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Toni Negri: La controriforma della giustizia

Toni Negri analizza l’offensiva del governo sulla giustizia: dal Lodo Alfano alla “riforma” dell’ordinamento giudiziario.

 

Che l’ordinamento giudiziario italiano debba essere riformato, è cosa che sapevamo da tempo. L’accelerazione che il governo Berlusconi ha dato a questa riforma, è cosa – anch’essa – che ci aspettavamo da tempo. Era per Berlusconi il momento opportuno: si trattava di far valere quella che i giuristi chiamano la plusvalenza politica delle competenze giuridiche, ovvero un premio giuridico concesso al potere politico. La stessa cosa è avvenuta in Germania nel 1933 ed è Carl Schmitt che ha teorizzato questo « premio »: ricompensa politica al possesso legale della forza. Berlusconi & Co. ritengono ammissibile costituzionalmente questo “premio”, esattamente come hanno ritenuto ammissibile l’altra norma, il lodo Alfano, sull’ “inviolabilità” della persona del sovrano. Si tratta di pretese talmente esorbitanti che non a caso c’è stato chi vi ha riconosciuto una vera e propria “incitazione a delinquere” (ironicamente, ma non troppo, nell’immoralismo italico si tratta di attribuire uno ius primae noctis al Presidente del Consiglio). Sarà interessante vedere come Berlusconi possa andare d’accordo con la Lega e con Fini quando si tratterà di portare a termine la riforma. Sembra che la Lega sia in disaccordo con l’oblio che, attraverso queste norme, si opera nei confronti del delitto di corruzione. Ma i tempi cambiano, avvezzandosi al potere anche l’etica della Lega potrà appannarsi. Quanto a Fini, non è un caso che la definitiva modernizzazione della sua ideologia abbia coinciso con il ritorno a queste simpatiche pratiche totalitarie. E’ questo un vero e proprio “ ritorno ai principî” ma in senso contrario alla democrazia. Questa riforma (“schmittiana”) della responsabilità politica è indubbiamente il più pesante segno di involuzione antidemocratica nel nostro paese. Secoli di storia costituzionale ci avevano condotto a considerare legittimità e legalità non più come concetti separati, ma sotto una stessa categoria e a mutare, di conseguenza, lo stesso concetto di sovranità: la sovranità democratica non è infatti la stessa cosa della sovranità moderna, la Repubblica non è la stessa cosa dell’ Ancien régime. Ma per Berlusconi queste sottigliezze sono irrilevanti: alza il mento e si va avanti… La cosa più impressionante è che questa riforma viene per salvare i suoi interessi personali. Qui non siamo più neppure all’interno di quella “buona fede” che pure fu considerata come una virtù dei corpi costituzionali anche nelle peggiori catastrofi storiche dei regimi parlamentari ( il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, il 30 gennaio 1933 di Hitler…). Quali sono gli altri puniti forti della riforma della giustizia ? Innanzi tutto sembra che si intenda mettere in discussione la funzione indipendente della magistratura nell’ordinamento democratico dello stato. L’indipendenza della magistratura dovrà essere considerata come funzione subordinata alla costruzione della volontà sovrana. Di conseguenza, l’ordinamento giuridico viene subordinato alla volontà politica espressa dal popolo (alla maggioranza più che alla costituzione) e la funzione della pubblica accusa verrà subordinata (ed esternalizzata) alla totalità statale in quelle fasi del processo giuridico nelle quali si ricostruisce l’unità dell’ordinamento. Non è da dire che questi spunti critici siano del tutto ingiustificati. E fuori dubbio che l’esuberanza della supplenza politica conquistata dalla magistratura si sia mostrata eccessiva in vari periodi della recente storia italiana. A trent’anni dal 7 aprile 1979, noi possiamo testimoniare la violenza di quelle escrescenze politiche del “fare giustizia”. Ed altrettanto si può dire per gli eccessi di “Mani pulite” e per tutte le altre vicende che hanno posto la magistratura in una funzione di arbitro definitivo e supremo della formazione stessa delle élites politiche. Ciò detto, non sembra davvero che l’attuale proposta berlusconiana di dividere le carriere della magistratura giudicante da quella della pubblica accusa, possa minimamente garantirci dal non ripetersi di quegli eccessi e di quelle feroci esuberanze del potere giudiziario. Al contrario: nella separazione delle carriere, le funzioni gerarchiche saranno ingigantite e, di conseguenza, la dipendenza dei giudici dai loro superiori diventerà ancora più forte. Attraverso questo dipendenza gerachica, l’appartenenza e la simbiosi della magistratura con la classe dirigente del paese diverranno ancora più certe. Verranno meno le garanzie sull’indipendenza personale del giudice, verranno accentuate le pulsioni autoritarie e gli interessi economici del corpo giuridico. Perché non innovare proponendo piuttosto il modello americano dell’ ordinamento giudiziario? Giudici “eletti” ai livelli più immediati dell’attività giurisdizionale; pubblica accusa, di contro, come funzione del potere pubblico; alte garanzie d’indipendenza per i gradi superiori del controllo giudiziario, etc. Che tutto ciò possa essere travolto da interessi di parte, che la neutralità della funzione giudicante possa essere corrotta dall’emergere di interessi locali, corporativi o consuetudinari, che mille altri vizi possano essere riconosciuti in quel sistema, è certo. Esso ha tuttavia – a prima vista – due vantaggi : di lasciare relativamente libera la coscienza del giudice singolo, e in secondo luogo di esporre apertamente, democraticamente al giudizio pubblico i comportamenti dell’insieme del corpo giudiziario. Una “democrazia assoluta” per la giustizia non si potrà evidentemente dare finché esiste una società caratterizzata dalla divisione delle classi. Solo delle nuove istituzioni che intersichino l’interesse comune e l’istaurarsi di un’eguaglianza sociale effettiva, possono permettere – nei limiti della finitezza dell’essere umano e della sua attuale condizione storica – una democrazia nel campo giudiziario. Ma le riforme di Berlusconi non solo negano ogni tendenza verso un ordine nuovo, ma assicurano, fin da ora, che le peggiori ingiustizie, l’elogio della disuguaglianza, la prepotenza dei potenti, possano diventare la regola generale del funzionamento della giustizia a casa nostra. La legge berlusconiana costruisce una normatività che segue il potente comando della politica organizzata dai media. Lo abbiamo già sperimentato in periodo elettorale a proposito del tema della “sicurezza pubblica”. Anche in questo caso, nulla di nuovo: per chi ne ha voglia basta riguardare “Il dittatore” di Chaplin e la perfetta illustrazione che qui si costruisce dell’alternarsi e del coincidere di perverse incitazioni ideologiche e di pogrom antisemiti. L’eccezionalità della legge, la straordinaria esemplarità della sua esecuzione andranno di pari passo con le esigenze del potere: non solo nella disciplina della società, ma nel controllo della sua evoluzione. Come per il governo, così per la giustizia, la legge deve diventare decreto. L‘incertezza della norma e la certezza della sua applicazione dura ed indifferenziata, debbono andare assieme. Di conseguenza guai a te se vai in galera. La legge Gozzini, che molto timidamente aveva attenuato la crudeltà inutile ed assassina del regime carcerario, Berlusca, Bossi e Fini la eliminano. Il principio di una implacabile esecuzione della pena sostituisce quel principio di certezza della legge che più sopra abbiamo visto vacillare. Per quel che mi riguarda, penso che questo sia l’aspetto più feroce e vigliacco della riforma della giustizia proposta da questo governo. Una riforma fatta da una persona che non vuole andare in galera, e che, per non andarci, approfondisce e moltiplica le forme della repressione. Per difendersi bisognerà avere i soldi per pagare un Pecorella o un Ghidini. Grazie Berlusconi, davvero una perfetta riforma liberale della giustizia.

Parigi, 14 ottobre 2008

fonte: http://www.posseweb.net/spip.php?article240

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