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Bertrand Russell e il socialismo che non c’è stato

Questo articolo di Jean Bricmont e Normand Baillargeon è tratto dalla prefazione all’edizione francese di The Practice and Theory of Bolshevism di Bertrand Russell, pubblicata dalle Éditions du Croquant nel 2014. Tradotto dal francese da Diana Johnstone per il numero della rivista Montly Review del 2017  dedicato alla Rivoluzione d’Ottobre. Su questo blog segnalo anche: Bertrand Russell e Antonio Gramsci. Democrazia e rivoluzione (1920) e le mie note al suo Decalogo liberale (1951) che sono molto in sintonia con gli autori di questo articolo. Negli ultimi decenni l’intellettuale che più ha proseguito sulla strada di Bertrand Russell è stato sicuramente Noam Chomsky.

Nel 1918, pochi giorni prima di essere incarcerato per pacifismo, Bertrand Russell completò Proposed Roads to Freedom: Socialism, Anarchism and Syndicalism, una guida breve, semplice e profonda alle teorie dell’anarchismo, del socialismo marxista, dell’anarco-socialismo e del socialismo corporativo, la forma associativa di socialismo esistente in Gran Bretagna a quei tempi.

Tutte queste teorie richiedevano l’appropriazione collettiva dei mezzi di produzione all’interno di un quadro democratico, che equivale a ciò che potrebbe essere chiamato socialismo del diciannovesimo secolo (più ampio di quello di Marx), derivante a sua volta dalle idee dell’Illuminismo. I pensatori del diciottesimo secolo cercarono di emancipare l’umanità dai vincoli della loro epoca: assolutismo regale, feudalesimo e oscurantismo religioso. E le soluzioni che escogitarono, libertà di espressione, separazione dei poteri e democrazia rappresentativa, furono risposte adeguate a quei problemi. È facile capire perché fossero spesso anche a favore del libero mercato, perché rifiutavano giustamente i pedaggi feudali, che impedivano la circolazione delle merci.

Ma con lo sviluppo dell’industria, il “libero mercato” ha prodotto una concentrazione della ricchezza in poche mani. Allo stesso tempo, la produzione è diventata di fatto “socializzata” nel senso di coinvolgere molti individui invece di produttori indipendenti, richiedendo infrastrutture che consentano il trasporto di materie prime e merci e richiedendo lavoratori istruiti in condizioni di salute ragionevolmente buone. Questi fattori sociali esterni sono necessari per la produzione industriale.

L’idea di base del socialismo è che una volta che il processo di produzione è di fatto socializzato, anche il suo controllo dovrebbe essere socializzato, almeno se si vogliono realizzare le aspirazioni di emancipazione espresse dal liberalismo del XVIII secolo. Se i mezzi di produzione e, come è accaduto nel XX secolo, i mezzi di informazione sono concentrati in poche mani, coloro che li possiedono esercitano un enorme potere sul resto della popolazione. Possono influenzare le elezioni, sia direttamente finanziando i candidati, sia indirettamente minacciando i governi che resistono alle loro richieste con rappresaglie economiche (fuga di capitali, delocalizzazioni di stabilimenti). Oggigiorno, i paesi più deboli affrontano la minaccia di sanzioni (principalmente statunitensi) e di interventi militari. I disaccordi tra le dottrine discusse nel libro di Russell riguardano cosa dovrebbe essere fatto “dopo la rivoluzione”: quale dovrebbe essere il ruolo dello Stato, quanta costrizione economica e sociale dovrebbe gravare sugli individui e quale forma di democrazia è auspicabile: diretta, rappresentativa o tramite consigli che rappresentano produttori e consumatori.

L’atteggiamento di Russell rimane moderato in questi dibattiti. Sebbene apprezzi gli argomenti dell’anarchismo puro, rappresentato da Peter Kropotkin, considera quelle idee troppo estreme per essere messe in pratica: beni gratuiti, totale libertà di lavorare o non lavorare, assenza di qualsiasi vincolo governativo. Gli argomenti di Kropotkin sono sempre ingegnosi, ma la natura radicale delle sue conclusioni lascia Russell nel dubbio. Se Russell difende le idee anarchiche, è forse più per la sua sfiducia nel socialismo di stato, di tipo marxista, che per il loro fascino intrinseco. Vede l’anarchismo come “l’ideale ultimo a cui la società dovrebbe approssimarsi” piuttosto che un programma alternativo in grado di sostituire domani l’ordine sociale esistente.

Ma nutriva una solida sfiducia nel potere statale, ben prima della sua visita del 1920 nella Russia sovietica. Per Russell, la critica del capitalismo non è solo una critica alla “sete di profitto” o una semplice rivolta contro la povertà, né si basa sull’inevitabilità delle crisi cicliche. È soprattutto un’opposizione alla concentrazione del potere generata dalla proprietà privata dei principali mezzi di produzione e al degrado della vita umana legato all’insicurezza e alla spietata concorrenza. Oggi, almeno in Occidente, le misere baraccopoli e il lavoro minorile del diciannovesimo secolo sono scomparsi, ma la vita di migliaia di lavoratori può ancora essere rovinata dai loro datori di lavoro se questi ultimi decidono di trasferire le loro fabbriche dall’altra parte del pianeta. Così vediamo che il problema del potere esercitato dai proprietari dei mezzi di produzione non si risolve semplicemente elevando il tenore di vita.

Tuttavia, non c’è motivo di pensare che la situazione sarebbe molto migliore se il potere fosse concentrato nelle mani di una casta di burocrati, grazie al “socialismo”, se ciò che ciò significa è l’assoluta presa di controllo della produzione e della vita intellettuale da parte dello Stato. In linea con il fatto che la sua critica è rivolta più al potere che alla proprietà privata in quanto tale, Russell non mostra nulla del riduzionismo economico spesso riscontrato tra i marxisti, che vedono costantemente i fenomeni ideologici come l’espressione delle relazioni economiche. Per Russell, c’è una “vita di istinto” che si manifesta, ad esempio, nel nazionalismo, ed è indipendente dal perseguimento di interessi materiali. Come afferma nella sua critica del marxismo: “Desiderare il proprio progresso economico è relativamente ragionevole; per Marx, che ereditò la psicologia razionalista del diciottesimo secolo dagli economisti ortodossi britannici, l’auto-arricchimento sembrava l’obiettivo naturale delle azioni politiche di un uomo. Ma la psicologia moderna si è immersa molto più in profondità nell’oceano della follia su cui galleggia insicura la piccola barca della ragione umana.” 1

Ciò che colpisce tuttavia è la misura in cui le teorie discusse in questo libro sono vicine tra loro, almeno rispetto a tutto il resto: comunismo, fascismo, imperialismo, neoliberismo, ovvero quasi tutto ciò che è realmente accaduto dopo il 1918. Inoltre, l’ottimismo di Russell è sorprendente, proprio nel mezzo di una guerra la cui fine non poteva essere prevista da nessuno nei primi mesi del 1918 (la Rivoluzione russa aveva infatti rafforzato la Germania). Il suo ottimismo si basava sull’idea che, avendo la guerra dimostrato il fallimento del sistema esistente, un nuovo mondo sarebbe stato costruito sulle sue rovine. Questa prospettiva contrasta nettamente con la situazione odierna, quando tutte le idee di sinistra discusse qui in Francia sono considerate in generale, nella migliore delle ipotesi, innocui sogni ad occhi aperti o, nella peggiore, pericolose utopie.

Infine, la rivoluzione non ebbe luogo, almeno non quella a cui pensavano i socialisti prima del 1914, e dalla guerra non emerse alcun mondo nuovo. Invece, la prima guerra mondiale diede vita al comunismo e al fascismo. Il fascino per il primo avrebbe confuso la parte radicale della sinistra tanto quanto la lotta contro il secondo ne avrebbe assorbito tutta l’energia.

Russell, tuttavia, rimase lucido. Già nel 1920, viaggiò nella Russia sovietica per vedere di persona, e tornò senza illusioni per scrivere The Practice and Theory of Bolshevism . Cinquant’anni prima che le “rivelazioni” di Solženicyn causassero shock e sgomento nell’intellighenzia francese degli anni ’70, ma anche ben prima che Stalin prendesse il potere, prima dei processi di Mosca e delle disillusioni degli anni ’30, prima degli scritti di Victor Serge e Boris Souvarin, Russell vide ciò che nessuno nega oggi: che il regime messo in atto da VI Lenin e Leon Trotsky nel 1917 era una dittatura, e una feroce per giunta. Soprattutto, fu guidato dall’osservazione, da una mente critica e dal buon senso. Russell non aveva una grande teoria sulle classi sociali al potere in Russia, sulla natura dello stato sovietico o sulla presunta “degenerazione” della rivoluzione, come invece proliferarono tra tanti critici marxisti dell’URSS, in particolare tra i trotskisti.

Russell osservò i meccanismi della dittatura rapidamente instauratasi dopo la Rivoluzione d’Ottobre: ??totale soppressione della libertà di espressione o di riunione per l’opposizione, persino per l’opposizione di sinistra, e creazione di una polizia segreta che potesse agire al di fuori della legge. Come notò, nell’espressione “dittatura del proletariato”, che a prima vista potrebbe indicare una forma originale di governo rappresentativo (attraverso il sistema dei Consigli), la parola “dittatura” è presa alla lettera ma non la parola “proletariato”; quest’ultima designava gli elementi “coscienti” del proletariato, cioè, in pratica, i comunisti, indipendentemente dalla loro origine di classe.

È giusto sottolineare quanto fosse difficile psicologicamente, subito dopo la prima guerra mondiale, a cui Russell si opponeva con tanta veemenza, essere lucidi sulla Russia sovietica, la cui rivoluzione aveva permesso a quel paese di uscire dalla guerra. Dopo tutto, anche gli anarchici spagnoli si unirono all’Internazionale comunista nel 1919, “senza esitazione, come una donna si dona all’uomo che ama”, per riecheggiare la loro espressione di allora (se ne andarono nel 1922). 2 Se così tante persone si unirono ai partiti della Terza Internazionale, fu proprio perché la prima guerra mondiale li aveva convinti del fallimento totale del sistema che vi aveva condotto, ed erano pronti ad aderire a qualsiasi alternativa radicale fosse disponibile, abbandonando ogni senso critico. Contrariamente alla maggior parte della sinistra intellettuale, Russell cercò sempre di non prendere per realtà i suoi desideri.

Russell fu anche veloce a individuare quello che sarebbe stato un tratto caratteristico del movimento comunista, vale a dire il suo aspetto “religioso”, spesso fanatico. Inoltre è divertente leggere oggi i suoi paragoni tra comunismo e Islam (al momento delle sue conquiste), alla luce del fatto che quest’ultimo ha sostituito il comunismo nella demonologia occidentale. Vedeva in Lenin un aristocratico intellettuale, ma con una fede estremamente dogmatica nelle dottrine che riteneva fossero quelle di Marx. Fu la certezza dogmatica con cui i comunisti difendevano le loro dottrine a scandalizzare Russell (e con lui tutti i liberi pensatori) ancora di più delle dottrine stesse.

Non si può sopravvalutare la differenza tra Marx e Lenin. Quando quest’ultimo voleva “dimostrare” un punto, tendeva a citare Marx. Marx non citava nessuno. Marx era un figlio dell’Illuminismo, autoritario per certi versi e, contrariamente agli anarchici, non credeva nella necessità di abolire lo Stato subito dopo la rivoluzione. Ma da nessuna parte in Marx si trova l’idea che il socialismo possa essere identificato con un controllo statale più o meno completo dell’economia, e tanto meno che la forma da assumere da parte dello Stato socialista debba essere una sorta di monarchia assoluta che impone una dottrina ufficiale nello stesso modo in cui le religioni di Stato venivano imposte in passato.

E tuttavia, nonostante l’evidente repulsione che il bolscevismo gli ispirò, Russell offre una visione abbastanza sfumata della rivoluzione, almeno rispetto ai suoi critici di destra o della “sinistra democratica”. In primo luogo, egli riconobbe che, considerato come uno “splendido tentativo”, il bolscevismo “merita la gratitudine e l’ammirazione di tutta la parte progressista dell’umanità”.

Poi, quando incontrò lo scrittore russo Maxim Gorky, Russell disse che se fosse stato russo, lui come Gorki avrebbe sostenuto il governo perché le alternative erano ancora peggiori. Russell pensava che nel tentativo di modernizzare un paese arretrato, i bolscevichi stessero eseguendo “un compito necessario ma sgradevole”. Forse avrebbe potuto infine concordare con l’affermazione, spesso attribuita a Winston Churchill, secondo cui Stalin trovò una Russia equipaggiata con un aratro di legno e la lasciò in possesso di armi atomiche. La sua obiezione principale riguarda quella che lui chiamava la “camuffatura” usata dai bolscevichi per affermare che la loro dittatura modernizzante era l’alleata del socialismo così come era concepito all’epoca in Occidente.

La critica di Russell alla pratica del bolscevismo non è quindi rivolta principalmente alla sua azione in Russia stessa, ma piuttosto alle tattiche dell’Internazionale comunista, specialmente in Occidente, e all’idea che la presa del potere da parte di un’élite composta da “rivoluzionari professionisti”, come disse Lenin, più o meno sul modello di quanto accadde in Russia nel 1917, fosse la via per il socialismo. Su questo aveva completamente ragione, e l’idea di prendere il potere in questo modo nei paesi sviluppati è sempre stata un mito. Mentre mobilitava alcuni e respingeva altri, non è mai stato altro che un mito.

Dove Russell si è anche allontanato dai critici della Rivoluzione bolscevica di destra o della “sinistra democratica” è stata la sua visione dell’intesa franco-britannica e delle politiche verso la Russia seguite dai paesi imperialisti dopo il 1917: un blocco estremamente mortale e interventi militari diretti. Egli sottolineò, e anche in questo caso la storia gli ha dato pienamente ragione, che quelle politiche non indebolirono affatto il bolscevismo, ma lo spinsero a essere ancora più dittatoriale, infliggendo terribili sofferenze alla popolazione russa. Come disse Russell, il fatto che un uomo privato di cibo e bevande si indebolisca, impazzisca e infine muoia “non è di solito considerato un buon motivo per infliggere la morte per fame. Ma quando si tratta di nazioni, la debolezza e le lotte sono considerate moralmente colpevoli e giustificano ulteriori punizioni”. Così le grandi potenze hanno usato le debolezze interne della Russia sovietica, e successivamente della Cina, del Vietnam, dell’Iraq, di Cuba o dell’Iran di oggi, per giustificare ulteriori sanzioni.

Su questo punto, Russell previde quella che sarebbe stata la fonte di una delle maggiori tragedie del ventesimo secolo: l’uso, prima da parte delle potenze europee e poi degli Stati Uniti, della sovversione sistematica, dell’assassinio diretto o indiretto o dei colpi di stato per “uccidere la speranza” suscitata dai movimenti riformisti e dai leader del terzo mondo: in particolare Mohammad Mossadegh in Iran, Jacobo Arbenz in Guatemala, Patrice Lumumba in Congo, João Goulart in Brasile, Sukarno in Indonesia e Salvador Allende in Cile. Inoltre, poiché le dittature sono solitamente più difficili da rovesciare o sovvertire delle democrazie, le prime sono favorite da una sorta di selezione innaturale. Cuba, ad esempio, è riuscita a sopravvivere con maggior successo agli assalti degli Stati Uniti rispetto ai riformatori democratici come Arbenz, Goulart o Allende. L’Iran oggi è molto più difficile da sovvertire di quanto non lo fosse ai tempi di Mossadegh.

Oltre a questa selezione innaturale, c’è un “effetto barricata” che è stato prodotto dall’intervento straniero nella guerra civile russa. Quando i paesi si trovano ad affrontare un’aggressione, la loro tendenza è quella di chiudersi in se stessi per autoproteggersi. Come esempio, è sufficiente guardare alle drastiche misure di sicurezza adottate dal governo degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001, per non parlare delle successive invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Perché attacchi molto più sostenuti non avrebbero provocato reazioni simili in altri paesi? È impossibile comprendere la politica dell’URSS nel corso della sua storia, o della Cina dopo il 1949, o dell’Iran oggi, senza tenere conto di quell’effetto. Allo stesso modo, è stato l’aver assistito in prima persona al rovesciamento di Arbenz a radicalizzare Che Guevara. 3 Nel 1919, un giovane vietnamita si presentò alla conferenza di Versailles con una proposta per raggiungere l’autodeterminazione del suo popolo. Sbattuto fuori senza tante cerimonie, andò a Mosca per completare la sua educazione politica e continuò a fare la storia sotto il nome di Ho Chi Minh.

La sinistra occidentale “democratica” ha mostrato scarso interesse nell’opporsi a tutte queste forme di imperialismo, con l’eccezione di alcuni conflitti particolarmente drammatici, come le guerre in Algeria e in Vietnam. Ma non perde occasione per denunciare la dittatura nel terzo mondo oggi come nell’Unione Sovietica in passato, mentre trascura completamente la schiacciante responsabilità delle azioni occidentali nell’emergere e nella radicalizzazione di quelle dittature. Quindi, anche quando queste critiche sono teoricamente giustificate, sono tinte di ipocrisia.

L’aspetto del libro di Russell che rimane il più attuale è tuttavia la sua critica della “teoria” del bolscevismo, o “teoria materialista della storia”. Ancora una volta, ciò ha ben poco a che fare con Marx, anche se è vero che Marx aveva un gusto per le formule apodittiche che davano l’impressione di una padronanza delle leggi dello sviluppo storico. Ciò si manifesta soprattutto nel Manifesto del Partito Comunista (scritto quando aveva ventinove anni). E nel Capitale cercò di fornire un’analisi scientifica di come funziona l’economia, ma non era comunque nemmeno lontanamente vicino al dogmatismo di Lenin e dei suoi successori. 4

La “teoria materialista della storia” presuppone che, in ultima analisi, le azioni umane siano motivate dal desiderio di possedere quanti più beni materiali possibili, e che i fenomeni ideologici debbano essere spiegati su questa base. In particolare, per quanto riguarda guerre come quella da cui il mondo stava appena emergendo nel 1920, e che Lenin attribuì alla rivalità imperialista, l’idea dominante, non solo tra i marxisti ma nella sinistra in generale, era che la classe operaia fosse stata ingannata dai capitalisti che volevano la guerra per aumentare i propri profitti. Questo tipo di spiegazione è ancora estremamente popolare, anche tra molti che non hanno nulla a che fare con il marxismo; la maggior parte degli attuali conflitti in Medio Oriente vengono spiegati in termini di petrolio, mentre gli aspetti ideologici o religiosi correlati a questi conflitti vengono liquidati come il risultato della “manipolazione” della classe dirigente sui lavoratori.

Come ha sottolineato Russell, l’idea che gli uomini agiscano secondo calcoli razionali su come aumentare la loro quota di merci sottostima “l’oceano di follia su cui galleggia insicura la piccola barca della ragione umana”. Trascura le passioni umane, la più politicamente significativa delle quali sono le varie forme di religione e nazionalismo. Citando numerosi esempi, Russell ha sostenuto che anche se i fattori economici svolgono un ruolo importante, i marxisti ignorano i fattori “irrazionali” a loro rischio e pericolo, e che l’idea che i lavoratori salariati siano stati trascinati in guerra perché “ingannati da astuti capitalisti” è in gran parte un mito, perché i capitalisti erano “nella morsa dell’istinto nazionalista tanto quanto i loro ‘creduloni’ proletari”.

Russell osservò la tendenza umana a razionalizzare una condotta che in realtà è motivata da impulsi e sentimenti. In guerra, ci sono due modi per farlo: l’“idealista” affermerà di combattere per la democrazia, e il “materialista” affermerà di difendere i propri interessi economici. I marxisti, osservò Russell, vedono attraverso il “camuffamento” idealistico, ma non attraverso l’altro.

Naturalmente, Russell non ha mai negato che ogni guerra sia accompagnata da un’enorme propaganda a suo favore, ma nota che ci sono alcune cose che anche la propaganda più intensa non riesce a realizzare: ad esempio, trasformare i cattolici irlandesi in inglesi e, più in generale, riuscire a modificare gli attaccamenti sentimentali che legano un gruppo umano alla sua identità, religione o nazione. Questi attaccamenti sono dovuti alla psicologia umana e sono inspiegabili in termini di ricerca del profitto o manipolazione da parte della classe dirigente.

In effetti, questi fattori irrazionali ma profondamente umani, molto più dell’azione delle classi dominanti stesse, sono probabilmente ciò che storicamente ha costituito il più grande ostacolo al raggiungimento del socialismo. Gran parte della riflessione di Russell, in comune con la maggior parte dei pacifisti, è stata il tentativo di trovare modi, come un’istruzione appropriata e una critica sistematica dell’irrazionalità, per controllare le passioni umane autodistruttive. A volte è comico osservare come i “marxisti” liquidino tali sforzi come una perdita di tempo, poiché a loro avviso i fenomeni ideologici si risolveranno da soli una volta che “la rivoluzione” avrà trasferito i mezzi di produzione allo Stato.

La confusione intellettuale più dannosa del ventesimo secolo è stata senza dubbio quella di identificare il socialismo con l’avventura sovietica. L’Unione Sovietica è stata il risultato di una storia tragica e violenta: guerra civile e interventi stranieri, la necessità di modernizzare e difendere la nazione dall’invasione nazista e sacrifici inimmaginabili compiuti per vincere la seconda guerra mondiale. Niente di tutto ciò era previsto o prevedibile prima del 1914, e sicuramente nemmeno i socialisti “statalisti” di quel periodo speravano nel tipo di dittatura assoluta che emerse da quelle difficoltà. Tale identificazione è stata tuttavia fatta, sia dai nemici del socialismo, che cercavano in tal modo di screditarlo, sia dai comunisti che cercavano con la stessa identificazione di abbellire l’immagine dell’Unione Sovietica.

Si sarebbe potuto sperare che con il crollo dell’Unione Sovietica quella confusione si sarebbe chiarita, ma è esattamente l’opposto che è accaduto. Anche coloro che sostenevano che l’URSS non fosse un “socialismo autentico” (espressione che presuppone che un altro socialismo sia possibile) per la maggior parte hanno dichiarato dopo il 1991 che il socialismo stesso era un fallimento. I partiti socialdemocratici europei hanno adottato politiche di privatizzazione che erano l’esatto opposto di ciò che avevano sostenuto all’epoca in cui l’URSS esisteva ancora.

E questo solleva la questione su chi alla fine avesse ragione, Russell o Lenin e i bolscevichi. La caduta dell’Unione Sovietica e gli orrori che accompagnarono la sua storia sembrano rispondere inequivocabilmente a favore di Russell. Ma le cose non sono così semplici, perché la caduta dell’Unione Sovietica non segnò affatto un trionfo delle idee di Russell. Non c’è dubbio che Russell fu uno dei primi socialisti a continuare a ricordare a coloro “che erano abbagliati dal successo esterno dell’Unione Sovietica, che avevano dimenticato le dolorose lezioni della monarchia assoluta”, ovvero gli effetti corruttori del potere assoluto. 5 Si rifiutò anche di impegnarsi in una critica unilaterale che ignorasse la storia e gli ostacoli interni ed esteri che gravavano sulla Rivoluzione russa, il che avrebbe semplicemente fatto il gioco degli imperialisti e dei reazionari. Adottando un atteggiamento sottile e sfumato, non piacque a nessuno, né ai comunisti né agli anticomunisti.

Oggi, accanto a tutti gli aspetti negativi, che sono sufficientemente noti a tutti, non si dovrebbero ignorare i risultati positivi del movimento comunista: la vittoria sul fascismo, ovviamente, ma anche il suo significativo contributo alla grande emancipazione del ventesimo secolo, vale a dire il movimento di liberazione coloniale. È in realtà più realistico vedere il movimento comunista al di fuori dell’Europa occidentale come parte della rivolta globale contro l’imperialismo (Russell sottolinea anche questo aspetto essenziale nei discorsi di Lenin) che come un contributo al socialismo.

Nell’Europa occidentale, nonostante la sua retorica rivoluzionaria, il movimento comunista è in pratica più o meno equivalso a una branca della socialdemocrazia, che dopo la seconda guerra mondiale ha fatto grandi passi avanti in termini di servizi pubblici, sicurezza sociale ed educazione democratica. Nel suo paese, la Gran Bretagna, il momento in cui le idee vicine a quelle di Russell furono messe in pratica di più fu senza dubbio dopo la vittoria del Partito laburista nel 1945. 6 Ma, anche lì, è discutibile se quelle trasformazioni sarebbero state possibili senza la vittoria dell’Unione Sovietica nella guerra, senza l’ispirazione che fornì (giustamente o meno) ai lavoratori e la paura che suscitò nelle classi dominanti. Una risposta a questa domanda è forse fornita dal fatto che dopo il 1991, lungi dal vedere l’ascesa di una sinistra radicale “non stalinista”, tale sinistra è completamente scomparsa, poiché la socialdemocrazia è diventata neoliberista e l’intellighenzia di sinistra si è rivolta alle gioie del postmodernismo e della politica identitaria, mentre i movimenti verdi europei hanno abbandonato il loro pacifismo per sostenere le “guerre umanitarie”.

Per tornare al paragone tra Lenin e Russell, ci si può chiedere quale status, quale efficacia possa avere un libero intellettuale, indipendente da qualsiasi partito, nell’arena dei conflitti politici. Il comunismo era un movimento di massa che riuniva decine di milioni di persone, mentre Russell era un intellettuale, senza dubbio influente quanto un intellettuale può esserlo, ma senza alcun movimento di massa alle spalle. Ancora oggi, nel mondo intero ci sono sicuramente più membri del movimento comunista internazionale di persone che hanno anche solo sentito parlare di Russell. Tra l’altro, senza Lenin, il nome di Marx stesso avrebbe potuto benissimo finire nella stessa categoria, poiché la maggior parte del movimento socialista si stava allontanando dalle sue idee nei primi anni del ventesimo secolo (lasciando da parte la questione su quanto Lenin abbia realmente propagato le idee di Marx, piuttosto che una versione notevolmente distorta).

I conflitti politici tendono a essere dominati proprio da quelle passioni irrazionali la cui stessa esistenza è negata o minimizzata dal marxismo. Troppo spesso la violenza degli oppressori, fascisti, imperialisti o colonialisti può essere combattuta efficacemente solo dalla violenza degli oppressi, e la voce della ragione viene soffocata nel tumulto della battaglia. A cosa può servire?

Fu forse in risposta a questa obiezione che Russell sostenne che i quattro uomini più potenti della storia furono Buddha, Gesù Cristo, Pitagora e Galileo, nessuno dei quali godette di un sostegno ufficiale durante la sua vita né ebbe alcun potere se non quello della persuasione. 7 L’idea di fondo era che la forza delle armi vince nel breve periodo, ma nel lungo termine vincono le idee. Durante la loro vita, Lenin, Stalin e Mao godettero di un’enorme popolarità, che si erose bruscamente una volta che se ne furono andati. Le idee emancipative contenute nel meglio del liberalismo classico, nella difesa del razionalismo, del pacifismo e di un’educazione veramente libertaria, continuano a diffondersi. Le idee liberali di Russell hanno avuto un notevole successo. Il suo libro su Matrimonio e morale poteva essere scioccante nel 1929, ma sembra piuttosto banale oggi, così come la sua critica della religione e il suo antimilitarismo. Ma la prospettiva della socializzazione dei mezzi di produzione all’interno di un quadro democratico, che era anche una delle sue aspirazioni fondamentali, sembra più remota che mai.

Russell era sia un liberale che un socialista, una combinazione perfettamente comprensibile ai suoi tempi, ma che oggi è diventata quasi impensabile. Era un liberale in quanto si opponeva alle concentrazioni di potere in tutte le sue manifestazioni, militari, governative o religiose, così come alle idee superstiziose o nazionaliste che solitamente servono come giustificazione. Ma era anche un socialista, anche come estensione del suo liberalismo, perché era ugualmente contrario alle concentrazioni di potere derivanti dalla proprietà privata dei principali mezzi di produzione, che quindi dovevano essere posti sotto controllo sociale (il che non significa controllo statale).

Ma c’era una lacuna importante nella visione socialista del mondo prima del 1914, riguardante quelli che allora venivano chiamati i “barbari”, cioè il mondo al di fuori dell’Occidente. Se Russell può essere criticato per la sua terminologia, che era quella della sua epoca, era molto più avanti di altri nell’adottare un atteggiamento anti-imperialista e commentava ironicamente lo sfruttamento coloniale che un governo socialista avrebbe perpetuato.

Perché la principale trasformazione sociale del ventesimo secolo non è stata nella direzione del socialismo, ma piuttosto della decolonizzazione (il movimento comunista in Asia dovrebbe essere visto principalmente come anticoloniale e antifeudale, la sua adesione al “comunismo” essendo essenzialmente un mezzo per ottenere sostegno internazionale). Tale trasformazione ha avuto un profondo impatto sul socialismo occidentale. Già nel 1902, lo scrittore britannico John Hobson (la cui celebrità è in parte dovuta al fatto che la sua opera è servita come base per L’ imperialismo, fase suprema del capitalismo di Lenin ) vide che le opportunità per i capitalisti occidentali di investire nelle colonie avrebbero creato una situazione in cui “piccoli gruppi di ricchi aristocratici” avrebbero tratto “dividendi e pensioni dall’Estremo Oriente” e avrebbero quindi sostenuto, grazie a questo tributo, “grandi masse addomesticate di servitori, non più impegnati nelle industrie di base dell’agricoltura e della manifattura, ma tenuti nell’esecuzione di servizi personali o industriali minori sotto il controllo di una nuova aristocrazia finanziaria”. Hobson avvertì che questa situazione, “lungi dal promuovere la causa della civiltà mondiale, avrebbe potuto introdurre il gigantesco pericolo di un parassitismo occidentale”. 8

Quanto le previsioni di Hobson si siano avverate è evidente da un articolo del New York Times su come Apple ha portato a termine un lavoro urgente. Sebbene fosse notte fonda, un caposquadra svegliò ottomila lavoratori cinesi nei dormitori dell’azienda, diede a ciascuno un biscotto e una tazza di tè, li mise al lavoro per un solido turno di dodici ore e, nel giro di novantasei ore, l’impianto produceva oltre diecimila iPhone al giorno. 9

Un altro modo di guardare al problema posto dall’esistenza del mondo al di fuori dell’Occidente è immaginare che i paesi sviluppati siano sempre stati totalmente isolati dal resto del mondo: niente materie prime a basso costo, niente forza lavoro immigrata, niente beni prodotti nelle condizioni appena descritte. È ovvio che la nostra società sarebbe completamente diversa da quella che è: il livello di consumo sarebbe molto più basso, ma dovremmo anche produrre ciò che consumiamo, il che creerebbe un rapporto di forze molto diverso tra lavoratori e datori di lavoro.

Possiamo solo fare delle congetture sul tipo di società che una situazione del genere creerebbe, ma potrebbe benissimo assomigliare al socialismo sognato prima del 1914. Naturalmente, il punto qui non è incolpare il resto del mondo per la situazione attuale, ma sottolineare che ciò che ha permesso al sistema esistente di sopravvivere è in gran parte l’esistenza di un entroterra, ex colonie diventate il terzo mondo e poi nazioni emergenti, sulle quali abbiamo trasferito molti dei nostri problemi. Ma questa osservazione porta a due conclusioni sul socialismo. Innanzitutto, lungi dall’essere scomparsa, la classe operaia è ancora in formazione su scala mondiale: in Asia e in America Latina è in corso la trasformazione dei contadini in operai, mentre in Africa è solo all’inizio. Nessuno sa come finiranno questi sconvolgimenti. Quanto ai paesi sviluppati, la loro egemonia sul resto del mondo è in costante declino; se verrà il giorno in cui questi paesi saranno obbligati a risolvere i propri problemi senza poterli trasferire all’estero, si porrà di nuovo la questione di un’altra forma di organizzazione sociale.

Inoltre, tutto ciò che è più o meno civilizzato nei paesi sviluppati — la sicurezza sociale, l’istruzione democratica, la protezione dei lavoratori, i servizi pubblici — è stato creato in uno spirito essenzialmente socialista. In termini economici, una buona parte della vita — l’infanzia, la giovinezza, la vecchiaia, la malattia, la disoccupazione — è già socializzata. È vero, l’offensiva neoliberista mira a smantellare quelle conquiste, ma si scontra con una resistenza disorganizzata ma ostinata, perché quelle conquiste sono ancora molto popolari.

In The Spirit Level , Richard Wilkinson e Kate Pickett dimostrano statisticamente che nel mondo occidentale, le società relativamente egualitarie (grazie all’applicazione parziale delle idee socialiste) godono di enormi vantaggi in termini di salute, sicurezza, istruzione, mobilità sociale, ecc. 10 In America Beyond Capitalism , Gar Alperovitz passa in rassegna tutte le imprese più o meno collettive che già esistono anche nel “paradiso capitalista” degli Stati Uniti. 11 In Spagna la cooperativa Mondragon, con i suoi 35.000 dipendenti, dimostra che democrazia economica ed efficienza non sono necessariamente contraddittorie.

Naturalmente, niente di tutto ciò è perfetto e per molti versi rimane marginale. Ma almeno dimostra che le idee del socialismo classico non sono morte. In un periodo in cui le principali forze che si oppongono nel mondo occidentale sono, da un lato, una “sinistra” e una destra democratiche entrambe convertite al neoliberismo e, dall’altro, varie correnti reazionarie, le idee di Russell possono aiutare a tenere a galla la fragile barca della ragione umana e offrire la prospettiva, per quanto lontana, di un mondo veramente umano.

  1. ?Bertrand Russell, The Practice and Theory of Bolshevism (London: George Allen and Unwin),1920. edizione italiana
  2. ?Daniel Guérin, L’anarchisme (Paris: Gallimard, 1965),132–36.
  3. ?  Il Che scrisse più tardi: “I was in Guatemala at the time, the Guatemala of Arbenz, and I began to draft some notes for rules of revolutionary medicine. I began to think about what was needed to be a revolutionary doctor. But then came the aggression, the aggression let loose by United Fruit, the State Department, Foster Dulles—anyway, all that in reality is the same thing—and the puppet they set up was called Castillo Armas.… I then realized something essential: that to be revolutionary doctor, or simply to be a revolutionary, what is needed first of all is for there to be a revolution. Isolated individual effort, pure ideals, the desire to sacrifice a whole life to the noblest ideals, all that is useless if one is acting by oneself alone in some remote corner of America, struggling against hostile governments and social conditions that block all progress” (“The Revolutionary Doctor,” discorso  tenuto a L’Avana il 19 agosto, 1960,  http://cubanismo.net).
  4. secondo il biografo di Engels Tristram Hunt, la “concezione materialista della storia” appartiene più a Engels che a Marx.
  5. ?Bertrand Russell, “Why I Am Not a Communist,” in Portraits from Memory and Other Essays (Nottingham, UK: Spokesman, 1995), 213.
  6. ? vedere il documentario di Ken Loach del 2013 The Spirit of 45, per apprezzare le conquiste e la mentalità di quel periodo.
  7. ?Bertrand Russell, Power: A New Social Analysis (London: George Allen and Unwin, 1938).
  8. ?John Atkinson Hobson, Imperialism: A Study (Nottingham, UK: Spokesman, 2011).
  9. ?Charles Duhigg and Keith Bradsher, “How the U.S. Lost Out on iPhone Work,” New York Times, January 21, 2012.
  10. ?Richard Wilkinson and Kate Pickett, The Spirit Level: Why Equality is Better for Everyone (London: Penguin, 2010).
  11. ?Gar Alperovitz, America beyond Capitalism, second ed. (Takoma Park, MD: Democracy Collaborative, 2011).

Da Montly Review Volume 69, Issue 03 (July-August 2017)

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