Io dico che opinare significa parlare e che l’opinione consiste in un discorso esplicitaÂmente pronunciato.
Platone, Teeteto, 190 a.
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Desidero innanzi tutto precisare che il mio proposito non è quello di denunziare in modo meccanico e sbrigativo i sondaggi d’opinione. Se è indubbio che i sondaggi d’opinione non sono ciò che si vuol far credere, essi non sono nemmeno ciò che comuneÂmente si dice quando si intende demistificarli. I sondaggi possono dare un contributo utile alla scienza sociale a condizione di essere trattati in modo rigoroso, cioè con particolari precauzioni. In altre parole, non è mia intenzione mettere sotto accusa chi si occupa dei sondaggi d’opinione: costoro fanno un certo mestiere che, se non è riducibile ad una pura e semplice vendita di prodotti, non è nemÂmeno del tutto identificabile con una vera e propria ricerca scienÂtifica acheter viagra sans ordonnance.
I tre postulati impliciti
Dopo questo preambolo, vorrei enunciare i postulati che dobÂbiamo esaminare per poter giungere a un’ analisi rigorosa e fondata dei sondaggi d’opinione.
Questi postulati sono tre:
Innanzi tutto, ogni ricerca d’opinione presuppone che tutti posÂsono avere un’opinione; oppure, in altre parole, che la produzione di un’opinione è alla portata di tutti. Pur sapendo di urtare un sentimento ingenuamente democratico, intendo contestare questo primo postulato.
Secondo postulato: si presuppone che tutte le opinioni si equiÂvalgano: ritengo di essere in grado di dimostrare che le cose non stanno cosi, e che il fatto di accumulare delle opinioni che non hanno per nulla la medesima forza reale porta ad una distorsione assai marcata.
Terzo postulato implicito: nel semplice fatto di porre a tutti la stessa domanda è implicita l’ipotesi che esista un consenso sui proÂblemi; in altre parole, che esista un accordo sulle domande che meritano di essere poste.
Questi tre postulati implicano, mi sembra, tutta una serie di distorsioni che si possono osservare anche quando tutte le condiÂzioni del rigore metodologico sono state rispettate nella raccolta e nell’analisi dei dati.
Si muovono spesso rimproveri tecnici ai sondaggi d’opinione.
Per esempio, si mette in dubbio la rappresentatività dei campioni. Penso che, dato lo stato attuale dei mezzi utilizzati dagli uffici di produzione dei sondaggi, l’obiezione non sia davvero fondata. Si rimprovera loro anche di porre domande indirette, o meglio, di truccare le domande nella loro formulazione: questo è già più viÂcino alla verità e capita spesso, infatti, che si suggerisca la risposta attraverso il modo di porre la domanda. Cosi, per esempio, trasgredendo al precetto elementare che deve guidare la compilazione di un questionario, cioè quello di lasciare a tutte le risposte possibili la stessa probabilità , si omette spesso nelle domande, o nelle rispose proposte, una delle opzioni possibili, oppure, ancora, si propone parecchie volte la stessa opzione sotto formulazioni diverse. Non si è mai del tutto sicuri, salvo quando si fa un’inchiesta preliminare, d’aver previsto tutto l’universo delle possibili risposte, e quelle solamente. Si può anche prevedere più volte la stessa risposta, ciò che dà una maggiore probabilità alla risposta che è stata proposta più spesso; oppure e ancora, tra le risposte previste può capitare di omettere una risposta particolarmente importante togliendole così probabilità di comparizione.
Le problematiche obbligate
Penso, dunque, che esistano possibilità di errori di questo tipo e sarebbe interessante chiedersi quali siano le condizioni sociali che determinano la comparsa di tali errori. Il sociologo suppone che nulla è dovuto al caso e che questi errori si possono spiegare. Il più delle volte essi sono dovuti alle condizioni in cui lavorano le persone che preparano i questionari. Ma vi sono anche altri ostacoli: c’è il fatto che le problematiche proposte dagli istituti di sondaggi d’opinione sono subordinate ad una richiesta di tipo particolare. Chiedersi quali sono i principi generatori di queste problematiche significa domandarsi chi è in grado di pagarsi un sondaggio d’opinione.
Avendo cominciato ad analizzare una grande inchiesta nazionale sull’opinione che hanno i francesi del sistema di insegnamento, e poiché avevamo a che fare con un campione spontaneo di risposte suscitate da un questionario diffuso da tutta la stampa francese, abbiamo voluto controllare la validità del nostro campione, e abbiamo rilevato negli archivi di un certo numero di istituti specializzati, tra cui l’IFOP, la SOFRES, ecc., tutte le domande riguardanti l’insegnamento. Questa ricerca ci ha fatto notare che più di duecento domande sul sistema di insegnamento sono state poste dopo il maggio 1968, mentre meno di una ventina tra il 1960 e il 1963. Ciò significa che le problematiche che si impongono a questo tipo di organismo sono profondamente legate alla congiuntura e sono dominate da un certo tipo di richiesta sociale. In altre parole, i problemi che vengono posti sono problemi che si impongono come problemi politici. La questione dell’insegnamento, per esempio, può essere posta da un istituto d’opinione pubblica soltanto quando diventa un problema politico. Si nota immediatamente la differenza che divide queste istituzioni dai centri di ricerca, i quali concepiscono le loro problematiche, se non proprio in un cielo puro, in ogni caso con un distacco molto maggiore rispetto alla domanda sociale nella sua forma diretta e immediata.
Un’analisi statistica sommaria delle domande poste ci ha fatto notare che la maggior parte di esse era direttamente legata alle preoccupazioni politiche del «personale politico». La domanda: «Si deve introdurre la politica nei licei?» (o le sue varianti) è stata posta molto spesso, mentre invece la domanda: «Si devono modificare i programmi?», oppure: «Si deve cambiare il modo di trasmettere i contenuti?» è stata posta molto raramente. Cosi pure: «Si devono riciclare gli insegnanti?». Si tratta, come si può vedere di domande altrettanto importanti, perlomeno da un altro punto di vista.
Le funzioni del sondaggio
Le problematiche che vengono proposte dai sondaggi d’opinione sono problematiche interessate. Ogni problematica è interessata ma, nel caso specifico, gli interessi che sostengono queste problematiche sono interessi politici e ciò impone che ci si chieda, con gran forza e nello stesso tempo, sia il significato delle risposte sia il significato che viene dato alla pubblicazione delle risposte. Il sondaggio d’opinione è, allo stato attuale, uno strumento di azione politica; la sua funzione più importante consiste forse nel creare l’illusione che esista un’opinione pubblica come pura addizione di opinioni individuali. L’«opinione pubblica» che è manifestata sulle prime pagine dei giornali sotto forma di percentuale (il 60% dei francesi sono favorevoli a … ), questa opinione pubblica è un artificio pure e semplice la cui funzione consiste nel dissimulare il fatto che lo stato dell’opinione, in un determinato momento, è un sistema di forze, di tensioni e non vi è nulla di più inadeguato di un calcolo percentuale per rappresentare lo stato dell’opinione.
Si sa che i rapporti di forza non si riducono mai soltanto a meri rapporti di forza: ogni esercizio della forza è accompagnato da un discorso che mira a legittimare la forza di colui che lo esercita; si può addirittura affermare che la particolarità di ogni rapporto di forza consiste nel dissimularsi come rapporto di forza e di esprimere tutta la sua forza soltanto nella misura in cui riesce a dissimularsi come tale. In breve, per dirla in modo semplice, l’uomo politico è colui che dice: «Dio è con noi». L’equivalente di «Dio è con noi» è oggi «l’opinione pubblica è con noi».
L’effetto fondamentale del sondaggio d’opinione è questo: si costruisce l’idea che esiste un’opinione pubblica unanime per legittimare una politica e rafforzare i rapporti di forza che ne stanno alla base o la rendono possibile.
Le non-risposte
Poiché ho espresso all’inizio quanto volevo dire alla fine, proverò ad indicare molto rapidamente quali sono le operazioni per cui si produce questo effetto di consenso. La prima operazione, che ha come punto di partenza il postulato secondo il quale tutti devono avere un’opinione, consiste nell’ignorare le non-risposte. Da qualche tempo a questa parte, invece di dire: il 50% dei francesi sono per la soppressione delle ferrovie, i giornali dicono il 50% dei francesi sono per, il 40 % sono contro e 10% non hanno un’opinione. Ma questo non basta. Per esempio, chiedete alla gente: «Siete favorevoli al governo Pompidou? ». Registrate un 30% di non-risposte, 20% si, 50% no. Quindi potete affermare: la parte della gente contraria è superiore a quella favorevole e poi c’è quel residuo di 30%. Oppure, potete anche calcolare di nuovo i favorevoli e gli sfavorevoli escludendo le non-risposte. Questa semplice scelta è un’operazione teorica di straordinaria importanza e sulla quale desidererei soffermarmi.
Eliminare le non-risposte è fare ciò che si fa in una consultazione elettorale quando ci sono delle schede bianche o nulle; è imporre al sondaggio d’opinione la filosofia implicita nel sondaggio elettorale. Se guardiamo più da vicino, possiamo osservare che il tasso delle non-risposte è generalmente più elevato tra le donne che tra gli uomini, che lo scarto tra le donne e gli uomini è tanto più alto quanto più i problemi posti sono di ordine propriamente politico, a tal punto che in un elenco di domande varie, per determinare se una domanda poteva essere considerata come politica o non politica ci è bastato successivamente valutare l’importanza dello scarto delle non-risposte tra uomini e donne. Un altro indice: più una domanda verte su problemi del sapere, della conoscenza, maggiore è lo scarto tra le non-risposte delle persone più istruite e quelle meno istruite. Un’altra osservazione: quando le domande vertono sui problemi etici, lo scarto delle non-risposte tra le classi sociali è minimo (per esempio: «Dobbiamo essere severi con i bambini?»). Altra osservazione ancora: tanto più una domanda propone problemi conflittuali, si riferisce cioè a un nodo di contraddizioni (per esempio, una domanda sulla situazione in Cecoslovacchia per le persone che votano comunista), tanto più quella domanda è generatrice di tensioni per una determinata categoria, tanto maggiore è la frequenza delle non-risposte in questa categoria. In altre parole, la semplice analisi statistica delle non-risposte ci offre un’informazione su ciò che significa la domanda e, allo stesso tempo, anche sulla categoria presa in considerazione, essendo quest’ultima definita tanto dalla probabilità di avere un’opinione che le viene attribuita quanto dalla probabilità condizionale di avere un’opinione favorevole o sfavorevole.
L’imposizione della problematica
L’analisi scientifica dei sondaggi di opinione mostra che, praticamente, non esiste un problema omnibus; non esiste cioè domanda che non sia reinterpretata in funzione degli interessi o dei non-interessi delle persone a cui è stata posta, perciò il primo imperativo è chiedersi a quale domanda le diverse categorie degli intervistati hanno creduto di rispondere. Uno degli effetti più dannosi del sondaggio di opinione consiste proprio nel mettere gli individui in condizione di rispondere a domande che essi non si sono mai posti o, ancora, di rispondere a una domanda diversa dalla risposta avanzata, poiché l’interpretazione non fa altro che registrare l’equivoco.
All’inizio, dicevo che i sondaggi d’opinione potevano essere riutilizzati scientificamente: ma ciò presuppone delle precauzioni che le condizioni sociali nelle quali lavorano gli uffici di studio escludono. I giornalisti che cercano soluzioni semplici semplificano i dati già semplificati che sono stati loro trasmessi, e quando si arriva al pubblico il risultato è questo: «50% dei francesi sono per la soppressione delle ferrovie». Una interpretazione rigorosa dei sondaggi di opinione supporrebbe un quesito epistemologico su ognuna delle domande fatte e, in più, sul sistema di tali domande, poiché soltanto l’analisi del sistema completo di risposte può permettere di rispondere alla richiesta di sapere a quale domanda gli intervistati hanno risposto.
Così accade per le domande che riguardano problemi di morale, sia che si tratti di domande sulla severità dei genitori, sia sui rapporti tra insegnanti e studenti o sulla pedagogia direttiva o non-direttiva ecc., problemi che sono maggiormente considerati problemi etici quanto più si scende nella scala sociale ma che, per le classi superiori, possono essere problemi politici: uno degli effetti di distorsione dell’indagine consiste nel trasformare, mediante la semplice impostazione della problematica, risposte etiche in risposte politiche.
I due principi di produzione delle opinioni
Esistono molti principi sulla cui base si può concepire una risposta. C’è, prima di tutto, ciò che si può definire la competenza politica in riferimento a una definizione della politica arbitraria e legittima nello stesso tempo, cioè dominante e dissimulata come tale. Questa competenza politica non è universalmente diffusa; varia, grosso modo, come livello d’istruzione. In altre parole, la probabilità di avere un’opinione su tutte le domande che presuppongono una conoscenza della politica è abbastanza simile alla probabilità di visitare un museo; vale a dire che essa è in funzione del livello di istruzione. Si notano delle varianti straordinarie: là dove uno studente impegnato in un movimento di estrema sinistra scorge quarantacinque separazioni a sinistra del PSU, per un quadro amministrativo medio, invece, non c’è nulla. Nelle elezioni si pensa sempre alla scala politica, estrema sinistra, sinistra, centro-sinistra, centro, centro-destra, destra, estrema destra, ecc. Uno dei dati importanti messo in rilievo da un nostro test è che tutto si svolge come se le diverse categorie sociali utilizzassero in modo molto diverso questa scala che le ricerche di «scienza politica» usano abitualmente. Certe categorie sociali utilizzano intensamente un piccolo settore dell’estrema sinistra; altre utilizzano soltanto il centro, altre ancora utilizzano tutta la scala; infine risulta che un’elezione è l’aggregazione di spazi del tutto differenti; si sommano individui che misurano in centimetri con altri che misurano in chilometri o meglio individui che contano da 0 a 20 con individui che contano da 9 a 11. La competenza si misura, tra l’altro, dal grado di acutezza di percezione (lo stesso avviene nel campo estetico, in cui certe persone sono in grado di distinguere le cinque o sei maniere successive di un solo pittore). Questo paragone può essere spinto più lontano. Anche per la percezione estetica esiste una condizione permissiva: la gente deve immaginare un’opera d’arte come tale; poi, dopo averla intesa come opera d’arte, deve possedere alcune categorie di percezione per costruirla, strutturarla, ecc.
Immaginiamo una domanda cosi concepita: «Siete per un’educazione direttiva o per un’educazione non-direttiva?». Questa domanda può essere costruita come domanda politica poiché la rappresentazione dei rapporti genitori-figli si integra in una visione sistematica della società . Da alcuni la domanda può essere intesa come politica; per altre persone si tratta di una pura questione morale. Nel questionario, di cui vi ho parlato, noi chiediamo alla gente: «Considerate politico o no fare uno sciopero, portare i capelli lunghi, partecipare ad un festival pop, ecc.?» per vedere come le persone utilizzano questa dicotomia; e, naturalmente, si possono notare profonde variazioni a seconda delle classi sociali.
La prima condizione è, dunque, quella di essere capaci di costruire una domanda come una domanda politica; la seconda è di essere capaci, dopo averla costruita come tale, di applicare ad essa delle categorie propriamente politiche, che possono essere più o meno adeguate, più o meno raffinate ecc. Queste sono le condizioni specifiche della produzione delle opinioni, condizioni che il sondaggio d’opinione presuppone come universalmente e uniformemente assolte mediante il primo postulato secondo il quale tutti possono produrre un’opinione.
Il secondo principio che sta alla base della produzione di un’opinione è quello che io definisco l’«ethos di classe» (per non dire l’«etica di classe»), vale a dire un sistema di valori impliciti che gli individui hanno interiorizzato sin dall’infanzia e che genera le loro risposte ai più disparati problemi. Per esempio: sono convinto che la coerenza e la logica delle opinioni che le persone potrebbero scambiarsi al termine di una partita di calcio tra il Roubaix e il Valenciennes sia dovuta in parte all’ethos di classe. È molto probabile che giudizi come: «È stato un bel gioco ma troppo duro» oppure «È stato un gioco efficace ma brutto», giudizi che sembrano arbitrari come gusti e i colori, sono generati in realtà da quel principio del tutto sistematico che è l’ethos di classe.
Il dirottamento del senso
Una quantità di risposte che sono considerate risposte politiche sono prodotte in realtà dall’ethos di classe e, allo stesso tempo, possono essere rivestite di tutt’altro significato quando vengono interpretate sul terreno politico. Cercherò di spiegare ciò che intendo e vedrete che quanto ho appena detto non è per nulla astratto e irreale. A questo punto devo riferirmi ad una tradizione sociologica diffusa soprattutto tra alcuni sociologi della politica negli Stati Uniti, i quali parlano spesso di un certo conservatorismo e autoritarismo delle classi popolari. Queste tesi si fondano sul confronto internazionale dei risultati di sondaggi o di elezioni, che tendono a dimostrare che in qualsiasi paese le classi popolari danno sempre risposte più autoritarie di quelle delle altre classi sociali quando le si interroga su problemi riguardanti i rapporti d’autorità , la libertà individuale, la libertà di stampa ecc.; e se ne conclude che esiste un conflitto tra i valori democratici (per Lipset, si tratta di valori democratici americani) e quelli che le classi popolari hanno interiorizzato, ossia valori di tipo autoritario e repressivo. Da tutto ciò risulta una sorta di visione escatologica: poiché la propensione alla repressione, all’autoritarismo ecc. è legata agli introiti bassi e ai bassi livelli di istruzione, elevando il tenore di vita e il livello dell’istruzione potremo formare i buoni cittadini della democrazia americana; e non avremo più quei partiti comunisti come ce ne sono in Italia e in Francia. A mio avviso il problema sta proprio nel significato delle risposte a un certo tipo di domande. Immaginiamo un insieme di domande di questo genere: «Siete favorevoli all’eguaglianza fra i sessi? Siete favorevoli a un’educazione non repressiva? Siete favorevoli alla nuova società ?» ecc. Supponiamo anche domande del tipo: «i professori devono scioperare quando il loro posto di lavoro è minacciato? Gli insegnanti devono essere solidali con gli altri funzionari nei periodi di conflitti sociali?» ecc. Questi due gruppi di domande producono risposte di struttura strettamente inversa rispetto alla classe sociale: il primo gruppo, che riguarda un certo tipo di innovazioni nei rapporti sociali, per così dire nella forma simbolica delle relazioni sociali, suscita risposte tanto più favorevoli quanto più ci si eleva nella gerarchia sociale e in quella del livello d’istruzione, al contrario, invece, le domande che vertono sulle reali trasformazioni dei rapporti di forza tra le classi generano risposte sempre più sfavorevoli man mano che si sale nella gerarchia sociale.
In breve, la definizione: «Le classi popolari sono repressive» non è né vera né falsa. Essa è vera nella misura in cui le classi popolari tendono ad assumere verso un insieme di problemi come quelli riguardanti l’etica dei rapporti tra genitori e figli, o dei rapporti tra i sessi, un atteggiamento molto più rigido e autoritario rispetto alle altre classi sociali. Per quanto riguarda invece i problemi che investono la struttura politica, problemi che mettono in gioco la conservazione o la trasformazione dell’ordine sociale, e non soltanto la conservazione o la trasformazione dei modi di relazione tra individui, le classi popolari sono molto più favorevoli a un rinnovamento, vale a dire a una trasformazione delle strutture sociali. Si può osservare come certi problemi proposti nel maggio 1968 (e spesso malamente espressi), durante il conflitto tra il partito comunista e l’estrema sinistra, si riallaccino direttamente al problema centrale che ho tentato di esporre, e cioè al problema della natura delle risposte che la gente fornisce alle domande proposte, vale a dire il problema del principio in base al quale la gente produce delle risposte. Infatti, l’opposizione che ho creato tra questi due gruppi di domande si ricollega all’opposizione esistente tra i due principi di produzione delle opinioni: un principio fondamentalmente politico e uno etico, poiché il problema del conservatorismo delle classi popolari è il prodotto dell’ignoranza di questa distinzione. Pertanto ciò che ho definito come l’effetto dell’imposizione di una problematica, effetto che viene esercitato da ogni sondaggio d’opinione e da ogni consultazione politica (incominciando da quella elettorale), risulta dal fatto che le domande che vengono proposte in un sondaggio di opinione non vengono poste in realtà a tutte le persone interrogate e le risposte non vengono interpretate in funzione della problematica rispetto alla quale le diverse categorie degli intervistati hanno effettivamente risposto. Così avviene che la problematica dominante di cui fornisce un’immagine l’elenco delle domande proposte nel giro di due anni dagli istituti di sondaggio – vale a dire la problematica che interessa in modo particolare coloro che detengono il potere e che vogliono essere informati sui mezzi di cui possono avvalersi per organizzare la loro azione politica – è controllata in modo diseguale dalle diverse classi sociali e, fatto importante, queste diverse classi sociali sono più o meno capaci di produrre una contro-problematica. A proposito del dibattito televisivo tra Servan-Schreiber e Giscard d’Estaing un istituto di sondaggi d’opinione aveva proposto domande del genere: «Il successo è dovuto ai doni di natura, all’intelligenza, al lavoro, al merito?». Le risposte raccolte non rivelano nulla sulla verità oggettiva ma rispondevano invece alla domanda: «In che grado le differenti classi sociali hanno coscienza che esistono leggi obiettive per mezzo delle quali viene trasmesso il capitale culturale?». Grosso modo si può affermare che la non-coscienza di queste leggi cresce man mano che si scende nella gerarchia sociale e, che allo stato attuale delle cose, sono le classi popolari ad essere particolarmente mistificate dal sistema scolastico. Si comprende così per quali motivi nelle classi popolari è molto forte l’adesione al mito della virtù innata, a quello dell’ascesa per mezzo della scuola, al mito della giustizia scolastica, a quello dell’equità della distribuzione degli impieghi in base ai titoli di studio ecc. Non c’è una contro-problematica: questa può esistere per pochi intellettuali ma non possiede una vera forza sociale nonostante sia stata sostenuta da un certo numero di partiti e gruppi politici. Le classi popolari non hanno, dunque, coscienza della realtà dei meccanismi e non sono in grado di produrre questa contro-problematica; l’insieme stesso delle condizioni sociali ne vieta addirittura la diffusione. Ciò significa che non basta che un partito inserisca nel suo programma la lotta contro la trasmissione ereditaria del capitale culturale: «la verità scientifica» è sottoposta alle medesime regole di diffusione dell’ideologia. Una definizione scientifica del tipo: «Il capitale culturale viene trasmesso attraverso la scuola e la famiglia» è simile a una bolla papale sulla regolamentazione delle nascite: non predica che ai convertiti. Il capitale culturale si diffonde seguendo certe leggi; la probabilità che ciò venga recepito da alcuni e rifiutato da altri può essere determinato sociologicamente.
L’opinione mobilitata
In un sondaggio d’opinione si è portati ad associare l’idea di obiettività con il fatto di porre una domanda nei termini più neutri possibile in modo da dare a tutte le risposte tutte le probabilità . In realtà possiamo chiederci se un sondaggio d’opinione veramente rigoroso non sarebbe quello che trasgredisce totalmente gli imperativi della neutralità e dell’obiettività scientifica, una ricerca che, invece di dire, per esempio: «Ci sono persone favorevoli alla regolamentazione delle nascite, altre sono sfavorevoli; e voi? …», enunciasse una serie esplicita di prese di posizione dei gruppi deputati a costruire le opinioni e a diffonderle, in modo che si potessero situare gli individui non secondo una domanda – davanti alla quale essi devono inventare non soltanto la risposta ma la stessa problematica – ma secondo delle problematiche e delle risposte già precostituite. In altre parole, il sondaggio d’opinione sarebbe più vicino alla realtà se si trasgredissero completamente le regole dell’obiettività e si desse alla gente i mezzi per potersi collocare come avviene nella realtà pratica, vale a dire in base a delle opinioni già formulate. Faccio l’ipotesi che ad un dato momento su di un problema come quello dell’insegnamento tutti gli aspetti siano previsti. Vale a dire che un’analisi di contenuti della stampa d’informazione, della stampa sindacale, della stampa politica ecc., permette di disegnare una specie di mappa delle posizioni previste. Colui che propone una posizione non prevista sulla mappa è considerato un eclettico o un incoerente. Ogni opinione è situata obiettivamente in rapporto a una serie di posizioni già segnate. Comunemente si dice «una presa di posizione» ma la parola va intesa nel senso lato; esistono posizioni già previste e uno le prende. Ma non le prende a caso. Si prendono le posizioni che si è predisposti a prendere a seconda della posizione che si occupa in un certo campo. Per esempio, nel campo intellettuale, si può affermare che ogni individuo porta in sé una certa probabilità di prendere una posizione piuttosto che un’altra. Evidentemente esiste un piccolo margine di libertà ma vi sono posizioni che si propongono con maggiore o minore urgenza e un’analisi rigorosa delle ideologie mira a spiegare le relazioni tra la struttura delle prese di posizione e la struttura del campo delle posizioni occupate oggettivamente.
Giungo cosi al problema se i sondaggi di opinione valgano come predizione. Sappiamo che i sondaggi, salvo qualche caso accidentale come quello della campagna elettorale inglese, hanno una grande capacità di previsione quando si tratti di consultazioni elettorali, ma sappiamo anche che i sondaggi di opinione sembrano naufragare quando si confronta ciò che esse affermavano con ciò che è accaduto quando, nel frattempo, sia sopravvenuta una crisi. In altri termini, i sondaggi interpretano abbastanza bene la struttura delle opinioni in un determinato momento, in una situazione di equilibrio, ma interpretano con difficoltà le condizioni virtuali dell’opinione e, più precisamente, i mutamenti d’opinione; questo accade perché i sondaggi interpretano le opinioni in una situazione che non è quella realmente esistente al momento in cui le opinioni si costituiscono, e perché essi temono le opinioni stesse e non le situazioni durevoli che le producono. Si nota, infatti, uno scadimento considerevole tra l’opinione che la gente esprime in una situazione artificialmente prodotta come è quella del sondaggio, e l’opinione che la gente esprime in una situazione che rispecchi più da vicino la vita quotidiana in cui le opinioni si confrontano e si confermano come avviene per i pettegolezzi che si scambiano le persone dello stesso ambiente. In una situazione psicologica di questo tipo si sollecita un certo numero di persone ad esprimere la propria opinione sul confronto della lunghezza di due pezzi di ferro. Si scelgono nove persone su dieci e si chiede loro di affermare che i pezzi di ferro non sono del tutto uguali. Le si riinterroga e la decima incomincia col dire che da principio li riteneva uguali ma che in effetti i pezzi non sono proprio uguali, ecc. La situazione nella quale si forma l’opinione, e particolarmente nei momenti di crisi, è la stessa; vale a dire che la gente si trova davanti a opinioni precostituite, opinioni sostenute da gruppi, opinioni tra le quali si deve scegliere perché si deve scegliere tra i gruppi. Questo è il principio dell’effetto di politicizzazione che provoca la crisi: si deve scegliere tra gruppi che si definiscono politicamente, e esprimere, sempre di più, delle prese di posizione rispetto a principi esplicitamente politici. In realtà , ciò che mi sembra importante è che il sondaggio d’opinione considera l’opinione pubblica come fosse una semplice somma di opinioni individuali che sarebbero state raccolte in una situazione che è, in fondo, quella della cabina elettorale dove l’individuo esprime furtivamente un’opinione isolata. Nelle situazioni reali, le opinioni sono delle forze e i rapporti di opinione sono conflitti di forza. Prendere posizione su questo o quel problema significa scegliere tra gruppi realmente esistenti e perciò il terzo postulato, che afferma che tutte le opinioni si equivalgono, è del tutto privo di fondamento.
Da questa analisi emerge un’altra legge: si hanno tante più opinioni su di un problema quanto più si è interessati al problema stesso, vale a dire quanto più il problema ci interessa. Per esempio, per quanto riguarda il problema della scuola, il tenore delle risposte è strettamente connesso al grado di vicinanza della persona con il sistema d’insegnamento, sia come professore, sia come genitore di uno scolaro, o come ex-allievo o impiegato scolastico, e la probabilità di avere un’opinione varia in funzione della probabilità di avere un certo potere nell’ambito di ciò su cui si ha un’opinione. L’opinione mobilitata è quella della gente la cui opinione, come si dice, ha un peso. Se un ministro dell’Istruzione agisse in funzione dei risultati di un sondaggio d’opinione (o almeno partendo da una lettura superficiale del sondaggio) non agirebbe come agisce nella realtà in quanto uomo politico, vale a dire in base alle telefonate che riceve, alla visita del direttore della Scuola normale superiore, o alla visita del docente tal dei tali, ecc. Nella realtà , il ministro agisce assai di più in funzione delle forze d’opinione effettivamente costituite che affiorano alla sua percezione nella misura in cui esse hanno una forza di influenza e nella misura in cui esse sono forti perché sono mobilitate.
Disposizioni e opinioni
Poiché si tratta di prevedere, per esempio, come sarà l’Università nei prossimi dieci anni, penso che l’opinione mobilitata è essenziale; ma, nello stesso tempo, un certo tipo di lettura dei sondaggi di opinione permette di scoprire qualcosa che non esiste ancora allo stato di opinione ma che, invece, può emergere brutalmente in una situazione di crisi. Qualcosa che non esiste come opinione se per tale si intende un insieme di proposizioni che vengono formulate in un discorso che si pretende coerente. La gente che non risponde, o che dice di non avere un’opinione, è priva realmente di un’opinione? Penso che prendere sul serio le non-risposte sia prendere sul serio il fatto che le disposizioni di certe categorie non possono accedere allo statuto di opinioni, vale a dire a un discorso precostituito che ha la pretesa di essere coerente, di essere compreso, di imporsi, ecc. Quando, nelle situazioni di crisi, si manifesteranno le opinioni costituite, le persone che non avevano alcuna opinione non sceglieranno a caso: se per loro il problema è costituito politicamente (problema di salario, di ritmi di lavoro per gli operai), sceglieranno in termini di competenza politica; se, invece, il problema non è costituito in termini politici, o se è in via di costituzione come tale, (per esempio, la repressione all’interno dell’azienda), faranno la loro scelta in nome di un principio che si chiama istinto di classe, ma che con l’istinto non ha nulla a che fare: si tratta, invece, di un sistema di disposizioni profondamente inconscio che sta alla base di una gran quantità di scelte in campi estremamente diversi che vanno dall’estetica fino alle scelte economiche quotidiane. Il sondaggio d’opinione tradizionale produce questo strano effetto che consiste nel distruggere allo stesso tempo da un lato gli studi dei gruppi di pressione in materia d’opinione, dall’altra lo studio delle disponibilità virtuali che possono non esprimersi sotto forma di un discorso esplicito. Per questo motivo il sondaggio d’opinione, cosi com’è utilizzato attualmente, non può produrre nessuna ragionevole previsione su quanto potrebbe accadere in situazione di crisi.
Il sondaggio e l’elezione
Supponiamo un problema come quello del sistema d’insegnamento. Si può domandare: «Che cosa ne pensate della politica di Edgar Faure?». Questa è una domanda molto vicina a un sondaggio elettorale, nel senso che si tratta della notte in cui tutte le vacche sono nere: tutti sono grosso modo d’accordo senza sapere su che; sappiamo tutti che cosa ha significato il voto unanime sulla legge Faure all’Assemblea nazionale. Domandiamo poi: «Siete favorevoli all’introduzione della politica nei licei?». A questo punto si nota una spaccatura molto netta; ma, malgrado tutto, all’interno delle classi superiori le cose sono più complicate; le frazioni intellettuali di queste classi sono favorevoli con riserve mentali. Successivamente si può fare una domanda di questo genere: «I professori possono scioperare?»; a questo punto tra le risposte c’è un divario nettissimo. Per quanto riguarda le classi popolari interviene una specie di transfert della competenza politica specifica e non si sa che cosa rispondere. Un’altra domanda: «Bisogna modificare i programmi? siete favorevoli al controllo permanente? siete favorevoli all’inserimento dei genitori nel consiglio degli insegnanti? siete favorevoli alla soppressione dell’aggregazione? ecc.». Nella domanda «siete favorevoli a Edgar Faure?» tutte queste domande erano già implicite e la gente ha preso posizione in un colpo solo su qualcosa che un buon questionario non avrebbe potuto prendere in considerazione se non impiegando almeno sessanta domande a proposito delle quali si sarebbero potute notare delle varianti in tutti i sensi. In un caso le opinioni sarebbero positivamente collegate alla posizione occupata all’interno della gerarchia sociale, in un altro, invece, negativamente, in altri casi poco, o fino ad un certo limite, oppure affatto. Dunque, quando si pone una domanda come «siete favorevoli a Edgar Faure?», si accumulano dei fenomeni che dipendono in modo molto diverso dalla classe sociale. Il fatto interessante è che gli specialisti di sociologia politica notano come la correlazione che si può osservare abitualmente in quasi tutti i campi della realtà sociale fra la classe sociale e le opinioni, sia molto debole quando si tratta di fenomeni elettorali, a tal punto che alcuni non esitano a concludere che non esiste nessuna correlazione tra la classe sociale e il fatto di votare per la destra o la sinistra.
In realtà , se avete in mente quello che ho appena detto, capirete che una consultazione elettorale pone in un’unica domanda sincretica ciò che non si potrebbe ragionevolmente comprendere se non con duecento domande; se per voi è chiaro che gli uni misurano in centimetri, gli altri in chilometri, e tante altre difficoltà , potrete concludere che l’atto del voto è aleatorio e che, probabilmente, bisogna rovesciare la domanda tradizionale del rapporto tra il voto e la classe sociale: com’è possibile che, nonostante tutto, ci sia una sia pur debole relazione? Come è possibile che non risulti semplicemente una curva a campana? Tra le opinioni elettorali esiste un’elasticità molto ampia: l’opinione che si esprime con un voto è essenzialmente definita in maniera negativa; esistono dei paraurti, cioè dei punti oltre i quali non si può andare, ma anche nei limiti cosi definiti i voti circolano. Ciò si vede ancora di più quando la strategia delle campagne elettorali consiste nel porre male le domande e nel puntare al massimo sulla dissimulazione delle fratture per guadagnare i voti incerti. Tutto ciò porta a domandarsi qual è la funzione del sondaggio di opinione che ha esattamente le stesse caratteristiche del sistema elettorale. Per dire le cose in modo molto grossolano, io penso che il sistema elettorale sia uno strumento che, per la sua stessa logica, tende ad attenuare i conflitti e le fratture e che, per questo, tende naturalmente a servire la conservazione. Ci si può chiedere che cosa si fa quando si accetta di servirsi di questo strumento. Si può, per esempio, arrivare alla conclusione che non si sapeva in che cosa consistesse, che bisogna continuare a servirsene ecc. Un partito rivoluzionario che voglia accrescere la propria forza nel quadro dei rapporti di forza, può, partendo da questa analisi assumere come strategia principale quella di fornire delle contro-problematiche, di utilizzare sistematicamente il procedimento che viene usato istintivamente da generazioni (vale a dire la contro-strategia del «berretto bianco-bianco berretto» come rifiuto della problematica). Per un partito che ha definito i propri obiettivi, il problema non è quello di fornire delle risposte ma di dare alla gente i mezzi di essere i produttori, non delle proprie risposte, ma delle proprie domande e di essere, nello stesso tempo, i produttori di strumenti di difesa contro le domande che vengono imposte per il semplice fatto che essi non ne hanno altre.
Sotto un altro punto di vista, si potrà concludere che, come per mandare la gente a visitare un museo, occorre insegnargli un certo numero di cose a scuola, così, se si vuole che il gioco elettorale sia meno assurdo, bisogna che la differenza tra i postulati impliciti nel sistema elettorale e la realtà sia la più piccola possibile: in altre parole occorrerà , per esempio, che la gente sia in possesso dei mezzi di produzione delle opinioni; si dovrà , dunque, dargli il modo di appropriarsene. Ciò significa che già nelle classi elementari si dovrà impartire una vera educazione politica.
Si può anche affermare: io non desidero partecipare al gioco elettorale perché, allo stato attuale della struttura della società , della distribuzione del capitale culturale, del quale ho appena detto che è uno dei fattori che formano l’attitudine a produrre delle opinioni, ecc., è assolutamente illusorio che si possa arrivare all’uguaglianza davanti alle urne. Si può, quindi, concludere che soltanto le minoranze attive sono capaci di mobilitare l’opinione. Si può trarne tutte queste conclusioni, molto diverse, senza essere tuttavia esclusive. Ciò che è certo è che, studiando il funzionamento di un sondaggio di opinione, ci si può formare un’idea del modo in cui funziona quel tipo particolare di sondaggio che è il sondaggio elettorale e quale effetto produce.
In breve, ho proprio voluto dimostrare che l’opinione pubblica non esiste, almeno nella forma che le attribuiscono coloro che hanno interesse ad affermare che essa esiste. Ho detto che ci sono, da un lato, opinioni mobilitate, opinioni costituite, gruppi di pressione mobilitati attorno a un sistema di interessi; e, dall’altro lato, delle disposizioni, cioè l’opinione allo stato implicito che, per definizione, non è l’opinione se per essa s’intende qualcosa che si può formulare con una certa pretesa di coerenza. La definizione dell’opinione che ho preso in considerazione è la definizione che è usata allo stato implicito nei sondaggi di opinione. Non è questa la mia opinione sull’opinione. È semplicemente l’esplicitazione della definizione dell’opinione che praticano coloro che producono sondaggi di opinione domandando agli intervistati di formulare opinioni o di prendere posizione su opinioni già formulate. Io dico semplicemente che l’opinione nel senso della definizione sociale implicitamente ammessa da coloro che fanno sondaggi d’opinione, o da coloro che utilizzano i risultati di questi sondaggi, non esiste.
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Questo testo è comparso in “Problemi dell’informazioneâ€, n°1, gennaio-marzo 1976, Il Mulino, Bologna, pp. 71-88.
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[…] La lucidità e la precisione di queste analisi hanno un valore enorme (e non solo in senso intellettuale), ma è molto complicato ricostruirle qui per intero. Basterà dire che non sono ancora state recepite, a quasi cinquant’anni di distanza. Ho trovato un link dove potrete trovare il testo completo, se mai avrete voglia di leggerlo e analizzarlo (inutile dirlo: leggetelo, magari cercando di non farvi scoraggiare dalle difficoltà linguistiche e concettuali, facendo largo uso della ri-lettura): http://www.maurizioacerbo.it/blogs/?p=855 […]
[…] La lucidità e la precisione di queste analisi hanno un valore enorme (e non solo in senso intellettuale), ma è molto complicato ricostruirle qui per intero. Basterà dire che non sono ancora state recepite, a quasi cinquant’anni di distanza. Ho trovato un link dove potrete trovare il testo completo, se mai avrete voglia di leggerlo e analizzarlo (inutile dirlo: leggetelo, magari cercando di non farvi scoraggiare dalle difficoltà linguistiche e concettuali, facendo largo uso della ri-lettura): http://www.maurizioacerbo.it/blogs/?p=855 […]