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il linguaggio di Obama

obamaLa lezione di Obama

di Michelangelo Conoscenti*

L’analisi dei discorsi del Presidente Usa può insegnare molto ai progressisti europei. Ecco perché

L’analisi dei discorsi del presidente Obama può insegnare molto ai progressisti europei. Si attribuisce il suo successo al fatto che sia un grande retore. Così è, ma non solo. È innanzitutto un avvocato che ha rinunciato ai facili guadagni di Wall Street per dedicarsi alla difesa di chi un avvocato non poteva permetterselo, in linea con il suo credo politico. La sua campagna elettorale è incominciata con il discorso alla Convention Democratica del 2004 quando, seppur parlando in favore di Kerry, impostò i principi del suo political discourse. Obama è un intellettuale che parla in modo raffinato eppure immediato, arrivando al cuore.
L’attuale Presidente degli Stati Uniti è un caso da manuale per il linguista cognitivo. Mentre nel 2007 Lakoff e Westen pubblicavano testi su come i Democratici dovessero impostare le loro campagne, lui già praticava questi principi. Frank Luntz, l’estensore del Contratto con gli Americani, ma anche consulente di Berlusconi per la versione italiana, disse: «Vorrei poter dire che Obama è il risultato delle mie Words that Work, ma non è così». Perché? Ha dimostrato di saper fare meglio, di essere un Presidente X.0 che sa gestire diverse modalità e mezzi comunicativi facendo sentire le persone essere umani. Il suo sorriso non è di circostanza, è empatico. Accompagna sempre i suoi gesti e le sue parole in modo coerente, eppure avvertì: «Non sarò un Presidente perfetto». È questa la prima lezione che l’analista multimodale apprende. La sua comunicazione, basata su principi di framing piuttosto che di spinning, ha un aspetto etico. Utilizza le scoperte delle scienze cognitive per meglio veicolare una visione politica fortemente ancorata ai valori progressisti e dei Padri fondatori, non una d’interessi personali. Non usa banali ripetizioni di parole per programmare neurolinguisticamente l’audience. Il suo discorso si basa su una capacità narrativa che riesce a catturare anche il cittadino meno attento e a risvegliare l’America solidale. La sua è una comunicazione totale, al punto che anche chi è straniero e non capisce l’inglese resta comunque colpito dagli aspetti non verbali che egli attua. Fondamentale per chi deve comunicare e negoziare con altre culture.
Uno dei doni di Obama, perché di questo si tratta, è di trasformare le idee complesse, istituzionali, in un linguaggio naturalizzato. E’ sufficiente analizzare i suoi discorsi per comprendere questo aspetto. Un argomento ostico come il Bilancio dello Stato diventa una metafora dell’America che è casa fiscale di tutti in cui si «gettano le fondamenta per il futuro» e dove i contribuenti e la classe media sono “i mattoni” dell’edificio. Ma lo stesso si può dire per la religione, il patriottismo. Ogni argomento d’importanza pubblica trova la sua metafora. È consapevole che il 98% della comunicazione viene percepita in modo inconscio e che gli elettori non votano secondo quelle “liste della spesa” che sono i programmi elettorali, ma seguendo le loro emozioni, l’empatia e i neuroni a specchio che sono attivati dalla narrazione metaforica. Il messaggio obamiano attiva processi dopaminici che si ancorano in quella consapevole coscienza politica che è il frutto della tradizione democratica americana e che Lakoff ha metaforizzato nel Genitore Amorevole, in contrapposizione al Padre Severo conservatore. Ecco perché Obama non si stanca di dire: «Sono responsabile dei miei fratelli e sorelle». Si realizza dunque un discorso basato su principi cognitivi, empatici, emotivi, mai isterici, con effetti di lungo periodo. Questi riposizionano l’esperienza cognitiva del cittadino attraverso narrazioni coerenti con i valori progressisti, ma in grado di realizzare il motto americano e pluribus unum (da molti, uno). In questo modo Obama s’indirizza ai biconcettuali, coloro i quali, in base al circuito neurale attivato, propendono per una visione Progressista o Conservatrice, dimostrando che in politica il centro non esiste. Esistono solo elettori in movimento.

* Ordinario di Linguistica Inglese all’Università di Torino. Sta scrivendo un libro sulle tecniche comunicative di Obama. Invitato al seminario “Brave New World” alle Fabbriche di Nichi

da il manifesto, 17.07.2010

L’intervento è davvero molto interessante, ma … Il problema della sinistra, e di Obama, è solo di trovare il linguaggio giusto per mietere consensi? La questione del comunicare ovviamente è fondamentale: la destra mondiale assoldò non a caso un vecchio attore di Hollywood per fare la sua controrivoluzione. Ma se riduciamo i nostri problemi solo alla ricerca del leader che sa comunicare finiremo con l’affidarci a Giucas Casella. Veltroni sapeva sicuramente comunicare, ma non credo che siano in molti a provare nostalgia. Oltre al fumo, bisognerebbe discutere anche dell’arrosto.

Colgo l’occasione per segnalare un’intervista a Cornel West molto critico verso l’amministrazione Obama:

2 comments to il linguaggio di Obama

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