carattere rappresentativo delle istituzioni elette ha portato all’alienazione di una parte considerevole della società dalla vita politica. L’elettorato non aveva alcun diritto effettivo di scegliere i propri rappresentanti. Erano finiti i giorni in cui il partito doveva impegnarsi in una competizione politica per ottenere la maggioranza nei soviet.

Gli organi legislativi non avevano, in ogni caso, un vero controllo sulla legislazione; per loro natura potevano solo fungere da timbro di gomma per decisioni che erano già state prese dalle strutture dei partiti. Gli organi esecutivi e giudiziari erano, a tutti gli effetti pratici, sotto il diretto controllo della burocrazia del partito. In pratica la maggioranza del popolo disponeva di pochissime leve con cui determinare il corso della vita economica o sociale.

Anche la democrazia nelle organizzazioni di massa era più formale che reale. L’enorme numero di membri ci ha detto molto poco sulla misura in cui il singolo sindacalista, giovane o donna, è stato in grado di partecipare al controllo o alla direzione delle rispettive organizzazioni. In fin dei conti queste organizzazioni si erano trasformate in cinghie di trasmissione di decisioni prese altrove ei singoli membri erano poco più che ingranaggi della vasta macchina burocratica.

Il movimento sindacale è diventato un’appendice dello Stato e del partito. I lavoratori non avevano alcun ruolo significativo nel determinare la composizione dei vertici, che in sostanza rispondevano all’apparato di partito. A tutti gli effetti, il diritto di sciopero non esisteva. La sottilissima linea di dem

arcazione tra la dirigenza e il collettivo sindacale in fabbrica riduceva la reale autonomia dei sindacati. A parte alcune funzioni assistenziali, essi tendevano sempre più ad agire come i consigli di produzione di tipo occidentale, ma senza il vantaggio di dover rispondere del loro ruolo a un sindacato indipendente sotto il controllo democratico dei suoi membri.

Molto di quanto detto sopra vale per le organizzazioni femminili e giovanili. Invece di essere guidate dalle aspirazioni e dagli interessi delle loro constituencies, sono state trasformate in basi di appoggio per i continui dettami dell’apparato statale e di partito. (19)

Il partito

All’indomani della rivoluzione d’ottobre, il partito bolscevico condivise il potere con altre tendenze politiche e sociali, tra cui i menscevichi e una parte della sinistra socialrivoluzionaria. Nelle elezioni per l’assemblea costituente del 1918, i bolscevichi ricevettero meno di un terzo dei voti popolari. (20)

Ci possono essere momenti nella vita di una rivoluzione che giustificano un rinvio dei processi democratici completi. E non affrontiamo la questione se i bolscevichi fossero giustificati ad assumere il monopolio del potere statale durante lo straordinario periodo di assalto interno ed esterno alle conquiste della rivoluzione. Basti dire che lo Stato a partito unico e il ruolo di guida e di comando del partito divennero in seguito caratteristiche permanenti del governo socialista e furono radicati nelle costituzioni della maggior parte degli Stati socialisti. (21) D’ora in poi i partiti furono “avanguardisti” per legge e non necessariamente in virtù dell’approvazione sociale.

Ciò fu accompagnato da trasformazioni negative all’interno del partito stesso. Con il pretesto del “centralismo democratico”, la democrazia interna al partito fu quasi completamente soffocata dal centralismo. Tutto il potere effettivo è stato concentrato nelle mani di un Ufficio politico o, in alcuni casi, di un’unica personalità onnipotente. Il controllo di questa “leadership” da parte del partito nel suo complesso era puramente formale. Nella maggior parte dei casi la composizione dell’organo più alto – il congresso che finalizza la politica ed elegge la leadership – era manipolata dall’alto. Il Comitato Centrale (eletto attraverso variazioni di un sistema di “liste” emanate dall’alto) aveva solo la più tenue giurisdizione sull’Ufficio Politico. All’interno di quest’ultimo organo un cambio di leader assomigliava più a un colpo di palazzo che a un processo democratico; invariabilmente i cambiamenti venivano poi approvati all’unanimità.

L’impatto rinvigorente del confronto di idee nella cultura marxista fu soffocato. In pratica, l’unità di base del partito era lì per spiegare, difendere, esortare e sostenere politiche alla cui formulazione raramente partecipava. Il concetto di consenso soffocava efficacemente il dissenso e promuoveva un’apparenza del tutto innaturale di unanimità su tutto. Le differenze fondamentali venivano soppresse o messe a tacere dalla disciplina autoimposta del cosiddetto centralismo democratico. In queste condizioni, lo sviluppo democratico della politica del partito divenne praticamente impossibile.

D. Lo Stato monopartitico

Hegel coniò il profondo aforisma secondo cui la verità di solito nasce come eresia e muore come superstizione. Senza un vero e proprio diritto al dissenso da parte dei cittadini o anche della massa degli iscritti al partito, la verità è stata sempre più inibita da un dogma mortifero; una sorta di catechismo ha preso il posto del pensiero creativo. E, nei confini di uno Stato a partito unico, l’alternativa al conformismo attivo era il silenzio o il rischio di essere puniti come “nemici del popolo”. Questa soppressione del diritto al dissenso è insita nello Stato a partito unico? Gorbaciov ha recentemente sottolineato che:

‘Sviluppare le attività indipendenti delle masse e sollecitare la democratizzazione di tutte le sfere della vita in un sistema a partito unico è una missione nobile ma molto difficile per il partito. E molto dipenderà da come la affronteremo” (22).

Il pensiero di Gorbaciov ha una rilevanza particolare per molte parti del nostro continente dove il sistema a partito unico abbonda. Esso si colloca a cavallo tra i Paesi capitalisti e quelli a orientamento socialista e nella maggior parte di essi viene utilizzato per impedire, tra l’altro, l’organizzazione democratica dei lavoratori a livello politico o sindacale.

Questo non significa che tutti gli Stati a partito unico del nostro continente si siano rivelati autoritari; anzi, alcuni di essi sono guidati da leader umanissimi che credono appassionatamente nei processi democratici. Né possiamo discutere il ruolo che hanno svolto nel prevenire la frammentazione tribale, etnica e regionale, nel combattere il banditismo di ispirazione esterna e nel correggere alcune delle gravi distorsioni ereditate dal periodo coloniale.

Per quanto riguarda la prospettiva socialista, a volte si dimentica che il concetto di Stato a partito unico non si trova da nessuna parte nella teoria marxista classica. E abbiamo avuto sufficienti esperienze di regime monopartitico in varie parti del mondo per concludere che la “missione” di promuovere una vera democrazia in un sistema monopartitico non è solo difficile ma, a lungo termine, impossibile.

Ma, in ogni caso, quando c’è uno Stato a partito unico e non c’è nemmeno democrazia e responsabilità all’interno del partito, diventa una scorciatoia per una tirannia politica su tutta la società. E in diversi momenti questo è ciò che è accaduto nella maggior parte degli Stati socialisti.

Il conseguente senso di alienazione politica della grande maggioranza della popolazione non era l’unica caratteristica negativa del socialismo esistente. Altrettanto importante è stato il fallimento nel superare il senso di alienazione economica ereditato dal passato capitalista.

5. Alienazione economica socialista

Il concetto di alienazione esprime “la trasformazione oggettiva dell’attività dell’uomo e dei suoi risultati in una forza indipendente, che lo domina e gli è avversa” (23) L’alienazione ha origine nella società dominata dalle classi e basata sulla proprietà privata. Nel capitalismo, nel corso del processo produttivo, l’operaio stesso “produce sempre ricchezza oggettiva, sotto forma di capitale, un potere estraneo che lo domina e lo sfrutta”. (24) Pertanto, le classi sfruttate creano e ricreano oggettivamente le condizioni del proprio dominio e sfruttamento. La consapevolezza di ciò alimenta la lotta di classe contro i rapporti di produzione capitalistici.

L’obiettivo del comunismo è quello di raggiungere la completa padronanza e il controllo delle forze sociali che l’umanità stessa ha generato ma che, sotto il capitalismo, sono diventate oggettivate come un potere estraneo che si vede al di sopra della società e che esercita il suo dominio su di essa. Il comunismo, secondo Marx, implica la creazione di una società in cui “l’umanità socializzata, i produttori associati, regolano razionalmente il loro interscambio con la natura, ponendola sotto il loro comune controllo, invece di essere governati da essa come da un potere cieco”. (25)

La rilevanza di tutto ciò per la nostra discussione è che solo i rapporti di produzione genuinamente socialisti possono avviare il processo che porterà alla de-alienazione della società nel suo complesso e genererà la formazione di una nuova “persona socialista”. Il processo di de-alienazione – il cui completamento deve attendere la fase del comunismo – non può essere portato avanti solo con l’educazione e l’ideologia; è necessario creare le condizioni che portino progressivamente a una partecipazione e a un controllo reali da parte di ciascun individuo (come parte dell'”umanità socializzata”) sulla vita sociale in tutti i suoi aspetti.

La distruzione del potere politico ed economico del capitale è solo il primo passo verso la de-alienazione. Il trasferimento della proprietà legale dei beni produttivi dal capitale privato allo Stato non crea, da solo, rapporti di produzione pienamente socialisti, né cambia sempre in modo significativo la vita lavorativa del produttore. Il potere di controllare la vita lavorativa dei produttori e di disporre dei prodotti del lavoro è ora nelle mani di un “comitato” piuttosto che di un consiglio di amministrazione. E se il “comitato” si separa dai produttori con un muro burocratico senza responsabilità democratica, il suo ruolo non è percepito diversamente da quello del consiglio di amministrazione. Rimane una forza su cui il produttore non ha alcun controllo reale e che (nonostante l’assenza di sfruttamento economico di tipo capitalistico) lo domina come un potere estraneo.

La stessa proprietà statale deve essere trasformata in proprietà sociale. Ciò implica una riorganizzazione della vita sociale nel suo complesso, in modo che i produttori, almeno come collettività, abbiano realmente voce in capitolo non solo nella produzione della ricchezza sociale, ma anche nella sua disponibilità. Nelle parole di Gorbaciov, ciò che è necessario è “una socializzazione non solo formale, ma anche reale e la vera trasformazione del popolo lavoratore in padrone di tutta la produzione socializzata”. (26)

La de-alienazione richiede che si ponga fine alla separazione tra la creazione di ricchezza sociale e l’appropriazione e la distribuzione della ricchezza sociale e che la società nel suo complesso abbia il controllo di tutti e tre i processi. Un certo grado di autogestione (a livello di singole imprese) è solo uno degli ingredienti del processo di de-alienazione; devono essere create le condizioni che rendano possibile il pieno controllo popolare su tutte le istituzioni di potere della società, non solo come “diritto costituzionale” ma come realtà.

L’alienazione nel socialismo esistente

L’inevitabile eredità del passato e le più gravi distorsioni delle norme socialiste nella maggior parte dei Paesi socialisti si combinarono per perpetuare l’alienazione, anche se in una nuova forma. La proprietà privata dei principali mezzi di produzione è stata sostituita dalla proprietà statale. Il capitale privato, in quanto potenza estranea, non dominava più né sfruttava il produttore. Ma senza una vera socializzazione, la condizione chiave per la de-alienazione continuava ad essere assente.

Ai produttori immediati veniva dato ben poco controllo o partecipazione reale alla vita economica, al di là delle loro personali fatiche fisiche e/o mentali. In generale, le economie ipercentralizzate e comandiste del mondo socialista hanno contribuito a radicare una forma di alienazione “socialista”. A livello puramente economico, questa forma di alienazione si è spesso rivelata il peggiore dei due mondi.

Nel capitalismo, la costrizione economica santificata dal dominio del capitale (minaccia di disoccupazione, ecc.) svolge un ruolo importante nel fornire un “incentivo” all’aumento della produttività, nonostante l’alienazione dei lavoratori dai prodotti del loro lavoro. Le leve economiche del capitalismo, basate sulla sacralità della proprietà privata, in fin dei conti non si preoccupano troppo dei problemi di alienazione e forniscono più facilmente l’incentivo (in relazione ai lavoratori) che “chi non lavora, non mangia”.

Nel socialismo l’occupazione garantita e l’ammontare della retribuzione non dipendevano sempre dalla qualità, dalla produttività o dall’efficienza, aprendo la strada al parassitismo nel punto di produzione. La ricompensa basata sulla massima socialista del “a ciascuno secondo il suo contributo” può ovviamente svolgere un ruolo nell’aumento della produttività. Ma per far sì che la società socialista nel suo complesso si realizzi davvero, è necessario un incentivo basato sulla reale partecipazione del produttore ai meccanismi di controllo sociale sui prodotti del suo lavoro; la sensazione che i mezzi di produzione e i suoi prodotti siano suoi in quanto parte della società. Questo incentivo era troppo spesso assente e ostacolava il processo di de-alienazione.

Episodi di coercizione diretta contro i produttori, come la collettivizzazione forzata dei primi anni Trenta e l’uso estensivo del lavoro dei detenuti come esercizio diretto dello Stato e del partito, peggiorarono la situazione. Come tutte le forme di accumulazione primitiva, questi episodi hanno creato un senso di alienazione molto profondo, le cui conseguenze negative si fanno ancora sentire. La pura esortazione e la “mobilitazione” politica non hanno impedito, a lungo andare, l’insorgere della stagnazione. L’alienazione, anche se in forma diversa, continuò e inibì il pieno potenziale del progresso economico socialista.

Ci furono, ovviamente, altri fattori negativi che richiedono un esame più approfondito di quanto sia possibile fare in questa sede. Tra questi, le politiche basate su quella che è stata definita la “teoria del big bang del socialismo”, che ha ignorato il fatto storico che molti degli ingredienti dei sistemi sociali che si succedono – e questo include il passaggio dal capitalismo al socialismo – non possono essere separati da una muraglia cinese.

L’economia di un Paese il giorno dopo la presa di potere da parte dei lavoratori è esattamente la stessa del giorno prima, e non può essere trasformata con un semplice proclama. L’aver trascurato questo principio si è tradotto, di tanto in tanto, in un egualitarismo primitivo che ha raggiunto proporzioni folli sotto il regime di Pol Pot, nell’assenza di contabilità dei costi, in un atteggiamento sprezzante nei confronti della produzione di merci e della legge del valore durante il periodo di transizione, nell’abbandono prematuro di qualsiasi ruolo delle forze di mercato, in un approccio dottrinario alla questione della collettivizzazione, ecc.

Ma la rettifica di queste aree non basterebbe a stabilire la superiorità materiale e morale del socialismo come stile di vita per l’umanità. Solo la creazione di veri e propri rapporti di produzione socialisti darà vita all’uomo e alla donna socialisti, la cui partecipazione attiva a tutti i processi sociali garantirà che il socialismo raggiunga il suo pieno potenziale e si muova verso una società comunista senza classi. Nel socialismo reale l’alienazione è persistita a causa di un controllo e di una partecipazione non completi del popolo a questi processi.

In breve, la strada da percorrere è quella di un socialismo democratico completo; una strada che può essere tracciata solo da un partito che conquista il proprio sostegno attraverso la persuasione democratica e la competizione ideologica e non, come troppo spesso è accaduto finora, con una rivendicazione di diritto.

6. Uno sguardo a noi stessi

L’approccio dirigistico e burocratico che si è radicato all’epoca di Stalin ha influenzato i partiti comunisti di tutto il mondo, compreso il nostro. Non possiamo negare la nostra parte di responsabilità per la diffusione del culto della personalità e per un’adesione meccanica alle politiche interne ed estere sovietiche, alcune delle quali hanno screditato la causa del socialismo. Abbiamo taciuto troppo a lungo dopo le rivelazioni di Kruscev del 1956.

Sarebbe ovviamente ingenuo pensare che un movimento possa, in un colpo solo, liberarsi di tutto il bagaglio mentale che si porta dietro dal passato. Il nostro VII Congresso ha sottolineato la necessità di una continua vigilanza. Ha notato alcuni isolati ritorni al passato, tra cui tentativi di intrighi e attività di fazione nelle organizzazioni fraterne, atteggiamenti settari nei confronti di alcuni compagni non appartenenti al partito, e rifiuti sloganistici di opinioni che non sono completamente in accordo con le nostre.

Le implicazioni per il socialismo delle distorsioni staliniane non sono ancora state comprese in modo uniforme nelle nostre file. Dobbiamo continuare a cercare un migliore equilibrio tra l’avanzamento della politica del partito come collettivo e la tolleranza del dibattito in corso e persino del dissenso costruttivo. Non pretendiamo che il cambiamento di posizione del nostro partito in direzione del socialismo democratico sia solo il risultato di una nostra evoluzione indipendente. Il nostro cambiamento ha indubbiamente un debito primario nei confronti del processo di perestrojka e glasnost che si è scatenato con tanto coraggio sotto l’ispirazione di Gorbaciov. Più vicino a noi, anche lo spirito democratico che ha dominato il movimento sindacale riemerso a partire dai primi anni ’70 ha avuto il suo impatto.

Ma possiamo legittimamente affermare che, per alcuni aspetti fondamentali, la nostra pratica rivoluzionaria indigena ha smesso da tempo di essere guidata dai concetti staliniani. Questo vale in particolare per il modo in cui il partito ha svolto il suo ruolo di avanguardia della classe operaia, per le sue relazioni con le organizzazioni fraterne e i rappresentanti di altre forze sociali e, soprattutto, per il suo approccio alla questione della democrazia nello Stato post-apartheid e in un futuro Sudafrica socialista.

Il Partito come avanguardia e la democrazia interna al partito

Abbiamo sempre creduto (e continuiamo a crederlo) che sia indispensabile per la classe operaia avere uno strumento politico indipendente che salvaguardi il suo ruolo nella rivoluzione democratica e che la guidi verso una società senza classi. Ma questa leadership deve essere conquistata e non imposta. La nostra pretesa di rappresentare le aspirazioni storiche dei lavoratori non ci dà il diritto assoluto di guidarli o di esercitare il controllo sull’intera società in loro nome.

Il nostro nuovo programma afferma che un partito comunista non si guadagna il titolo di avanguardia semplicemente proclamandolo. Né la sua pretesa di essere il sostenitore del marxismo gli conferisce il monopolio della saggezza politica o il diritto naturale al controllo esclusivo della lotta. Possiamo guadagnarci il posto di avanguardia solo con sforzi superiori di leadership e devozione alla causa della liberazione e del socialismo. E possiamo ottenere l’adesione alla nostra ideologia solo dimostrando la sua superiorità come guida teorica alla pratica rivoluzionaria.

Questo approccio al concetto di avanguardia, come sappiamo, non è sempre stato rispettato nella pratica rivoluzionaria mondiale e in un periodo precedente anche noi siamo stati contagiati da questa distorsione. Tuttavia, nel nostro caso, il cambiamento avvenuto nella nostra concezione di “avanguardia” non è affatto un fenomeno successivo a Gorbaciov. La formulazione della questione nel nostro nuovo programma è ripresa quasi alla lettera dal rapporto del Comitato centrale del 1970 sull’organizzazione.

Il documento del 1970 ribadisce la necessità di salvaguardare, sia nella lettera che nello spirito, l’indipendenza delle espressioni politiche delle altre forze sociali, siano esse economiche o nazionali. Rifiutava la vecchia concezione purista e dominante secondo cui tutti coloro che non sono d’accordo con il partito sono necessariamente nemici della classe operaia. E non vedeva alcun conflitto tra la nostra comprensione del concetto di avanguardia e l’accettazione dell’African National Congress come capo dell’alleanza di liberazione.

Nonostante le inevitabili limitazioni che l’illegalità imponeva ai processi democratici interni al partito, i principi di responsabilità e di elettività di tutti gli organi superiori sono stati sostanzialmente rispettati. Dal 1953 si sono tenuti sette congressi clandestini del nostro partito. I delegati al Congresso degli organi inferiori sono stati eletti senza liste dall’alto e hanno sempre costituito una maggioranza. I Comitati centrali entranti sono stati eletti a scrutinio segreto senza alcuna forma di “guida” diretta o indiretta ai delegati. In altre parole, il concetto leninista di centralismo democratico non è stato abusato per radicare pratiche di leadership autoritarie.

Le nostre strutture, fino alle unità più basse, sono state sempre più incoraggiate a valutare e a mettere in discussione i pronunciamenti della leadership con spirito critico e le opinioni dei membri vengono invariabilmente consultate prima di finalizzare i documenti politici di base. Il nostro 7° Congresso, che ha adottato il nostro nuovo programma, Il cammino verso il potere, è stato un modello di consultazione democratica e di dibattito vivace. Le procedure speciali, studiate per escludere i sospetti agenti nemici come delegati al Congresso, hanno limitato la completa libertà di scelta. Ma, in pratica, queste limitazioni hanno riguardato una percentuale trascurabile. Nel complesso, nonostante i rischi per la sicurezza legati alle condizioni di clandestinità, la volontà dei nostri membri trova un’espressione democratica. Questo spirito di democrazia informa anche il nostro rapporto con le forze politiche fraterne e il nostro approccio al quadro politico di un Sudafrica post-liberazione.

I rapporti con le organizzazioni fraterne

Come abbiamo già notato, una delle vittime più gravi della frattura che si è sviluppata tra democrazia e socialismo è stata la relazione unilaterale tra i partiti al potere e le organizzazioni di massa. Per evitare una simile distorsione in un Sudafrica post-apartheid, nel nostro progetto di Carta dei lavoratori abbiamo stabilito, ad esempio, che:

‘I sindacati e la loro federazione devono essere completamente indipendenti e rispondere solo alle decisioni dei loro membri o affiliati, prese democraticamente. Nessun partito politico, organo statale o impresa, pubblica, privata o mista, potrà interferire direttamente o indirettamente con tale indipendenza”.

La sostanza di questo approccio si riflette nel modo in cui il nostro partito si è effettivamente comportato per la maggior parte della sua esistenza clandestina.

Nella riunione del Comitato Centrale allargato del 1970 sono state ribadite le linee guida che informano le nostre relazioni con le organizzazioni fraterne e le altre forze sociali. Particolare enfasi è stata data ancora una volta alla necessità di salvaguardare, sia nella lettera che nello spirito, l’indipendenza delle espressioni politiche delle altre forze sociali, siano esse economiche o nazionali.

Non consideriamo i sindacati o il movimento nazionale come semplici canali per le nostre politiche. Né cerchiamo di far avanzare le nostre posizioni politiche attraverso intrighi o manipolazioni. Il nostro rapporto con queste organizzazioni si basa sul totale rispetto della loro indipendenza, integrità e democrazia interna. Nella misura in cui la nostra influenza si fa sentire, è il risultato della presentazione aperta di posizioni politiche e dell’impatto di singoli comunisti che si fanno rispettare come membri più leali, più devoti e ideologicamente chiari di queste organizzazioni.

Le vecchie abitudini sono dure a morire e tra le più perniciose c’è il concetto purista che tutti coloro che non sono d’accordo con il partito sono necessariamente nemici del socialismo. Ciò porta a una sostituzione di insulti e gergo a un sano dibattito con attivisti non di partito. Come già accennato, il nostro 7° Congresso ha notato alcuni isolati regressi in questa direzione e ha deciso di combattere tali tendenze. Ma, in generale, l’allontanamento consolidato e apprezzabile dal comandismo e dal settarismo vecchio stile ha conquistato per il nostro partito l’ammirazione e il sostegno di un numero crescente di attivisti rivoluzionari non comunisti nel vasto movimento operaio e nazionale. Riteniamo inoltre opportuno sondare le opinioni di tali attivisti nella formulazione di alcuni aspetti della nostra politica.  Ad esempio, abbiamo sottoposto la nostra concezione preliminare dei contenuti di una Carta dei Lavoratori a una discussione critica non solo nelle nostre file, ma in tutto il movimento nazionale e sindacale.

Democrazia e futuro

Il programma del nostro partito è fermamente orientato verso uno Stato post-apartheid che garantisca a tutti i cittadini i diritti e le libertà fondamentali di organizzazione, parola, pensiero, stampa, movimento, residenza, coscienza e religione; pieni diritti sindacali per tutti i lavoratori, compreso il diritto di sciopero, e una persona un voto in elezioni libere e democratiche. Queste libertà costituiscono l’essenza stessa dei nostri obiettivi di liberazione nazionale e socialisti e implicano chiaramente il pluralismo politico.

Sia per queste ragioni storiche, sia perché l’esperienza ha dimostrato che uno Stato monopartitico istituzionalizzato ha una forte propensione all’autoritarismo, rimaniamo protagonisti della democrazia multipartitica post-apartheid, sia nella fase democratica nazionale che in quella socialista, è auspicabile.

Riteniamo che il potere dello Stato post-apartheid debba essere chiaramente affidato ai rappresentanti eletti dal popolo e non, direttamente o indirettamente, al comando amministrativo di un partito. Il rapporto che si instaura tra partiti politici e strutture statali non deve in alcun modo minare la sovranità degli organi eletti.

Riteniamo inoltre che se ci sarà una vera democrazia nello Stato post-apartheid, la strada sarà aperta per una progressione pacifica verso il nostro obiettivo finale: un Sudafrica socialista. Questo approccio è coerente con la visione marxista – non sempre rispettata nella pratica – secondo cui la classe operaia deve conquistare la maggioranza dalla sua parte: finché non si usa la violenza contro il popolo, non c’è altra strada per il potere. (27)

Ne consegue che, in condizioni realmente democratiche, è perfettamente legittimo e auspicabile che un partito che si dichiari strumento politico della classe operaia cerchi di guidare il proprio elettorato in una competizione democratica per il potere politico contro altri partiti e gruppi che rappresentano altre forze sociali. E se vince, deve essere costituzionalmente obbligato, di volta in volta, a tornare dal popolo per un nuovo mandato. L’alternativa è l’auto-perpetuazione del potere, con tutte le sue implicazioni di corruzione e dittatura.

Conclusione

Non osiamo sottovalutare il danno arrecato alla causa del socialismo dalle distorsioni di cui abbiamo parlato. Tuttavia, continuiamo ad avere piena fiducia nel fatto che il socialismo rappresenti il modo più razionale, giusto e democratico per gli esseri umani di relazionarsi tra loro.

L’umanità non potrà mai raggiungere una vera libertà fino a quando non sarà costruita una società in cui nessuno abbia la libertà di sfruttare un altro individuo.
La maggior parte delle risorse dell’umanità non sarà mai utilizzata per il bene dell’umanità finché non sarà di proprietà pubblica e sotto controllo democratico.
L’obiettivo finale del socialismo di eliminare tutte le disuguaglianze di classe occupa un posto di primo piano nel corpo dell’etica civilizzata anche prima di Marx.
Lo sviluppo a tutto tondo dell’individuo e la creazione di opportunità per ogni persona di esprimere appieno i propri talenti possono trovare la massima espressione solo in una società che si dedica alle persone piuttosto che al profitto.
Gli oppositori del socialismo fanno un gran parlare di quello che definiscono il fallimento del socialismo in Africa. (28) Ma dicono poco, se non nulla, sul vero fallimento dell’Africa: il fallimento del capitalismo. Oltre il 90% della popolazione del nostro continente vive le proprie miserevoli e represse vite in economie capitalistiche stagnanti e in declino. Il capitale internazionale, a cui la maggior parte di questi Paesi è ipotecata, considera praticamente il pane a buon mercato, l’istruzione gratuita e la piena occupazione come crimini economici. Le proteste occidentali contro le violazioni dei diritti umani vengono messe in sordina quando si verificano in Paesi a orientamento capitalista.

La strada da percorrere per l’intera umanità si trova all’interno di un quadro socialista guidato da un autentico umanitarismo socialista e non all’interno di un sistema capitalista che radica le disuguaglianze economiche e sociali come stile di vita. Il socialismo può senza dubbio funzionare senza le pratiche negative che hanno distorto molti dei suoi obiettivi chiave.

Ma la semplice fiducia nel futuro del socialismo non è sufficiente. Bisogna imparare le lezioni dei fallimenti passati. Soprattutto, dobbiamo fare in modo che il suo principio fondamentale – la democrazia socialista – occupi un posto legittimo in tutte le pratiche future.

Note

1. È triste, ad esempio, registrare che tra le prime iniziative di politica estera del nuovo governo ungherese c’è stata quella di ospitare il ministro degli Esteri sudafricano. Così facendo si è allontanata, senza nemmeno le delicatezze diplomatiche di consultarsi con i rappresentanti della maggioranza repressa e dominata, da uno degli aspetti più umanitari delle politiche del mondo socialista, cioè essere all’avanguardia di chi rifugge discriminazione razziale.

2. Tra l’altro, le statistiche recentemente pubblicate su The Economist (Regno Unito) mostrano che in Unione Sovietica – dopo soli 70 anni di impegno socialista in quello che era uno dei paesi più arretrati del mondo capitalista – ci sono più ingegneri laureati che in negli Stati Uniti, più ricercatori laureati che in Giappone e più medici pro capite che nell’Europa occidentale. Inoltre produce più acciaio, carburante ed energia di qualsiasi altro paese ( Il mondo negli anni ’90 ; Pubblicazione Economist). Quanti paesi capitalisti possono eguagliare i risultati della maggior parte del mondo socialista nella fornitura di sicurezza sociale, assistenza all’infanzia, fine dell’arretratezza culturale e così via? Non c’è certamente nessun paese al mondo che possa battere il record di Cuba nel campo dell’assistenza sanitaria.

3. Marx usò il termine “accumulazione primitiva” per descrivere il processo originario di accumulazione capitalistica che, sosteneva, non era il risultato dell’astinenza ma piuttosto di atti (compreso il brigantaggio) come l’espropriazione dei contadini come avvenne durante le recinzioni britanniche ( Capitale , Volume 1, Parte VII). Preobrazhensky in The New Economics (1926) ha parlato di “accumulazione socialista primitiva” che comporta l’espropriazione di risorse dalle classi più agiate per generare capitale per lo sviluppo industriale socialista. Qui il termine è usato per descrivere le misure arbitrarie prese contro i contadini sovietici per “rinchiuderli” forzatamente in collettivi.

4. Il socialismo, come fase di transizione verso il comunismo, non si basa sul pieno egualitarismo. Ma è chiaro che la massima socialista ‘a ciascuno secondo il suo contributo’ non è assolutamente applicata in una società socialista che dedica una grossa fetta delle proprie risorse ai servizi sociali, sovvenzionando i beni di prima necessità e attuando il diritto umano al lavoro garantito. Gli strati medi della società socialista stanno inevitabilmente peggio delle loro controparti in Occidente. L’accesso ai vasi di carne dei beni di consumo (che l’Occidente produce per la classe superiore in variazioni quasi strabilianti) è più limitato quando la società cerca di utilizzare il suo surplus per ottenere una più giusta distribuzione della ricchezza.

5. The New Yorker , 23 gennaio 1989.

6. Nell’ultimo periodo alcuni partiti politici europei e africani hanno “ufficialmente” abbandonato il marxismo-leninismo come guida teorica. Nel caso del FRELIMO, la decisione appare frutto di ripensamenti su quella che, date le circostanze, potrebbe essere stata una prematura trasformazione del movimento in avanguardia comunista. Ma nel caso di alcuni partiti occidentali la decisione sembra essere una risposta (con indubbie implicazioni elettorali) alle distorsioni dell’esperienza socialista piuttosto che una conclusione ragionata che il marxismo non è uno strumento praticabile nell’impresa socialista. Un eminente accademico sovietico (riportato in Work in Progress , n. 48, luglio 1987, p. 7) ha predetto che il Sudafrica non ha alcuna possibilità di diventare socialista per un secolo.

7. Ciò deve essere inteso come una spiegazione immediata del modo in cui il grande cambiamento sociale si manifesta in una situazione in cui i rapporti di produzione sono divenuti ostacoli allo sviluppo delle forze produttive.

8. Questo tipo di formulazione è preferito a quello usato occasionalmente da Gorbaciov secondo cui esistono alcuni valori umani universali che hanno la priorità sui valori di classe. Quest’ultima formulazione tende a sminuire l’interdipendenza tra classe operaia e moralità umana. Forse va anche troppo lontano nel separare la moralità dalla sua connessione di classe, anche se è chiaro che l’affermazione di certi valori può essere nell’interesse reciproco di classi altrimenti in lotta.

9. Vedi Lenin, Stato e rivoluzione , Opere scelte , pp. 203-204.

10. M. Gorbachev in Pravda , 26 novembre 1989.

11. Marx, Il Capitale , Volume 1, p. 716, Edizione Penguin Books.

12. AP Ogurtsov, Enciclopedia filosofica sovietica .

13. Il Capitale , Volume 3, Capitolo 48.

14 Pravda , 30 settembre 1989.

15. Marx: Guerra civile in Francia .

16. Manifesto comunista .

17. Lettera a J. Weydemeyer , vedi anche Critica del programma Gotha , Opere scelte , p. 331

18. Introduzione alla guerra civile in Francia .

19. Opere scelte , volume secondo, pp. 302–3.

20. La rivoluzione russa , p. 79.

21. Opere scelte , volume secondo, pp. 303–4.

22. È istruttivo notare come gli antimarxisti ei liberali occidentali abbiano compreso e persino accolto con favore l’imposizione dei più sfacciati metodi dittatoriali per trattare con i controrivoluzionari subito dopo il rovesciamento del regime di Ceaucescu.

23. Un chiaro esempio di ciò è l’incapacità di qualsiasi organizzazione femminile nei paesi socialisti di organizzare un’agitazione contro le continue disuguaglianze tra uomini e donne nei settori sociali e politici chiave. È del tutto inconcepibile che le organizzazioni femminili non abbiano notato la continua struttura maschilista della famiglia e la schiacciante dominazione maschile (più ancora che nell’occidente capitalista) di tutte le strutture del potere politico.

24. Il numero totale di voti espressi è stato di 36,26 milioni. Dei maggiori partiti, i socialrivoluzionari ricevettero 20,9 milioni, i bolscevichi 9,02 milioni, i cadetti 1,8 milioni, i menscevichi 0,6 milioni e il resto fu diviso tra altri 20 partiti.

25. Alcuni dei paesi socialisti erano governati da un fronte, ma in sostanza gli alleati dei partiti comunisti avevano poco o nessun potere o effettiva autonomia.

26 Pravda , 26 novembre 1989

27. Lenin, Opere scelte , Volume 2, p. 36.

28. Ignorano opportunamente il fatto che la maggior parte dei paesi che hanno cercato di creare le condizioni per la costruzione del socialismo hanno affrontato guerre civili senza fine, aggressioni e banditismo di ispirazione esterna; una situazione in cui è quasi impossibile costruire qualsiasi tipo di formazione sociale stabile – capitalista o socialista.

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