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Perchè Putin non ama Lenin? Ecco cosa diceva il rivoluzionario comunista sull’Ucraina

Ripropongo in versione ampliata l’articolo che avevo scritto per Kulturjam pubblicato il 22 settembre 2023.

Mentre infuria la guerra nel cuore dell’Europa vale la pena di tornare a leggere Lenin, per capire l’avversione manifestata più volte da Vladimir Putin verso il grande rivoluzionario comunista: “è a causa della politica bolscevica che è apparsa l’Ucraina sovietica. Sarebbe perfettamente giustificabile chiamarla l’Ucraina di Lenin. Il suo vero inventore, il suo architetto”.

Lenin fu uno di quei socialisti e socialdemocratici che nel 1914 si opposero alla guerra imperialista senza lasciarsi trascinare dall’isteria bellicista:

“Alla socialdemocrazia incombe innanzi tutto il dovere di svelare il vero significato della guerra e di smascherare senza pietà le menzogne, i sofismi e le frasi “patriottiche” propagate dalle classi dominanti, dai grandi proprietari fondiari e dalla borghesia in difesa della guerra”  (La guerra e la socialdemocrazia russa, 1914).

In Lenin la lotta contro l’imperialismo si accompagna sempre al rifiuto di quello che definiva sciovinismo nazionalista. Per questo Putin non lo ama. 

“Il nostro modello sarà sempre Marx, che, dopo aver vissuto per decenni in Inghilterra ed esser divenuto mezzo inglese, richiese libertà ed indipendenza nazionale per l’Irlanda, negli interessi del movimento socialista degli operai inglesi.” (Sull’orgoglio nazionale dei Grandi-Russi, 1914)

Lenin si schierò sempre per l’autodeterminazione dei popoli oppressi dall’impero zarista e quindi anche dell’Ucraina.

Nelle Tesi sulla questione nazionale del 1913 Lenin fisserà un orientamento che manterrà negli anni successivi:

“1. Il paragrafo del nostro programma (sull’autodecisione delle nazioni) non può essere interpretato che nel senso dell’autodecisione politica, cioè del diritto di separazione e di costituzione di uno Stato indipendente. 2. Per la socialdemocrazia russa questo punto del programma socialdemocratico è necessario, a) sia in nome dei principi fondamentali della democrazia in generale, b) sia per il fatto che si trovano entro i confini della Russia, e inoltre nelle sue zone di frontiera, parecchie nazioni con condizioni economiche e di vita decisamente diverse; oltre a ciò queste nazioni (come tutte le nazioni della Russia, tranne i grandi russi) sono indicibilmente oppresse dalla monarchia zarista; c) infine, per il fatto che in tutta l’Europa orientale (Austria e Balcani) e in Asia – cioè nei paesi confinanti con la Russia – o non è terminata o è appena iniziata la trasformazione democratica borghese degli Stati, la quale, dappertutto nel mondo, ha condotto, in maggior o minore misura, alla costituzione di Stati nazionali indipendenti oppure di Stati composti di nazioni più affini e vicine. d) la Russia è, nel momento attuale, un paese con il regime più arretrato e reazionario in confronto di tutti i paesi che la circondano, a cominciare – a occidente – dall’Austria, in cui dal 1867 si sono andate consolidando le basi della libertà politica e del regime costituzionale, e nella quale ora è stato anche istituito il suffragio universale, per finire – a oriente – con la Cina repubblicana. Per questo i socialdemocratici russi devono, in tutta la loro propaganda, insistere sul diritto di tutte le nazionalità di costituire uno Stato separato o di scegliere liberamente lo Stato del quale esse desiderano far parte. 3) Riconoscendo la socialdemocrazia il diritto di autodecisione di tutte le nazionalità, i socialdemocratici devono a) essere assolutamente contrari a ogni impiego della violenza, in qualsiasi sua forma, da parte della nazione dominante (o che costituisce la maggioranza della popolazione) nei confronti della nazione che desidera separarsi come Stato; b) esigere che il problema di questa separazione venga risolto esclusivamente mediante il suffragio universale diretto, eguale e a scrutinio segreto concesso alla popolazione di un determinato territorio; c) condurre una lotta costante sia contro i partiti centoneri e ottobristi che contro i partiti borghesi liberali (‘progressisti’, cadetti, ecc.) per ogni loro difesa o tolleranza dell’oppressione nazionale in generale o, in particolare, della negazione del diritto di autodecisione delle nazioni. 4) Se la socialdemocrazia riconosce il diritto di autodecisione per tutte le nazionalità, ciò non significa affatto che essa rinunci a una valutazione autonoma delle opportunità, in ogni singolo caso, della separazione statale di questa o quella nazione. Al contrario, i socialdemocratici devono dare precisamente un giudizio autonomo, tenendo conto sia delle condizioni di sviluppo del capitalismo e dell’oppressione dei proletari delle diverse nazioni da parte della borghesia, unita, di tutte le nazionalità, sia dei compiti generali della democrazia e, in primo luogo e soprattutto, degli interessi della lotta di classe del proletariato per il socialismo. (…) 10) Il brutale e bellicoso nazionalismo centonero della monarchia zarista, e anche la nuova ondata di nazionalismo borghese grande-russo (il signor Struve, Russkaia Molvà, i ‘progressisti’, ecc.), ucraino, polacco (antisemitismo della ‘democrazia’ nazionale), georgiano, armeno, ecc., esige con particolare insistenza dalle organizzazioni socialdemocratiche, in tutte le parti della Russia, che venga rivolta un’attenzione maggiore che nel passato alla questione nazionale e vengano elaborate risoluzioni marxiste conseguenti ispirate a un internazionalismo coerente e all’unità dei proletari di tutte le nazioni”

«Quello che l’Irlanda era per l’Inghilterra l’Ucraina è diventata per la Russia: sfruttata sino all’estremo e senza dare nulla in cambio. Pertanto gli interessi del proletariato mondiale in generale e del proletariato russo in particolare richiedono che l’Ucraina riconquisti la sua indipendenza.» (Lenin, 1914).

«I socialisti russi i quali non chiedono la libertà di separazione per la Finlandia, per la Polonia, per l’Ucraina ecc, […] agiscono come sciovinisti, come servi delle monarchie imperialiste e della borghesia imperialista, le quali si sono coperte di sangue e di fango.» (Lenin, gennaio 1916)

«Perché noi grandi-russi che opprimiamo più nazioni quante non ne opprima qualsiasi altro popolo dobbiamo rinunciare a riconoscere il diritto di separazione della Polonia, dell’Ucraina, della Finlandia?» (Lenin, luglio 1916)

«Se la Finlandia, la Polonia, l’Ucraina si separano dalla Russia non c’è niente di male. Che c’è di male? Chi dice che c’è del male è uno sciovinista. Bisogna essere usciti di senno per continuare la politica dello zar Nicola. […] Vogliamo l’unione fraterna di tutti i popoli. Se vi sarà la repubblica di Ucraina e la repubblica in Russia, il legame tra le due nazioni sarà più forte, la fiducia più profonda. […] Ogni socialista che non riconosca la libertà della Finlandia e dell’Ucraina cadrà nello sciovinismo, e non potrà giustificarsi con nessun sofisma.» (Lenin, luglio 1916)

Lenin definiva quello della Russia zarista “imperialismo militare-feudale” e a volte ho la sensazione che tanti antimperialisti abbiano saltato la prima pagina del celeberrimo opuscolo su L’Imperialismo fase suprema del capitalismo. Nella prefazione alla prima edizione Lenin chiarisce che aveva scritto l’opuscolo nell’aprile del 1916 “tenendo conto della censura zarista” per renderne più facile la circolazione. Un anno dopo ritornato nella Russia rivoluzionaria teneva a precisare: 

Qui bisogna soprattutto rilevare un passo alla fine del IX capitolo. Per dimostrare al lettore, in forma compatibile con la censura,, con quanta spudoratezza mentano, nella questione delle annessioni, i capitalisti e i socialsciovinisti passati nel loro campo (contro i quali combatte con tanta inconseguenza Kautsky), con quanta spudoratezza essi giustifichino le annessioni dei loro capitalisti, fui costretto a scegliere come esempio … il Giappone! Il lettore attento metterà, al posto del Giappone, la Russia, e al posto della Corea, la Finlandia, la Polonia, la Curlandia, l’Ucraina, Khiva, Bukhara, l’Estonia e gli altri territori di popolazione non grande-russa.

Dopo la rivoluzione di febbraio criticò il governo provvisorio di Kerensky che proseguiva la guerra anche per il mancato riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina:

«I socialisti rivoluzionari e i menscevichi hanno tollerato che il governo provvisorio dei cadetti, cioè dei borghesi controrivoluzionari, non facesse il suo elementare dovere democratico, non dichiarasse di essere per l’autonomia e per la piena libertà di separazione dell’Ucraina. […]

“È stato da parte del governo provvisorio un atto di inaudita impudenza, di sfrenata insolenza dei controrivoluzionari, una vera manifestazione della politica poliziesca russa; e i socialisti rivoluzionari e i menscevichi, ridendosi dei loro stessi programmi di partito hanno tollerato questo atteggiamento del governo e lo difendono sui loro giornali! A che grado di vergogna sono giunti i social rivoluzionari e i menscevichi!» (Lenin, giugno 1917)

Dopo la rivoluzione d’Ottobre non cambiò opinione.

In una lettera agli operai e contadini d’Ucraina Lenin scrive:

il potere sovietico in Ucraina ha i suoi compiti speciali. Uno di questi compiti speciali merita la massima attenzione in questo momento. È la questione nazionale, o, in altre parole, la questione se l’Ucraina debba essere una Repubblica Socialista Sovietica Ucraina separata e indipendente, vincolata in alleanza (federazione) con la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, o se l’Ucraina debba amalgamarsi con la Russia per formare un’unica repubblica sovietica. Tutti i bolscevichi e tutti gli operai e i contadini politicamente consapevoli devono riflettere attentamente su questa questione. L’indipendenza dell’Ucraina è stata riconosciuta sia dal Comitato Esecutivo Centrale Panrusso della RSFSR (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) che dal Partito Comunista Russo (bolscevichi). È quindi evidente e generalmente riconosciuto che solo gli stessi lavoratori e contadini ucraini possono e decideranno al loro Congresso dei Soviet di tutta l’Ucraina se l’Ucraina si fonderà  con la Russia, o se rimarrà  una repubblica autonoma e indipendente, e, in quest’ultimo caso, quale legame federativo deve essere stabilito tra questa repubblica e la Russia.(…)

In primo luogo, gli interessi del lavoro richiedono la massima fiducia e la più stretta alleanza tra i lavoratori di diversi paesi e nazioni. I sostenitori dei proprietari terrieri e dei capitalisti, della borghesia, si sforzano di dividere i lavoratori, di aumentare la discordia e l’inimicizia tra le nazioni per indebolire gli operai e rafforzare il potere del capitale.
Il capitale è una forza internazionale. Per vincerla è necessaria un’alleanza internazionale dei lavoratori, una confraternita internazionale dei lavoratori.
Noi siamo nemici dell’odio, della discordia tra le nazioni e del particolarismo nazionale. Siamo internazionalisti. Aspiriamo alla stretta alleanza e alla completa fusione degli operai e dei contadini di tutte le nazioni del mondo in un’unica repubblica sovietica mondiale.
In secondo luogo, i lavoratori non devono dimenticare che il capitalismo ha diviso le nazioni in un piccolo numero di nazioni oppressori, grandi potenze (imperialistiche) che hanno tutti i diritti e sono privilegiate e una stragrande maggioranza di nazioni oppresse, dipendenti e semi-dipendenti, non sovrane. La guerra del 1914-18, la più criminale e reazionaria tra le guerre, ha accentuato ulteriormente questa divisione e di conseguenza ha acuito il rancore e l’odio. Da secoli si accumula l’indignazione e la diffidenza delle nazioni non sovrane e dipendenti verso le nazioni dominanti e oppressive, delle nazioni come la nazione Ucraina verso le nazioni come la Grande-Russa.
Vogliamo un’unione volontaria delle nazioni – un’unione che precluda ogni coercizione di una nazione da parte di un’altra – un’unione fondata sulla piena fiducia, sul chiaro riconoscimento dell’unità fraterna, su un accordo assolutamente volontario. Una tale unione non può essere effettuata in un colpo solo; dobbiamo arrivarci con la massima pazienza e accortezza, per non rovinare le cose, non suscitare la diffidenza, per permettere che sparisca la diffidenza ereditata da secoli di oppressione fondiaria e capitalista, di secoli di proprietà privata e di odio suscitato dalle  spartizioni e ripartizioni di questa proprietà.
Dobbiamo, quindi, tendere con tenacia all’unità delle nazioni e combattere inesorabilmente tutto ciò che tende a dividerle, e così facendo dobbiamo essere molto prudenti, pazienti e fare concessioni alle sopravvivenze della diffidenza nazionale. Dobbiamo essere inflessibili e intransigenti nei confronti di tutto ciò che tocca gli interessi fondamentali del lavoro nella sua lotta per l’emancipazione dal giogo del capitale. La questione della demarcazione delle frontiere ora, per il momento – giacché noi ci adoperiamo per l’abolizione totale delle frontiere – è una questione secondaria, non è fondamentale né importante. In questa materia possiamo permetterci di aspettare, e dobbiamo aspettare, perché la diffidenza nazionale tra la vasta massa dei contadini e dei piccoli proprietari è spesso estremamente tenace, e la fretta potrebbe solo intensificarla, in altre parole, mettere a repentaglio la causa dell’unità completa e definitiva. 
L’esperienza della rivoluzione operaia e contadina in Russia, la rivoluzione dell’ottobre-novembre 1917, e dei due anni di lotta vittoriosa contro l’assalto dei capitalisti internazionali e russi, ha messo in chiaro che i capitalisti sono riusciti temporaneamente a giocare sulla diffidenza nazionale nei confronti dei Grandi Russi sentita da contadini e piccoli proprietari polacchi, lettoni, estoni e finlandesi, che sono riusciti per un certo tempo a seminare discordia tra loro e noi sulla base di questa diffidenza. L’esperienza ha dimostrato che questa diffidenza svanisce e scompare solo molto lentamente, e quanto più  i Grandi Russi, che sono stati per così tanto tempo una nazione di oppressori, si mostrano cauti e pazienti, tanto più è certo che questa diffidenza svanirà. È proprio riconoscendo l’indipendenza degli Stati polacco, lettone, lituano, estone e finlandese noi ci guadagniamo lentamente ma sicuramente la fiducia delle masse lavoratrici dei piccoli Stati vicini, le masse più arretrate, più ingannate e oppresse dai capitalisti. È il modo più sicuro per strapparle all’influenza dei “loro” capitalisti nazionali e condurle alla piena fiducia nella futura repubblica sovietica internazionale unita.
Finché l’Ucraina non sarà  completamente liberata da Denikin, il suo governo, fino a quando non si riunirà  il Congresso pan-ucraino dei Soviet, sarà  il Comitato rivoluzionario pan-ucraino. Oltre ai comunisti bolscevichi ucraini, ci sono i Borotba ucraini Comunisti che lavorano in questo Comitato Rivoluzionario come membri del governo. Una delle cose che distingue i borotbisti dai bolscevichi è che insistono sull’indipendenza incondizionata dell’Ucraina. I bolscevichi non ne faranno un argomento di dissenso e disunione, non lo considerano un ostacolo allo sforzo proletario concorde. Ci deve essere unità nella lotta contro il giogo del capitale e per la dittatura del proletariato, e non ci deve essere divisioni tra i comunisti sulla questione delle frontiere nazionali, dei legami federativi o di altro tipo tra gli Stati. Tra i bolscevichi ci sono fautori della completa indipendenza dell’Ucraina, fautori di un legame federale più o meno stretto e fautori della completa fusione dell’Ucraina con la Russia.
È inammissibile dividersi su queste questioni. Esse saranno risolte dal Congresso dei Soviet di tutta l’Ucraina.
Se un comunista grande-russo insiste sulla fusione dell’Ucraina con la Russia, gli ucraini potrebbero facilmente sospettare che sostenga questa politica non perchè aspiri all’unità dei proletari nella lotta contro il capitale, ma perchè è guidato dai pregiudizi del vecchio nazionalismo, dell’imperialismo grande-russo.Questa diffidenza è naturale, e fino a un certo punto inevitabile e legittima, perché i Grandi Russi, sotto il giogo dei proprietari terrieri e dei capitalisti, sono stati per secoli nutriti dei pregiudizi vergognosi e disgustosi dello sciovinismo grande-russo.
Se un comunista ucraino insiste sull’indipendenza statale incondizionata dell’Ucraina, si espone al sospetto di sostenere questa politica non per gli interessi temporanei degli operai e dei contadini ucraini nella loro lotta contro il giogo del capitale, ma perchè è guidato dai pregiudizi nazionali piccolo-borghesi del piccolo proprietario.

(..) Chi mina l’unità e la più stretta alleanza tra gli operai e i contadini della Grande Russia e dell’Ucraina aiuta i Kolchak, i Denikin, i predoni capitalisti di tutti i paesi.

Noi, comunisti grandi-russi, dobbiamo quindi combattere con la massima severità ogni minima manifestazione in mezzo a noi nel nazionalismo grande-russo; queste manifestazioni, che sono un tradimento del comunismo in generale, causano un gravissimo danno poiché ci dividono dai nostri compagni ucraini, e fanno così il gioco di Denikin e dei suoi seguaci.
Noi, comunisti grandi-russi, dobbiamo quindi mostrarci concilianti quando ci sono divergenze con i comunisti bolscevichi e borotbisti ucraini e queste differenze riguardano l’indipendenza statale dell’Ucraina, le forme della sua alleanza con la Russia e la questione nazionale in generale.”

(Pravda, 4 gennaio 1920)

Va ricordato che Putin ha riportato in Russia i resti di Anton Denikin, morto in esilio negli Stati Uniti, e ha fatto in varie occasioni visita alla tomba rilasciando dichiarazioni elogiative degli “eroi in tempi tragici” e “veri sostenitori di uno stato russo forte”. Non ha mancato di consigliarne la lettura: “Dovreste certamente leggere il diario di Anton Denikin, in particolare la parte sulla ‘Grande e piccola Russia, Ucraina’. Dice che a nessuno deve essere permesso di interferire tra noi. Questo è solo un diritto della Russia”.
Negli ultimi anni, dopo la guerra civile, Lenin contrastò Stalin e altri dirigenti per le loro tendenze scioviniste verso le altre nazionalità:

“Una cosa è la necessità di essere compatti contro gli imperialisti dell’Occidente, che difendono il mondo capitalistico; qui non vi possono essere dubbi, e non ho bisogno di dire che approvo incondizionatamente queste misure; altra cosa è quando noi stessi cadiamo, anche soltanto nelle piccolezze, in atteggiamenti imperialistici verso le nazionalità oppresse, minando così completamente tutta la sincerità dei nostri principi, tutta la nostra difesa di principio della lotta contro l’imperialismo.” (Lenin, 1922) 

Stalin definì quello di Lenin “liberalismo nazionale”. Lo scontro tra Stalin e Lenin sull’annosa questione del «sciovinismo grande russo» scoppiò nell’ottobre 1922 in seguito al cosiddetto «incidente georgiano». Dopo che il rappresentante di Stalin, Sergo Ordzhonikidze, colpì uno dei dirigenti del Partito comunista georgiano, l’ormai molto malato Lenin trovò la forza per dichiarare “guerra allo sciovinismo grande-russo”. In un biglietto all’Ufficio Politico del partito “sulla lotta contro lo sciovinismo di grande potenza”, che inviò a Kamenev, scrisse in maniera inequivocabile:

“Dichiaro guerra mortale allo sciovinismo grande-russo. Non appena mi sarò liberato di questo maledetto dente, lo assalirò con tutti i miei denti sani. Bisogna assolutamente affinché il Comitato Esecutivo Centrale sia presieduto a turno da un russo, un ucraino, un georgiano ecc. Assolutamente!” 

Questo è il testo pubblicato sulle Opere Complete di Lenin. La versione che riportò Moshe Lewin nel suo libro “L’ultima battaglia di Lenin” è ancor più dura: “Dichiaro guerra (e non una guerricciola, ma una lotta per la vita o la morte)”.

Nel dicembre 1922, alla vigilia della dichiarazione dell’URSS, Lenin dettò una dichiarazione programmatica in cui si scusava per non aver affrontato il “famigerato problema dell’autonomia” e chiedeva la difesa delle minoranze etniche dal “bullo russo (russkaia derzhimorda)“ e denunciava il “ruolo fatale” di Stalin nell’alimentare la “ideologia imperiale grande-russa (velikoderzhavnichestvo)”: 

“A quanto pare io sono fortemente colpevole verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia e decisione della famosa questione dell’autonomizzazione, ufficialmente detta, mi pare, questione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.”

La prepotente ideologia imperiale grande-russa di Stalin fu al centro dell’invito di Lenin a rimuovere Stalin dalla carica di segretario generale del partito contenuto nel suo “testamento” politico, che il morente Lenin dettò alla fine di dicembre 1922 – inizio gennaio 1923, ma ormai era troppo tardi. 

 

 

 

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