Community

Already a member?
Login using Facebook:
Powered by Sociable!

Archivi

Luigi Longo: Eugenio Curiel, la Resistenza dei giovani (1969)

Eugenio Curiel, ritratto di Renato Guttuso

Membro della Direzione del PCI, direttore dell’Unita, organizzatore del Fronte della Gioventù, docente universitario, Eugenio Curiel — assassinato dai fascisti a Milano alla vigilia della Liberazione, quando aveva appena 32 anni — è stato l’esponente più alto di una generazione che ribellandosi alla dittatura ha voluto gettare le basi di un’Italia rinnovata e progressista – Ricordandolo oggi vogliamo sottolineare l’attualità del suo insegnamento e il legame ideale che unisce la lotta di allora a quella che i lavoratori, i democratici, le giovani generazioni conducono per fare avanzare l’Italia sulla strada della democrazia e del progresso

Curiel è venuto al comunismo, all’attività del nostro partito, non con una sorta di atto di fede, o per l’impulso di una coscienza di classe. Egli e venuto a noi per una conquista meditata del pensiero, giorno per giorno.
Egli è il rappresentante più grande, più completo e coerente di quella generazione di antifascisti, formatasi sotto il fascismo stesso, che ha trovato la propria ispirazione e la propria strada militando nelle stesse organizzazioni fasciste, maturando, in esse, la propria insoddisfazione per il loro operato, la propria critica per il sistema sociale di cui sono lo strumento.
Egli è venuto a noi, al nostro partito, non per trovarvi la risposta definitiva a tutti i quesiti che la coscienza gli poneva, ma perchè sentiva che la nostra dottrina, la nostra azione gli fornivano i più validi strumenti ideali e di azione per comprendere e affrontare la drammatica realtà italiana e mondiale di quegli anni di avanzata fascista. La sua adesione al Partito comunista è stata — sono parole sue — «la conclusione e al tempo stesso lo stimolo ad uno svolgimento ulteriore, ad un processo di ricerca, ad un’esigenza di conoscere».

E’ stato all’ombra della torre del Bo, in quella rivista universitaria che questo nome portava, che Curiel fece risuonare i primi rintocchi del risveglio antifascista dell’Ateneo patavino. Attraverso la pagina sindacale della rivista, da lui curata. egli comprese la profonda connessione tra i problemi della classe operaia e le questioni più generali della vita sociale e politica, egli percepì da una parte la carica anticapitalistica delle masse operaie, così duramente sfruttate sotto la dittatura fascista, e, dall’altra, il farsi continuo della classe operaia come classe nazionale, cioè come classe sempre più destinata ad imporsi come nuova forza dirigente, la sola forza portatrice di quegli ideali di giustizia sociale e di libertà che animavano tanti giovani nella loro insofferenza della brutalità e ottusità fasciste.
Curiel era, in primo luogo, un giovane che operava tra i giovani, un giovane che lottava per distruggere il mito del fascismo, non per sostituirlo con un altro mito. ma per sostituirgli «una democrazia nuova, forte, progressiva. aperta a tutte le conquiste, ad ogni progresso politico e sociale, senz’altro limite che quello della volontà popolare». Un giovane, cioè, che lottava per «un’Italia finalmente bella, libera e felice».
Il giovane, diceva Curiel, «viene ponendosi i problemi politici e non può accettarne le soluzioni passivamente, senza averli ripensati e rivissuti. E ripensarli non significa ripeterne travaglio e soluzione, ma arricchirli di nuovi elementi poiché l’ideologia politica diviene concretezza di direttive soltanto nel contatto quotidiano colla sempre nuova realtà». Questo insegnamento di Curiel è valido ancora oggi, sia pure in situazione e condizioni politiche ben diverse: e valido per gruppi e strati sempre più numerosi di giovani che manifestano di più in più un accentuato malessere morale e politico, un’insoddisfazione per il sistema sociale e politico in cui vivono e per l’operato dei partiti dominanti. E’ valido perché si pone ai giovani l’esigenza di uscire fuori con un atto di chiarezza, di verità e di onestà da questo mare di ipocrisia, di falsificazioni, di imbrogli, in cui si confonde ogni cosa e prospera e dilaga la più sfacciata corruzione.
Il fascismo, per i giovani. aveva uno slogan: «credere, obbedire, combattere». L’appello di Curiel, l’appello che si ritrova nei suoi scritti sul Bo, era un appello a non credere, ma a conquistare una visione critica delle cose, a non obbedire al fascismo, a non combattere per esso, ma a obbedire alla propria coscienza e a combattere per quanto essa comandava e per la libertà.
Questo appello di Curiel conserva, ancora oggi, tutta la sua attualità. E’ un appello ai giovani a respingere l’acquiescenza e il conformismo che i partiti e le classi dominanti vorrebbero imporre alle nuove generazioni. E’ un appello ai giovani ad essere parte attiva nel processo di creazione e di elaborazione che mai si interrompe nel mondo, poiché il divenire è un continuo processo di superamento e di trasformazione a cui ogni generazione deve portare il suo contributo.

Non è vero, come pretendeva Benedetto Croce, che i giovani non abbiano altra funzione che quella di invecchiare. Spetta ai giovani, ad ogni nuova generazione, individuare e portare avanti quanto di nuovo e di vitale si trova in ogni situazione. Per Curiel, per noi, la missione dei giovani non è quella di invecchiare, cioè di conformarsi al più presto all’ordine costituito esistente. Al contrario, è quella di portare in
tutta la vita nazionale la loro carica di rinnovamento, di volontà e di entusiasmo, che permetta di affrontare e risolvere i problemi venuti a maturazione.
Oggi, in particolare, la missione dei giovani e quella di far uscire il paese dalla stagnazione e dalla corruzione  dilaganti, in cui affoga ogni diritto e ogni idea di giustizia sociale, e sono mortificati i talenti personali e le energie più sane e più creative.
Guardiamo alle questioni che ci stanno dinanzi, alle questioni di fondo dalle quali dipende che cosa sarà l’Italia dei prossimi anni. Guardiamo alla disoccupazione e alla miseria crescenti, alle masse di giovani, lavoratori, tecnici, intellettuali, che non trovano una prima occupazione, all’arretratezza di tutti i livelli della nostra vita sociale: scuola, assistenza sanitaria, previdenza. Tutte queste questioni non saranno affrontate e risolte se non interverrà l’azione unita e possente delle grandi masse lavoratrici, e se, a questa azione, i giovani lavoratori, i giovani tecnici, i giovani studenti ed intellettuali, non porteranno tutto il contributo della loro forza, del loro entusiasmo e della loro intelligenza.
Non dobbiamo avere paura di guardare lontano. Solo coloro che non vogliono cambiare nulla, perchè temono per i loro privilegi, consigliano la quiete e l’immobilismo. Perseguendo le soluzioni nuove e più avanzate, rifiutando le divisioni artificiose, esaltando quello che c’è di comune, dobbiamo accelerare la nostra marcia in avanti, con slancio giovanile e concretezza di obiettivi.
Guardare lontano, e stato l’insegnamento di Curiel. Guardare lontano non per sognare o per evadere dai problemi e dalle difficoltà dell’oggi, ma guardare lontano per creare già oggi le basi del mondo trasformato di domani.
Misurarsi sempre con la realtà, anche, e soprattutto, quando la realtà può apparire cupa o persino senza speranza. Non essere mai soddisfatti, ma porsi sempre davanti alle cose con quello che Gramsci definiva il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà.
Senso critico e ottimismo della volontà, ecco un altro aspetto fondamentale del carattere e della vita di Curiel che lo ha accompagnato lungo tutta la sua breve esistenza: dall’arresto al confino di Ventotene. sino alla lotta armata di liberazione. alla quale diede, come fondatore del Fronte della Gioventù e come direttore dell’Unità clandestina, il contributo più alto. Scriveva, all’inizio della Resistenza: «Ridurre, quasi per tema di complicazioni, la parola d’ordine al vecchio motto sabaudo e garibaldino di “Via i tedeschi”, significa non aver inteso la profonda differenza tra l’occupazione nazista di oggi ed il dominio asburgico di ieri. Noi non possiamo scindere la parola d’ordine di “Via i tedeschi” da quella di “Morte ai fascisti”. Dunque, lotta per l’indipendenza e lotta per la liberta sono l’una condizione dell’altra, e come potremo combatterle — aggiungeva — se non lottiamo per la democrazia, che è la forma della libertà nella “nazione dei partiti”?».
Meditino queste parole quanti, ogni tanto, ci accusano. da una parte o dall’altra, di aver lottato, durante la Resistenza, non per la libertà e per una nuova democrazia, ma per fini di parte.
Leggete quel suo scritto. La lotta dei comunisti per una democrazia progressiva, che componeva pochi giorni prima della sua morte. In esso troverete le affermazioni più alte e più precise del legame profondo che, per noi comunisti, esiste — e non da oggi — tra democrazia e socialismo. «A differenza delle vecchie classi dirigenti della democrazia conservatrice, sempre preoccupate della conservazione dei loro privilegi», la classe operaia, come nuova classe dirigente, « è interessata — scrive Curiel — non già a respingere ed a comprimere. ma anzi a suscitare e a promuovere l’iniziativa democratica delle masse popolari e delle loro libere organizzazioni, la loro partecipazione diretta e attiva alla soluzione dei loro problemi». «Certo è che domani —scrive ancora Curiel — i problemi angosciosi della ricostruzione non potranno essere risolti nel quadro dei rapporti tradizionali del monopolio capitalista e terriero». Occorrono rapporti nuovi. ma questi potranno crearsi solo con la più larga unione di tutte le forze popolari. I comunisti — aggiungeva — «non vogliono imporre dispoticamente le loro opinioni o le loro soluzioni»: vogliono soltanto farsi gli alfieri più tenaci, nella ricerca della più larga democrazia, di «una partecipazione nuova delle masse al governo della cosa pubblica».
Questa indicazione, la si ritrova in ogni suo scritto, in ogni suo discorso, sia che sostenga, come base per la partecipazione delle diverse forze politiche al Fronte della Gioventù, «la emulazione delle idee, l’emulazione nell’azione, non il soffocamento delle convinzioni personali», sia che sottolinei la partecipazione, per più aspetti decisiva, delle masse cattoliche alla lotta di liberazione nazionale». «Molto deve agli operai, ai contadini, agli intellettuali cattolici la nuova Italia che va sorgendo dalla lotta di liberazione — scrive Curiel nell’agosto del 1944 — e di questo contributo, la classe operaia e il partito comunista nella sua immediata adesione alla realtà, sono i primi ad esserne consapevoli».
E anche qui, immediata, c’è l’indicazione del domani, di quello che dovrà essere l’Italia libera uscita dalla Resistenza: «Collaborare oggi, dimostrare sul terreno dell’azione l’esistenza di obiettivi comuni, significa garantire anche per il futuro. nella democrazia della nuova Italia, un’azione comune dei cattolici e delle altre masse lavoratrici». «Il Partito Comunista Italiano — scriveva ancora Curiel — è il partito che, senza rinunciare alle sue convinzioni filosofiche, non ha mai svolto una lotta antireligiosa e non ha mai sviluppato una propaganda anticlericale. ma ha sempre offerto con lealtà di collaborare con le masse e le organizzazioni cattoliche». Esso sa che è questa comprensione e gli accordi che ne deriveranno, come sono uno degli elementi che consolidano, oggi il fronte della liberazione, cosi saranno, domani, una delle basi della ricostruzione dell’Italia e della conquista di una vita migliore per tutti gli italiani».
Questo scriveva Curiel. E noi troviamo oggi ancora, nei suoi scritti, la essenza della politica attuale del nostro Partito, un partito che non ha atteso il XX Congresso per indicare una via nuova, autonoma, italiana, di avanzata al socialismo nella democrazia e nella pace, e per risolvere in modo nuovo, rispetto ad altre esperienze del movimento operaio e comunista, problemi di teoria e di pratica. Questa via nostra, italiana, l’abbiamo costruita con i venti anni della Resistenza antifascista, con la nostra partecipazione alla lotta di liberazione, con i venti anni che sono ormai intercorsi dalla fine della guerra, ed in cui siamo sempre stati al centro della vita nazionale. E’ stata questa aderenza profonda alla realtà del nostro paese, che non è mai andata persa, nemmeno negli anni duri della dittatura fascista, che ha permesso al nostro partito, al partito di Gramsci e di Togliatti, e anche al partito di Curiel e di Concetto Marchesi, di diventare quello che esso e oggi:
una grande forza di democrazia e di libertà, una forza senza la quale nessun effettivo rinnovamento democratico è possibile e concepibile.

Luigi Longo

La democrazia per cui combattiamo (1945)

di Eugenio Curiel

La democrazia che i comunisti propugnano oggi in Italia non è e non può essere semplice restaurazione di quella che ha dimostrato le sue limitazioni e le sue insufficienze comprimendo e respingendo l’iniziativa democratica delle masse, allevando nel suo seno il fascismo. Il popolo italiano deve tendere oggi, unito, tutte le sue energie, per farla finita per sempre col fascismo, per far fronte ai compiti difficili e grandiosi della guerra di Liberazione e di ricostruzione. Tutte le forze del popolo debbono mobilitarsi
se l’Italia non vuol perire come nazione: e questa mobilitazione può essere l’opera solo di una democrazia nuova, di una democrazia forte e progressiva, di una democrazia «nuova», liberata non solo da ogni residuo delle istituzioni e del personate fascista, ma anche dalle impalcature istituzionali monarchiche antidemocratiche che già nell’Italia prefascista contribuivano ad inceppare ed a falsare il giuoco della sovranità popolare.
Per questo i comunisti propugnano e reclamano, contro le resistenze interessate dei gruppi ristretti ma potenti, che della dittatura di Mussolini sono stati i complici ed i profittatori, l’epurazione immediata e radicale della vita italiana dai residui dell’oppressione, della corruzione, del tradimento fascista. Per questo i comunisti propugneranno alla Costituente l’eliminazione della monarchia corresponsabile del fascismo, una soluzione repubblicana, conseguentemente democratica, del problema istituzionale. E risolvere in modo conseguentemente democratico il problema istituzionale significa fondare il potere sull’autodecisione e sull’intervento diretto delle masse, sull’autogoverno, cioè, delle masse popolari.
Una democrazia nuova, capace di mobilitare le masse nello sforzo e nei sacrifici della lotta di liberazione e della ricostruzione non può essere solo il frutto ed il prodotto di un mutamento istituzionale; non può esaurirsi nel semplice meccanismo di periodiche consultazioni elettorali; deve tradursi in un atteggiamento ed in una
partecipazione nuova delle masse al governo della cosa pubblica.

La lotta di liberazione e l’opera della ricostruzione portano alla ribalta una nuova classe dirigente, la classe operaia, avanguardia di tutte le masse oppresse e sfruttate. A differenza delle vecchie classi dirigenti della democrazia conservatrice, sempre preoccupate della conservazione dei loro privilegi, questa classe nuova è interessata non già a respingere ed a comprimere, ma anzi a suscitare ed a promuovere l’iniziativa democratica delle masse popolari e delle loro libere organizzazioni, la loro partecipazione diretta ed attiva alla soluzione dei loro problemi.
Solo questa iniziativa e questa partecipazione cosciente ed attiva possono assicurare il successo della mobilitazione nazionale nello sforzo grandiose e nei duri sacrifici per la guerra di Liberazione e per la ricostruzione del paese. Nessuna forma di direzione o di governo «dall’alto» sarebbe capace di realizzare questa mobilitazione, di suscitare nelle masse l’entusiasmo necessario alla lotta ed alla vittoria. Per questo il partito della classe operaia vuole che la nuova democrazia sia una democrazia «forte», forte di una
effettiva e quotidiana partecipazione delle più larghe masse popolari alla soluzione dei loro problemi, forte dello interessamento e del presidio di tutto il popolo, forte contro i nemici della democrazia, forte contro quanti, difendendo interessi e privilegi di casta o di classe, vogliono sottrarsi ai doveri e ai sacrifici della solidarietà nazionale.
Ma una democrazia nuova, così rafforzata e presidiata, non potrebbe essere una democrazia conservatrice, solo preoccupata di ottenere, con un voto popolare, la formale sanzione ai privilegi delle caste dominanti. Nella loro partecipazione diretta e responsabile alla soluzione dei compiti della Liberazione e della ricostruzione, la classe operaia e le più larghe masse popolari portano, con le loro libere organizzazioni, la loro forza, e l’esigenza ed il peso delle loro necessità di vita e delle loro aspirazioni sociali: danno alla democrazia un senso ed un contenuto nuovo, non statico e conservatore ma dinamico e progressista, Ed è per questa democrazia nuova, forte, «progressiva», aperta a tutte le conquiste, ad ogni progresso politico e sociale, senz’altro limite che quello della volontà popolare, che i comunisti combattono.

La nostra lotta, gennaio 1945

 

 

 

 

Leave a Reply