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Tamas Krausz: Il socialismo di Lenin – Dal punto di vista del futuro (2021)

Ho tradotto un lungo articolo dello storico ungherese Tamas Krausz, autore di Reconstructing Lenin: An Intellectual Biography che finalmente uscirà in italiano il prossimo 19 gennaio meritoriamente edita dalla casa editrice Donzelli.  Ho avuto occasione di incontrare Tamas Krausz nel 2017 alla Summer university della Sinistra Europea a Budapest nell’ambito della campagna per salvare l’Archivio Lukacs (poi purtroppo chiuso dal governo di Orban). La ricostruzione del pensiero di Lenin che propone Orban lo distanzia sia dal “socialismo di stato” di Stalin sia dalla mostrificazione totalitaria che ne hanno fatto gli anticomunisti. Nel centenario della morte di Lenin vi consiglio la lettura. (M.A.)

“Se leggiamo Lenin dalla prospettiva del futuro, non sono le strade e le piazze

a dover essere occupate, ma i luoghi di lavoro”.

introduzione

C’è una grande varietà di teorie e discussioni sulle opinioni di VI Lenin sul socialismo e sulla sua praxis rivoluzionaria, che spesso porta al caos e alle confusioni teoriche e intellettuali. Il presente lavoro cerca di chiarire alcune questioni controverse.1

La teoria del socialismo di Lenin deriva direttamente dalle opinioni di Marx ed Engels, e si manifesta nella sua famosa opera, Stato e rivoluzione.2 La teoria del socialismo di Marx ed Engels era così importante per Lenin che non vi rinunciò mai, nemmeno nel periodo del comunismo di guerra, quando per un breve periodo pensò che le misure del comunismo di guerra potessero accelerare il passaggio al socialismo.

È ovvio che i rivoluzionari, compreso Lenin, dovettero cambiare idea dopo la vittoria della rivoluzione, quando si trovarono di fronte una mutata e imprevista situazione politico-storica: dopo una sanguinosa guerra civile e l’intervento militare occidentale, l’Unione Sovietica era sola e doveva navigare in circostanze “oggettive” molto sfavorevoli.

Il problema storico chiave del socialismo nella Russia sovietica

Lenin delineò l’intero problema del socialismo attraverso lo sviluppo storico dei rapporti di proprietà e di produzione, secondo il quale la nuova “società comunitaria” (communal nel testo inglese) socialista nasce in Russia e nella semiperiferia (Krausz 2020). Basandosi sulla tradizione teorica di Marx, l’interpretazione del socialismo di Lenin delineava una forma più elevata di proprietà comune, il controllo diretto nel luogo di lavoro attraverso i soviet dei lavoratori, il cui primo antenato storico era stata la Comune di Parigi osservata da vicino da Marx.

Quando seguendo Marx, Lenin propose il suo concetto delle “tre fasi” nel suo Stato e Rivoluzione – in cui il socialismo, come “fase inferiore” del comunismo, è preceduto da un “periodo di transizione” – non poteva sapere che in Russia la rivoluzione avrebbe finito con l’essere isolata. Di conseguenza, il socialismo teorico come questione pratica dovette essere rimandato e tolto dall’agenda e la storia si spostò verso la possibilità del socialismo nella sua peculiare forma russa, qualcosa che avrebbe voluto evitare.

Così, le considerazioni teoriche e le possibilità pratiche entrarono inevitabilmente in conflitto già il secondo giorno della Rivoluzione d’Ottobre. In una visione a lungo termine della storia, tutti i grandi conflitti e tutte le contraddizioni sono stati radicati in questo fatto in un modo o nell’altro. Lenin era consapevole del fatto che “l’arretratezza russa” (il suo sviluppo semiperiferico) facilitava la causa della rivoluzione, ma ostacolava la realizzazione del socialismo.

La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che lo sviluppo sovietico debba essere suddiviso in periodi diversi sulla base di criteri economico-politici. I tre periodi successivi alla Rivoluzione d’Ottobre furono i seguenti: “economia di mercato” che caratterizzò il periodo fino alla primavera-estate 1918, il comunismo di guerra del 1918-1920 e il “capitalismo di stato” della Nuova Politica Economica (NEP) dal marzo 1921 in avanti. Questi periodi hanno plasmato il pensiero di Lenin. A questo punto è necessaria una breve digressione sulla storia della storia socialista.

Le origini concettuali del socialismo

Nella prima metà del 1890, Lenin, contraddicendo Mikhailovsky nel suo Che cosa sono gli “Amici del Popolo”, respinse tutte le visioni sognanti del socialismo. Chiarì che l’opera di Marx non ha mai dipinto prospettive dettagliate per il futuro: si limitava ad analizzare l’attuale regime borghese, a studiare le tendenze dinamiche di sviluppo dell’organizzazione sociale capitalista.3

Vladimir Ilyich Ulyanov, un giovane di Simbirsk, aveva 24 anni quando arrivò alla chiara esposizione-interpretazione di un’alternativa al capitalismo; e fu un risultato molto importante soprattutto se si considera che fino ad ora non abbiamo ancora un’altra alternativa teoricamente coerente al capitalismo.

Soprattutto e molto presto Lenin delineò l’intero problema del socialismo attraverso lo sviluppo storico della proprietà. Nella sua analisi la nuova società comunitaria appare nella storia moderna dopo la dissoluzione delle comunità antiche. Era una forma superiore di proprietà comunitaria, la manifestazione di una nuova “proprietà individuale”:

“L’abolizione della ‘proprietà individuale’, che dal Cinquecento si attua nel modo sopra indicato, è la prima negazione. Ne seguirà una seconda, che ha il carattere di negazione della negazione, e quindi di restaurazione della «proprietà individuale», ma in forma superiore, fondata sulla proprietà comune della terra e degli strumenti di lavoro. Herr Marx chiama questa nuova ‘proprietà individuale’ anche ‘proprietà sociale’, e in essa appare l’unità superiore hegeliana, in cui la contraddizione dovrebbe essere sublata (aufgehoben – il termine hegeliano specifico)” (LCW, Vol. 1, 169).

Pertanto, il socialismo come possibilità filosofica e storica ha il suo principio con l’inizio della moderna società capitalista sotto forma di accumulazione primitiva di capitale. Lenin citava a lungo Marx sulla rinascita della proprietà individuale, che ora significava la proprietà condivisa degli strumenti di produzione (vedi anche Krausz 2015, 313). Cioè, “la forza-lavoro di tutti i diversi individui è applicata consapevolmente come forza-lavoro combinata della comunità” su base socialista, come una “comunità di individui liberi”:

“Il capitale diventa un vincolo al modo di produzione, che è sorto e si è nutrito insieme e sotto di esso. La concentrazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono finalmente un punto in cui diventano incompatibili con il loro involucro capitalista. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica” (LCW, Vol. 1, 169 e 171–172).

Nel primo volume del Capitale Marx prosegue così:

“Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale. Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.” (Marx, 1887 C1, cap. 32).

Così Lenin interpretò gli sviluppi del capitalismo moderno su questa base teorica:

“Il sistema taylorista – senza che i suoi iniziatori lo sappiano o lo desiderino – sta preparando il momento in cui il proletariato si occuperà di tutta la produzione sociale e nominerà i propri comitati operai allo scopo di distribuire e razionalizzare adeguatamente tutto il lavoro sociale. Produzione su larga scala, macchinari, ferrovie, telefonia: tutto offre migliaia di opportunità per ridurre di tre quarti l’orario di lavoro dei lavoratori organizzati e renderli quattro volte migliori di quanto non lo siano oggi. E questi comitati operai, assistiti dai sindacati dei lavoratori, potranno applicare questi principi della distribuzione razionale del lavoro sociale quando quest’ultimo sarà liberato dalla sua schiavitù del capitale” (LCW, Vol. 20, 154).

Sulla base delle esperienze dal colonialismo alla prima guerra mondiale, Lenin sapeva già che non esiste un qualche confine o limite nel processo di riproduzione capitalista e, in generale, nel processo di accumulazione senza fine del capitale, che avrebbe portato automaticamente al crollo del capitalismo. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 non avrebbe avuto alcun significato se i lavoratori e i contadini non si fossero impossessati della proprietà dei luoghi di lavoro e dei mezzi di produzione, compresa la terra, attraverso i loro Soviet.

Periodo di transizione: dall’economia di mercato al comunismo di guerra

Al centro del pensiero di Lenin dopo l’ottobre 1917 c’era la questione di come preservare il potere duramente conquistato dai soviet. In pratica questo non fu mai separato dal potere del suo partito, che lui vedeva come la condizione politica da cui dipendeva il mantenimento del potere sovietico. Da questo punto di vista esaminò la possibilità pratica dei fini proletari socialisti-comunitari. La contraddizione, che metteva a dura prova le tortuose battaglie quotidiane per la sopravvivenza e il mantenimento degli obiettivi, poneva sempre più in primo piano i discreti problemi del cosiddetto periodo di transizione. Tale era la massa di problemi che dovette affrontare al primo congresso dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Lì, richiamò l’attenzione sulla particolarità della loro rivoluzione: la situazione era stata travisata per far credere che alcuni volessero “introdurre” il socialismo in Russia per decreto, senza considerare il livello tecnico esistente, il gran numero di piccole imprese, o le abitudini e i desideri della maggioranza della popolazione, e, con in aggiunta – elemento che Lenin più volte sottolineò – il fatto che l’80% della popolazione era analfabeta.

Nel suo opuscolo, I compiti immediati del potere sovietico, pubblicato come inserto della Pravda il 28 aprile 1918, Lenin sollevò ancora una volta le stesse questioni e gradualmente prese posizione alla luce della nuova situazione (LCW, Vol. 27). Il motivo per cui attribuiva tanta importanza alle difficoltà causate dalla situazione “caotica” era che “il partito militare, tentato dalla momentanea debolezza della Russia… può prendere il sopravvento in qualsiasi momento” in Occidente (LCW, Vol. 27, 237). Intendeva stabilire una concreta alternativa economica alla produzione dominata dal mercato in una “società capitalista costruita in modo anarchico” e nel sistema del “mercato nazionale e internazionale in crescita ed espansione spontanea”, ma che non avesse ancora oltrepassato i limiti dell’attuale “economia di mercato mista (LCW, Vol. 27, 238). In verità, aveva già sostenuto “la contabilità e il controllo più rigorosi e universali della produzione e distribuzione dei beni”. Poiché parlò di “costruire un sistema estremamente intricato e delicato di nuove relazioni organizzative”, la cui realizzazione non era solo una questione tecnica, è naturale che non abbia previsto una completa e immediata cessazione di tutti i rapporti di mercato in quanto “ci vuole tempo” per “convincere la gente” e “approfondire la coscienza”. Lenin concluse che il capitalismo come settore avrebbe dovuto rimanere in piedi. Disse che “se decidessimo di continuare ad espropriare capitali alla stessa velocità con cui abbiamo fatto finora, certamente subiremmo una sconfitta”, e altrove che “l’espropriazione degli espropriatori” è più facile che introdurre un nuovo sistema. Credeva che gli attacchi della Guardia Rossa al capitale fossero giunti al termine e che fosse iniziato il periodo di “utilizzo di specialisti borghesi da parte del potere statale proletario” (LCW, Vol. 27, 246, 248). Si allontanò anche da ogni premessa teorica e dichiarò inequivocabilmente che questi specialisti devono essere impegnati al servizio del nuovo regime con “alta remunerazione”. Lenin descrisse questa “conquista delle ‘stelle’ dell’intellighenzia” come un “passo indietro” e una “ritirata parziale” rispetto all’uguaglianza socialista (LCW, Vol. 27, 248–250). Allo stesso tempo – e con grande preveggenza – parlò di una certa e inevitabile corruzione di questo sistema, dell’indebolimento della sua fibra morale come una sorta di concomitanza naturale dell'”economia di mercato”. “L’influenza corruttrice degli alti salari – sia sulle autorità sovietiche (soprattutto perché la rivoluzione è avvenuta così rapidamente che era impossibile impedire a un certo numero di avventurieri e ladri di entrare in posizioni di autorità …) sia sulla massa dei lavoratori – è indiscutibile”. Eppure non trovò mai una soluzione convincente a questa contraddizione, pensando sempre in termini di coscienza “socialista” e “proletaria” e della sua persuasione, perché non erano stati in grado di stabilire “un controllo e una contabilità globali” ed erano “rimasti indietro con la riforme socialiste”. “Il controllo operaio è stato istituito da noi per legge, ma con difficoltà comincia a penetrare nella vita e persino nella coscienza delle grandi masse del proletariato” (LCW, Vol. 27, 254).4 In sostanza, l’allargamento della regolamentazione statale alla produzione capitalistica e allo scambio di beni (anche alle cooperative) può diventare una questione fondamentale sulle condizioni finanziarie e di mercato nella “transizione che porta al socialismo”. In La Catastrofe Immediata, tracciò una chiara linea di demarcazione tra il controllo statale della borghesia e l’espropriazione della proprietà privata che si applicava alla borghesia, argomentando anche contro l’espropriazione in questo caso specifico:

“Se la nazionalizzazione delle banche viene così spesso confusa con la confisca della proprietà privata, è la stampa borghese che ha interesse a ingannare il pubblico. … Chiunque possedesse quindici rubli su un conto di risparmio continuerebbe ad essere proprietario di quindici rubli dopo la nazionalizzazione delle banche; e chiunque avesse quindici milioni di rubli continuerebbe dopo la nazionalizzazione delle banche ad avere quindici milioni di rubli sotto forma di azioni, obbligazioni, cambiali, certificati commerciali e così via” (LCW, Vol. 25, 330).

Lo scopo della nazionalizzazione era di supervisionare i processi finanziari ed economici, l’effettiva riscossione delle imposte sul reddito delle persone fisiche, ecc. Lenin contrapponeva la regolamentazione borghese reazionaria alla regolamentazione democratica rivoluzionaria, con il controllo dal basso, con i cui limiti si trovò presto faccia a faccia. Aveva già stabilito che la costruzione della più moderna industria pesante avrebbe richiesto un progresso tecnico-tecnologico all’avanguardia, per applicare “quel tanto che vi è di scientifico e progressivo nel sistema Taylor; rendere il salario proporzionale ai risultati complessivi della produzione o del lavoro svolto dai trasporti ferroviari, marittimi, fluviali, ecc.”. Lenin pensava che la fattibilità del socialismo dipendesse dai successi che si potevano conseguire nel “combinare il potere sovietico e l’organizzazione amministrativa sovietica con i più avanzati progressi del capitalismo.” (LCW, Vol. 27, 259). Oltre alla cooperazione e alla concorrenza dei settori economici e dei modi di produzione, Lenin parlò anche di “competizione tra le comuni” e ne indicò le forze motrici morali più chiaramente delle sue basi materiali ed economiche. In contrasto con i “permessi” accordati alle condizioni di mercato e finanziarie e alle “cooperative borghesi”, “lo Stato socialista può sorgere soltanto come una rete di comuni di produzione e di consumo, che calcolano coscienziosamente la loro produzione e i loro consumi, economizzano il lavoro, ne elevano costantemente la produttività, riuscendo così a ridurre la giornata lavorativa a sette, a sei ore e anche a meno.” (LCW, Vol. 27, 259).

Lenin aveva preso nota di questo e nella primavera del 1918 la carestia devastò le città. In effetti, nel maggio 1918 fu delineata la svolta politica che portò da un’economia di mercato mista supervisionata dallo stato a una dittatura di sussistenza statale che scivolò spontaneamente verso il comunismo di guerra. Quest’ultimo, all’inizio, fu determinato e giustificato dalla controrivoluzione armata interna e dagli attacchi militari interventisti.

La NEP contro il comunismo di guerra: lo stato contro il capitalismo per la sopravvivenza del socialismo come alternativa

Non è stato spiegato che la questione non si basa semplicemente sul potere statale, poiché nel comunismo di guerra lo stato come forza militare dell’autorità, come “deterrente per i nemici di classe attraverso il potere dittatoriale”, agì come la molla principale dell’economia. Questo non aveva radici in nessuna forma di tradizione teorica marxista del tempo di Marx e contraddiceva persino l’idea di socialismo del suo periodo. Lenin non era così ingenuo da identificare il comunismo di guerra con il “socialismo completo”, poiché continuava a credere che “finché rimangono operai e contadini, il socialismo non è stato raggiunto” (LCW, Vol. 30, 506). Il vero errore teorico di Lenin nel 1919-1920 fu quello di sopravvalutare le possibilità di socializzazione, di supervisione sociale nel quadro della nazionalizzazione, e di sottovalutare il radicamento del mercato e del denaro in un ruolo regolatore, un fatto che in seguito riconobbe. L’“atmosfera” dell’epoca, l’atteggiamento romantico verso la guerra civile, si esprimeva anche nell’egualitarismo obbligato del comunismo di guerra.

L’obiettivo del comunismo di guerra era il consolidamento della nuova gerarchia del potere militare in condizioni di guerra civile, anche se contemporaneamente esacerbò la situazione economica. Nel frattempo, Lenin riteneva che il socialismo, in quanto sistema giunto a compimento, sarebbe stato composto solo da associazioni volontarie di comunità economicamente produttive organizzate dal basso. Era pur sempre uno Stato, però, perché «per un certo tempo resta non solo il diritto borghese, ma anche lo Stato borghese, senza la borghesia» per difendere «l’uguaglianza del lavoro» e la proprietà pubblica (LCW, Vol. 25, 471). Lenin distinse tra proprietà statale e sociale-comunitaria fin dall’inizio; prima dell’introduzione del comunismo di guerra, credeva che le classi produttive stesse avrebbero dovuto creare le condizioni socialiste.

Proprio come il comunismo di guerra non era l’applicazione di una teoria, nemmeno la NEP ne era l’esperimento o l’esercizio. Il governo sovietico attuò sia il comunismo di guerra che la NEP sotto la pressione di circostanze, necessità e bisogni concreti, senza prevederne gli effetti interni o internazionali. In entrambi i casi le loro ideologie – la giustificazione teorica dei “sistemi” – furono sviluppate parallelamente alla loro introduzione o come seguito (sebbene il comunismo di guerra incorporasse una serie di elementi della politica economica di guerra tedesca e la NEP includesse elementi dell'”economia di mercato” dell’inverno e della primavera del 1918). La NEP significava sostituire la produzione militarizzata – compreso il sistema delle razioni, la rigida distribuzione statale e la requisizione obbligatoria del grano – con condizioni monetarie e di mercato, ripristino del libero scambio e introduzione di imposte in natura. Spesso si dimentica che, allo stesso tempo, il parziale ripristino delle condizioni capitaliste comportò una generale trasformazione sociale, una ristrutturazione delle classi e dei gruppi sociali e un cambiamento nei loro rapporti.

Anche l’introduzione dell’economia di mercato e della “democrazia operaia” si rivelarono una contraddizione che non poteva essere superata. Segmenti significativi delle masse lavoratrici si stancavano dei sacrifici che erano chiamati a fare e chiedevano un “allentamento dei bulloni”, ma pochissimi erano in possesso delle competenze richieste per la democrazia diretta. Lenin in seguito espresse la necessità della NEP, riassumendola in modo chiaro e autocritico all’XI° Congresso del Partito nella primavera del 1922: “Dobbiamo organizzare le cose in modo tale da rendere possibile il consueto funzionamento dell’economia capitalista e dello scambio capitalista, perché questo è essenziale per il popolo” (vedi discorso di Lenin all’11° Congresso del marzo 1922, LCW, Vol. 33, 279).

 

Socialismo di Stato contro capitalismo di Stato

Con l’ascesa della NEP, la questione del socialismo nel pensiero di Lenin si ampliò di nuovi elementi e ipotesi.  Chiarì che non era disposto a diventare soggetto alla propaganda del suo stesso partito e distinse concettualmente tra il periodo della NEP e il socialismo. La NEP fu definita come una “fase transitoria” non premeditata all’interno del periodo di transizione. Lenin prese consapevolmente precauzioni per non commettere lo stesso errore, commesso durante il comunismo di guerra, di tentare di dare legittimità alle condizioni dell’“economia di guerra” nella teoria socialista. Lenin aveva effettivamente reso il capitalismo di stato centrale come parte della transizione dopo la primavera del 1918, ma in modo strutturato. Il concetto aveva un significato politico immediato. Lo stato sovietico riservava un trattamento preferenziale al capitale organizzato su larga scala e alla proprietà statale orientata al mercato piuttosto che alla proprietà privata anarchica, l’economia incontrollabilmente caotica della piccola borghesia (25 milioni di piccole proprietà al posto di una sola grande!). I motivi erano che “un capitalismo controllato dallo stato” era l’unica soluzione per una “ritirata ordinata” e solo il capitalismo di stato poteva sostituire il centralismo burocratico comunista di guerra, che aveva anche generato il caos. Naturalmente Lenin la definì una “ritirata” rispetto al socialismo teorico; in concreto, parlò di un passo avanti rispetto alla pratica della politica economica sotto il comunismo di guerra. Così come aveva descritto lo Stato del periodo di transizione come uno “Stato borghese” senza borghesia, parlava di un capitalismo di Stato senza che una borghesia nascesse come conseguenza della NEP, fintanto che (e insieme ad altri sviluppi) “le imprese statali saranno in larga misura poste su una base commerciale e capitalista” (LCW, Vol. 42, 376).

Per Lenin, Kronstadt e le rivolte contadine (in particolare, l’Antonovshchina) mostravano che il comunismo di guerra era morto. Fu così che la “pura forma di capitalismo di stato”, di cui il governo sovietico aveva bisogno per funzionare, finì per essere considerata l’opposto del comunismo di guerra. Lenin indicò lo scopo della NEP in uno dei suoi ultimi scritti, Sulla cooperazione: “Ora, l’obiettivo pratico della nostra nuova politica economica consiste nell’ottenere delle concessioni; queste sarebbero già indubbiamente nelle nostre condizioni un puro tipo di capitalismo di Stato.” (LCW, Vol. 33, 472). Per Lenin, come lui stesso sottolineò, “gli obiettivi pratici erano sempre di primaria importanza”, e quindi poteva solo sperimentare una teoria che rafforzasse anche l’obiettivo pratico. Ora, ciò che per lui era essenziale era proprio che in Russia fosse sorto un tipo speciale di capitalismo, sconosciuto alla storia: “per me l’importante era di stabilire il legame, senza soluzione di continuità, del capitalismo di Stato abituale e il capitalismo di Stato insolito, addirittura del tutto insolito, del quale parlai presentando al lettore la Nuova Politica Economica” (LCW, Vol. 33, 472).

Il concetto di capitalismo di Stato è qui utilizzato in due sensi: da un lato come settore di un’economia di mercato mista. Dall’altro è un termine della teoria della formazione che denota il metodo economico e la disposizione per il periodo di transizione e visto come una fase di esso. È un tipo di “capitalismo di Stato”, tra virgolette, che non si trova in “nessun libro di testo”, “né negli scritti di Marx ed Engels”: “Sulla questione del capitalismo di Stato… la nostra stampa e il nostro Partito commettono l’errore di cadere nell’intellettualismo, nel liberalismo; filosofiamo su come interpretare il capitalismo di Stato e guardiamo ai vecchi libri. Ma… non è stato scritto un solo libro sul capitalismo di Stato sotto il comunismo” (Discorso all’Undicesimo Congresso del RCP(B.), LCW, Vol. 33, 277–278; Krausz 2007).

Già nel 1918 Lenin suggerì di usare il termine “capitalismo di Stato” per i rapporti del periodo di transizione. “Il capitalismo di Stato sarebbe per noi, e per la Russia, una forma più favorevole di quella esistente. … Non abbiamo sopravvalutato né i rudimenti né i principi dell’economia socialista, sebbene avessimo già compiuto la rivoluzione sociale. Al contrario, già a quel tempo, nel 1918, ci rendevamo conto in una certa misura che sarebbe stato meglio arrivare prima al capitalismo di Stato e solo dopo al socialismo» (LCW, Vol. 33, 420). Non è casuale che abbia provocato un grande sconvolgimento tra i marxisti, quando – sulla scia di Tony Cliff – il termine di capitalismo di Stato è stato trasferito alla descrizione del socialismo di Stato, affermatosi dopo la svolta staliniana.5

La teoria del socialismo e le sue possibilità pratiche

Il discorso di Lenin all’11° Congresso del Partito sottolineava in particolare che durante il periodo della NEP la Russia si sarebbe sviluppata nel quadro di un’economia mista multisettoriale, in cui le varie forme di economia competono e mobilitano diverse forze sociali: “Quando ho parlato di competizione comunista, quello che avevo in mente non erano le simpatie comuniste, ma lo sviluppo delle forme economiche e dei sistemi sociali” (LCW, Vol. 33, 287). Queste varie forme – piccoli proprietari, capitalista di stato, socialista di stato e settori cooperativi autonomi – formavano un sistema di economia di mercato, il che significava che la realizzazione diretta del socialismo come sistema veniva tolta dall’agenda politica pratica. In altre parole, l’obiettivo era la sopravvivenza del socialismo come settore. La teoria del socialismo di Lenin è compatibile con questa struttura coerente, in cui ogni settore socio-economico era composto da ulteriori sottosettori e forme organizzative di produzione e consumo. Questo sistema multisettoriale si è arrestato con la svolta promossa da Stalin, che ha spazzato via i settori sia del capitalismo di mercato che delle forme di produzione comunitaria diretta. Il socialismo di stato è nato nel 1929-1933 come un sistema derivato da circostanze storiche ben note. Poi la gente iniziò a chiamarlo socialismo come lo dichiarava la Costituzione del 1936.

Nel corso degli anni ’20 la caratteristica peculiare della proprietà e della produzione comune diretta si concretizzò o sotto forma di associazioni di volontariato o attraverso la mediazione statale, anche se solo in una piccola frazione di unità o campi agricoli e industriali. Lenin concentrò gran parte della sua attenzione alla fine della sua vita sull'”autogoverno” e sul “socialismo cooperativo” – le possibilità storiche di un sistema economico costruito sulla democrazia diretta – che chiamò “isole di socialismo”. Il significato degli esperimenti con le cooperative era di immensa importanza per Lenin, perché «questo potere politico possiede tutti i mezzi di produzione, l’unico compito, infatti, che ci resta è organizzare la popolazione in società cooperative. … Il socialismo … raggiungerà automaticamente il suo scopo” (Sulla Cooperazione, LCW, Vol. 33, 467–475).

Questo anche se sapeva che pensatori e politici che erano stati nutriti dal mercato e dallo stato disprezzavano le cooperative, anche “dal punto di vista del passaggio al nuovo sistema attraverso i mezzi più semplici, facili e accettabili per il contadino. ” Sapeva che l’incorporazione dell’intera popolazione in cooperative volontarie di produzione e consumo avrebbe richiesto un periodo storico più lungo per realizzarsi – proprio per l’assenza dei presupposti culturali e di civilizzazione – e tuttavia insisteva nel porre questo problema.6 L’esatto rapporto tra cooperative e socialismo che Lenin aveva in mente diventa chiaro alla luce di tutto il suo approccio, del sistema completo e coerente dei suoi pensieri.

Le cooperative, come scrisse, sono dei prodotti del capitalismo; sono “istituzioni capitalistiche collettive” in cui si intravede il futuro del socialismo. I produttori hanno l’opportunità di plasmare le cooperative a propria immagine nel corso di una riforma rivoluzionaria del potere statale, in modo simile a come nella NEP, “quando uniamo imprese capitaliste private … con imprese di tipo coerentemente socialista … si pone la questione un terzo tipo di impresa, le cooperative, che formalmente non erano considerate come un tipo autonomo e sostanzialmente diverso dalle altre”. Parlò della possibilità di coesistenza di imprese statali socialiste e cooperative socialiste, anche se presto sarebbe avvenuta una differenziazione tra le due forme di cooperativa, statale e autogovernata (LCW, Vol. 33, 472–473). Entro la metà degli anni ’20, quasi 10 milioni di persone erano state raggruppate in cooperative di consumatori organizzate dallo stato e sovvenzionate dallo stato. Lenin indicò esplicitamente che occorreva passare dall’interpretazione del socialismo precedentemente raggiunta (comunista di guerra, potere statale e politicizzato) alla posizione di “socialismo cooperativo”.

“Ora abbiamo il diritto di dire che per noi la mera crescita della cooperazione … è identica alla crescita del socialismo, e allo stesso tempo dobbiamo ammettere che c’è stato un cambiamento radicale in tutta la nostra visione del socialismo. La modifica radicale è questa; prima ponevamo, e dovevamo porre, l’enfasi principale sulla lotta politica, sulla rivoluzione, sulla conquista del potere politico, ecc. Ora l’enfasi sta cambiando e si sposta sul lavoro pacifico, organizzativo e “culturale”. Devo dire che l’enfasi si starebbe spostando sul lavoro educativo, se non fosse per le nostre relazioni internazionali, se non fosse per il fatto che dobbiamo lottare per la nostra posizione su scala mondiale” (LCW, Vol. 33, 474).

Un rifornimento diretto dei bisogni aveva il vantaggio di presentare bisogni interni e “potenziali output” che potevano essere calcolati in anticipo, senza impiegare un ufficio per svolgere tale lavoro. La più completa teoria moderna del socialismo è stata pubblicata da István Mészáros (2018), dal titolo Beyond Capital, che lega il suo lavoro sul capitale ai fondamenti teorici di Marx e Lenin e collega il suo concetto di socialismo non ai concetti di produzione di mercato, ma entrambi cercano e definiscono questi concetti al di là del mercato e dello stato – “oltre il capitale”, in breve. Dopo la morte di Stalin, “dogmatici” e “revisionisti” in ogni partito comunista fecero un compromesso per mantenere il potere. Successivamente, al momento del cambio di regime, gli ex “revisionisti”, ora liberali, rappresentarono e formarono la principale corrente ideologica della restaurazione capitalista di mercato.7

La teoria del socialismo di Lenin e la direzione principale della sua attività politica miravano al graduale distacco dal “sistema del capitale”. Nel socialismo di stato dell’Europa orientale, invece della rinascita del socialismo cooperativo e autogestito, è stato il potere del capitale a tornare con le sue caratteristiche semi-periferiche. L’opera di Lenin, che rappresenta ed elabora specifiche esperienze storiche, rimane attuale finché non realizzeremo il socialismo, poiché negli ultimi secoli non c’è stata nessuna altra alternativa rilevante al capitalismo. Rimane “solo” una domanda: come valutiamo i tentativi attuali, che tipo di socialismo sarebbe fattibile in sostituzione del capitalismo e come realizzarlo? C’è “solo” una domanda che rimane: come valutare i tentativi in corso, quale tipo di socialismo sarebbe in grado di sostituire il capitalismo e come realizzarlo? Se promuovere la seconda edizione o l’aggiornamento del del socialismo di Stato – o se prendere la direzione del socialismo autogestionario, della cultura dei consigli operai, delle forme di cooperative che portano all’autodifesa e all’auto-organizzazione del popolo lavoratore. Per è chiarissimo che Lenin avrebbe certamente insistito su quest’ultima variante.

NOTE

1 Ho utilizzato i seguenti lavori per scrivere questo articolo: Krausz 1996a; 2005; 2007; 2015. In questo breve articolo non posso riflettere sull’enorme ed eccellente letteratura su Lenin, posso solo fare riferimento ad alcuni di loro, ad esempio Lars Lih, Paul LeBlanc, H. Tickin, V. Loginov e Alternativi, il mensile di Mosca, e molte altre fonti marxiste da tutto il mondo. A causa di vincoli di lunghezza non discuto qui i dibattiti tra i leader sovietici e altre correnti.

2 Sull’importanza di questo piccolo libro, vedi Krausz 2017.

3 L’opera più importante di Marx che traccia i contorni del socialismo, è la Critica al programma di Gotha (Marx 1875/1972).

4 Vale la pena notare che la nozione di “coscienza” non implica solo il contenuto morale, ma anche la conoscenza stessa e la comprensione degli interessi a lungo termine.

5 C’è una critica sistematica dell’interpretazione statale-capitalista del socialismo anche in Ungheria. Vedi Krausz-Szigeti 2007.

6 «Le cooperative devono avere prestiti statali maggiori, anche se di poco, dei prestiti che concediamo alle imprese private». (L’ordine cooperativo come socialismo.) “Ma ci vorrà un’intera epoca storica per coinvolgere l’intera popolazione nel lavoro delle cooperative attraverso la NEP”. Sulla cooperazione, LCW, vol. 33, 469–70.

7 Vedi su questa mia recensione di Kornai: Krausz 1996b.

Pubblicazione originale: Krausz, Tamás 2021: Lenin’s Socialism – From the Perspective of the Future. Alcune considerazioni. In: A. Melegh (a cura di), In Need of Alternatives. Problems and Issues of Non-capitalist Mixed Economies, Budapest: Eszmélet Foundation, pp. 11–24.

Bibliografia

Krausz, Tamás 1996a: A szovjet thermidor [The soviet thermidor]. Budapest: Napvilág Kiadó.

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Krausz, Tamás 2005: ‘Stalin’s Socialism’ – today’s debates on socialism: theory, history, politics. Contemporary Politics 11/4 (2005), 235–238.

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