Community

Already a member?
Login using Facebook:
Powered by Sociable!

Archivi

Vezio De Lucia: Le mie città, mezzo secolo di urbanistica in Italia

DeLucia_schedaLa passione civile di un urbanista di Corrado Stajano

«Non si può fare degnamente l’urbanista, e nessun altro lavoro intellettuale, senza passione. Senza passione sono i pedanti». Finisce con questa frase, sigla di una vita, il libro insolito di Vezio De Lucia, Le mie città, prefazione di Alberto Asor Rosa, (Diabasis, pp. 210, € 18). Insolito perché non è una seriosa analisi di mezzo secolo di urbanistica in Italia, ma una pudica autobiografia e insieme una memoria, ricca di personaggi, di fatti documentati, di speranze il più delle volte fallite, di momenti felici (gli anni Settanta) in cui, senza pretendere di cambiare il mondo, si sperò di far sì che l’Italia potesse avere, nel campo della pianificazione urbanistica, del paesaggio e della sua tutela, del rispetto del territorio (parola di cui ora si fa un gran blaterare), leggi degne di un Paese civile e culturalmente avanzato.

Ferruccio Parri era solito dire di aver fatto nella vita il proprio dovere, ma senza speranza, per «tigna», espressione piemontese che significa cocciutaggine, testardaggine. De Lucia non ha quella civetteria, di passione e di speranza ne ha avute tante, nonostante i conflitti, le ambiguità della politica, le sconfitte. La sua ultima difesa è stata sempre quella di «evitare il peggio», uno dei pochi obiettivi ai quali — ha scritto — si può ragionevolmente tendere.

Architetto e urbanista di grande valore, ha lavorato per un quarto di secolo nella pubblica amministrazione fino a diventare direttore generale dell’urbanistica del ministero dei Lavori pubblici. Ha diretto l’ufficio tecnico del commissariato per la ricostruzione di Napoli dopo il terremoto del 1980, ma ha avuto anche, negli anni Novanta, incarichi politici: consigliere della Regione Lazio e assessore all’urbanistica del Comune di Napoli ai tempi del primo mandato di Bassolino sindaco. Ha progettato poi i piani territoriali delle province di Pisa, di Lucca, di altri comuni.

Ma è stato soprattutto uno dei protagonisti del dibattito politico-culturale più aggiornato che, più nel passato che nel presente, si è tenuto in Italia sui temi urbanistici. Un suo intervento, a Eboli nel 2003, esprime con chiarezza i convincimenti che ha tentato di attuare nella pratica: «Il condono edilizio premia i disonesti ed è un insulto per le persone perbene. Mortifica gli amministratori più coraggiosi (…) favorisce gli amministratori collusi con gli interessi illegali e insensibili al disordinato sviluppo del territorio. L’abusivismo di necessità è finito da un quarto di secolo. L’abusivismo recente è un’attività criminale gestita da imprese collegate alla malavita organizzata. (…) Il condono farà incassare allo Stato una cifra inferiore a quello che occorre per finanziare il ponte sullo stretto di Messina. Possiamo rinunciare a entrambi e immaginare un’Italia diversa. Senza ponte e senza premi per i disonesti».

Propositi di un’urbanistica moderna, persino elementari nella prospettiva europea, ma difficili da realizzare in una società come la nostra punteggiata da quotidiani crolli di palazzine, dove lo «sfasciume pendulo sul mare», denunziato da Giustino Fortunato un secolo fa, non riguarda solo la Calabria, ma l’intero Paese, dove le grandi opere sono diventate indecenti occasioni di corruzione, imbrogli e affari immobiliari fuorilegge.

Le mie città è anche uno specchio del sottosuolo politico-amministrativo e dei comportamenti di una classe dirigente inadeguata. (De Lucia, nel 1990, fu licenziato sui due piedi dal ministro democristiano Giovanni Prandini perché «il suo modo di pensare non era omogeneo a quello del governo»).

Dal libro escono anche i ritrattini di persone spesso dimenticate, maestri e compagni, che si sono battute per un Paese civile. I ministri Pietro Bucalossi, Giacomo Mancini, Fiorentino Sullo che operarono con moderno spirito di responsabilità, osteggiati dall’establishment più retrivo e più legato agli interessi dei proprietari dei suoli. E poi, più di tutti, Antonio Cederna, che per tutta la vita si batté per un’Italia pulita, contro i palazzinari, la cementificazione delle coste, le periferie disumane. E con lui, Luigi Scano, Edoardo Detti, Antonio Iannello, Edoardo Salzano. E ancora, Leonardo Benevolo, Pierluigi Cervellati, Italo Insolera, Giovanni Astengo, altri.

Vezio De Lucia non è un pessimista caratteriale, un realista, piuttosto, che scrive con pacatezza, alla costante ricerca delle energie positive che in questo Paese esistono, uomini e donne che seguitano a fare con la stessa «tigna» di Ferruccio Parri.
Che destino hanno avuto «i ragazzi del piano», gli allora giovani appassionati architetti che a Napoli lavorarono con De Lucia ai tempi della tragedia dell’Irpinia? 

dal Corriere della Sera, 9.08.2010

………………………………………………………………………………………………………………………….

Asor Rosa:«Vezio De Lucia ci racconta di quando gli urbanisti cambiavano il mondo» 
di Daniele  Nalbone

Un’intervista ad Alberto Asor Rosa sul libro Le Mie Città: “uno squarcio nella vita civile italiana”.

Dalla frana di Agrigento della mattina del 19 luglio 1966, «lo stesso giorno in cui la nazionale italiana di calcio perse con la Corea del Nord», alla rovinosa ricostruzione de L’Aquila dopo il terremoto del 2009. Dai sogni del primo centrosinistra alle nefandezze del Piano Casa di Berlusconi. Dalla salvaguardia di Venezia all’impegno contro l’abusivismo nel Mezzogiorno. Nel suo ultimo libro, Le Mie Città. Mezzo secolo di urbanistica in Italia (Diabasis, pp.210 euro 18,00) l’urbanista Vezio De Lucia ripercorre cinquanta anni di storia della condizione urbana e del paesaggio in un perfetto mix tra battaglie per il rispetto della legalità e dell’interesse pubblico, ormai sacrificato sull’altare del “dio privato”. Così, Le Mie Città per alcune pagine può sembrare un libro di inchiesta urbanistica. Ma basta un inciso, un commento personale dell’autore, il racconto di un aneddoto, che si trasforma in un’appassionata autobiografia. Sempre molto documentata. Direttore generale dell’urbanistica al Ministero dei Lavori Pubblici; consigliere della Regione Lazio nelle fila del Pci; assessore all’urbanistica nella prima Giunta Bassolino; Consigliere nazionale di Italia Nostra. Vezio De Lucia è molto di più di un “semplice urbanista”: è politico, è funzionario, è attivista. Ma soprattutto ha attraversato cinquanta anni della storia urbanistica italiana, dai ministri dei Lavori Pubblici Fiorentino Sullo, Giacomo Mancini, Pietro Bucalossi, alla deriva dell’Italia berlusconiana. Da quando, con la legge del 1962 per l’acquisizione pubblica delle aree per l’edilizia popolare, gli standard urbanistici del 1968, la legge per la casa del 1971, la legge Bucalossi del 1977, era forte la «speranza che le cose potessero cambiare», fino ad arrivare ai disastri del disegno di legge Lupi in materia di governo del territorio e al “pianificar facendo”, colpo mortale per la pianificazione urbanistica, oggi trasformata nella “deroga come regola”. Oggi pomeriggio (ore 17) Le Mie Città verrà presentato alla Camera dei Deputati, nella Sala conferenza Mercede (via della Mercede 55). Con Vezio De Lucia discuteranno di cinquant’anni di urbanistica Walter Tocci, Adriano Labbucci, Enrico Pugliese, Francesco Erbani e Alberto Asor Rosa, che del libro ha scritto la prefazione e che abbiamo intervistato.

Professor Asor Rosa, quella raccontata da De Lucia ne Le Mie Città è una storia che parte da lontano e arriva alla “sua” Toscana e ai piani strutturali di Pisa, Lastra a Signa, Gavorrano e dei comuni della Val di Cornia, ai piani territoriali di coordinamento di Pisa e Lucca, ai piani strutturali coordinati di San Piero a Sieve e Scarperia. Che libro è quello di Vezio De Lucia?

Più che un libro, è uno squarcio nella vita civile italiana e nell’atteggiamento della politica e del suo modo di amministrare il territorio. Vezio racconta la sua esperienza professionale e, quasi senza accorgersene, traccia il percorso di cinquanta anni della nostra Repubblica. Cinquanta anni che, attraverso grandi illusioni e cocenti disillusioni, ci hanno portato allo stato attuale, in cui il territorio non è un luogo da amministrare e da tutelare ma il piano su cui poggiare enormi speculazioni.

Nella prefazione a Le Mie Città parla degli urbanisti come di un “segmento particolare” perché, mentre le altre categorie di intellettuali, letterati, scrittori, filosofi, «si danno da fare per persuadere altri a cambiare il mondo, loro lo cambiano perché il loro mestiere consiste nel cambiarlo»…

Volontariamente o involontariamente, nella mia vita mi sono molto spesso occupato della categoria degli “intellettuali” alla quale, volontariamente o involontariamente, appartengo. Prima di qualche anno fa, però, la categoria degli urbanisti non mi aveva mai sfiorato, in quanto tenuta ai margini della “storia degli intellettuali” del ‘900 perché i loro mestiere porta in una direzione diversa a quella degli intellettuali umanisti: gli urbanisti non possono permettersi di porsi solo il problema di criticare il mondo e il modo di cambiarlo. Dall’esperienza che sto facendo con la Rete dei Comitati per la progettazione di una “altra Toscana”, e dalla storia raccontata da Vezio, emerge come in questi cinquant’anni la componente critica relativa all’utilizzo che una certa politica ha fatto dei nostri territori è cresciuta negli anni rispetto alla componente costruttiva, relativa al fare, perché la politica ha reso impossibile il lavoro di un urbanista che non si riconosce nelle leggi di mercato. Ma Vezio descrive, oltre alla sua vita, una possibilità. Uno spazio in cui si può trovare, insieme a un’altra politica, un’altra urbanistica. È per questo che, scherzosamente, o proposto un mutamento del titolo del libro da “Le mie città” in “Le avventure di un urbanista”. O, ancor meglio, “Le fatiche di Sisifo” o “La lotta con Proteo”. Perché il libro di Vezio emana fatica.

Nel libro hanno molto risalto gli anni di De Lucia nella prima Giunta Bassolino come assessore “alla vivibilità” e ciò che lei ha definito nella prefazione «il racconto di quello che allora fu possibile sognare, progettare, realizzare e di quello che da un certo momento in poi non fu più possibile né sognare né progettare né realizzare».

Quando parlo di quegli anni, mi riferisco ai rapporti di Bassolino quando rappresentò una via di azione all’interno del Pci in fase di disgregazione. Erano gli anni di un confronto aperto, dialettico, senza nessun tentativo di rifugiarsi negli ideologismi del passato. Bassolino incarnava la speranza di un diverso modo di governare. Insieme ai cittadini e insieme agli urbanisti. È in questo scenario che De Lucia ha vissuto la sua esperienza centrale, anche con molti successi relativi al riassetto urbanistico di Napoli. A un certo punto, però, il bassolinismo si è trasformato in disillusione, è rientrato nella sfera della trattativa politica più banale, fino a scomparire del tutto in quanto, di quel tentativo di innovamento, non aveva più nulla. Da quel momento in poi, il racconto di De Lucia non può che essere il racconto della decadenza e del tramonto di una grande, solare stagione di possibile rinnovamento a opera di un centro-sinistra permeato di spinte al tempo stesso intellettuali e popolari. Stagione di cui, come ho scritto nella prefazione, Bassolino rappresenta la figura più esemplare sia dal punto di vista delle promesse e delle aspettative sia dal punto di vista delle promesse fallite e delle aspettativa disilluse e tradite. Nonostante questo, però, quegli anni furono un’esperienza comunque cruciale per molti. In questi stessi giorni è uscito un libro di un altro “grande vecchio” dell’urbanistica italiana, Edoardo Salzano, Memorie di un urbanista, che racconta di un’esperienza parallela a quella di De Lucia a Napoli, a Venezia. Un’esperienza fatta di speranze, illusioni e, purtroppo, disillusioni che arriva alle stesse conclusioni.

Oggi c’è qualche nuova “illusione” in cui provare a cambiare le cose?

Oggi non sono in atto esperienze di analoga natura. Ma una strada percorribile c’è, anche se molto ardua. Mi riferisco al nuovo assessorato all’urbanistica della Regione Toscana, guidato da Anna Marson, che qualche spiraglio lo sta aprendo soprattutto per quanto riguarda il confronto diretto con i cittadini che da anni sono in lotta per la difesa del territorio.

Parlando proprio della “sua” Toscana, nel libro, De Lucia, si riferisce direttamente a lei e a una sua significativa frase: «il centro storico di Firenze è asservito a un uso commerciale bastardo e degradante del flusso turistico». E, in riferimento a una Grande Opera, il Corridoio Tirrenico Nord che collegherà Civitavecchia con Livorno, lei denuncia come questo «potrebbe aprire le porte a una “piena di romani” con conseguenze devastanti per il territorio: porti turistici, strade a mare, residence a schiera»…

Sabato scorso, a Firenze, nella conferenza regionale della Rete dei comitati, abbiamo discusso per ore proprio di questo. Il punto nodale di tutto, come spiega perfettamente anche il libro di De Lucia, sono le scelte finali, la direzione che si vuole intraprendere, se quella del turismo, devastante, di massa a tutti i costi o quello della sostenibilità ambientale ma anche economica, visti i costi stratosferici di queste opere. O iniziamo un ripensamento di questo sistema, e il nuovo assessorato all’urbanistica toscano potrebbe aprire una speranza, o si assisterà a un’omologazione pesante della Toscana al modello speculativo senza limiti e senza freni del territorio “alla romana”. Per capire quali sarebbero le reali conseguenze per il territorio, basta chiedere a, o leggere i lavori di, urbanisti come Vezio De Lucia, Edoardo Salzano, Paolo Berdini…

 da Liberazione, 10 giugno 2010

Leave a Reply