La riforma invocata dopo il caso De MagistrisÂ
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di Giuseppe Di Lello
Come periodicamente accade, il ping-pong dei sequestri di processi tra gli uffici giudiziari di Salerno e Catanzaro hanno riacceso i riflettori sulla magistratura e il suo (cattivo) funzionamento suscitando commenti contraddittori e, a volte, scollegati con la fase politico-istituzionale che stiamo attraversando. Il Presidente della Repubblica è intervenuto suscitando delle “perplessità ” assolutamente fuori luogo dato che, messo di fronte ad un atto abnorme come il sequestro materiale di un procedimento penale, il garante della Costituzione non poteva restare silente: un suo mancato intervento avrebbe legittimato una guerra per bande fuori da ogni regola processuale e istituzionale e, perciò, assolutamente inconcepibile all’interno di uno dei poteri dello Stato.
Per una pressoché concorde presa di posizione nella sinistra, ora la maggioranza di centrodestra non dovrebbe approfittare di questo singolo episodio per regolare i suoi conti con la magistratura indebolendone l’autonomia. Il monito è abbastanza debole perché non c’è dubbio che una preannunciata e sicura riforma “correttiva” si giustifica proprio con la necessità che tutto ciò non possa ripetersi: la cura sarà peggiore della malattia, ma sull’opinione pubblica non “avvertita” qualsiasi riforma contrabbandata in tal senso troverebbe un ampio consenso. Non è nemmeno del tutto vero che i mali della giustizia (la sua inefficienza innanzitutto) non dipendano dall’ordinamento giudiziario perché proprio la ricorrente e infausta scelta dei vertici di molti uffici sono alla base di questo cattivo funzionamento. Abbastanza ingenuo, infine, è dire che non bisogna riformare sul punto la Costituzione perché la destra, forte di una ampia maggioranza parlamentare, questa volta la farà e, anzi, per realizzare i suoi progetti, vi sarà “costretta” per smontare un sistema (magistratura, Csm, azione penale, dipendenza della polizia dall’autorità giudiziaria, ecc.) dettagliatamente regolamentato con norme costituzionali.
L’autonomia e l’indipendenza della magistratura, e con esse l’obbligatorietà dell’azione penale, vanno difese fino in fondo perché sono alla base dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: se si scardina questo principio – già incrinato dai vari lodi e dalle leggi ad personam – viene meno la fondamentale divisione dei poteri dello Stato e la Costituzione non ha più senso.
La Magistratura, però, con le sue divisioni sempre meno ideologico-culturali e sempre più di potere correntizio, sta dimostrando di non essere in grado di gestire (e di meritarsi) il sistema di autogoverno e, allora, bisogna porvi rimedi che non siano quelli progettati dalla destra.
La separazione delle carriere, dopo la riforma del Governo Prodi che ha attuato una rigida separazione delle funzioni, non ha nessuna giustificazione se non quella di creare un corpus di pubblici ministeri isolati dal resto della magistratura e ancor più ingovernabile (e pericoloso): da ciò conseguirebbe inevitabilmente la sottoposizione degli stessi al ministro della giustizia che gestirebbe anche l’uso (e l’abuso) dell’azione penale. Due Csm separati (per i giudici e per i pm) con tre componenti paritetiche (un terzo eletto dai togati, un terzo da Parlamento e un terzo di nomina del Presidente della Repubblica) non farebbe che aumentarne la tanto deprecata politicizzazione. Il Presidente, infatti, per le sue nomine dovrà ricercare una sorta di equilibrio politico-ideologico e, pertanto, la somma delle tre componenti sarà a larga maggioranza ideologicamente politicizzata.
Bisogna, pertanto, attrezzarsi perché qualsiasi riforma costituzionale tenga insieme, oltre all’obbligatorietà dell’azione penale, il sistema dell’autogoverno e un funzionamento dello stesso che ridia fiducia ai cittadini.
Da qui, una diversa composizione della sezione disciplinare che sia veramente autonoma dalle correnti e, al riparo dalle “raccomandazioni”, garantisca una corretta gestione dell’azione disciplinare, sì da fungere da modello anche ad altre corporazioni, quella degli avvocati innanzitutto che, proprio in tema di gestione della disciplina interna, avrebbe moltissimo da imparare, anche dall’attuale Csm.
Altro punto dolente è la nomina dei capi degli uffici, troppo legata a prassi spartitorie tra le correnti, specie quando si tratta di grandi e strategiche sedi giudiziarie: bisognerebbe assicurare, anche con legge costituzionale, la copertura del posto in tempi ragionevoli per scoraggiare trattative che durano anche più di un anno, come è stato per le procure di Catania e di Reggio Calabria.
Speriamo che si manifesti una volontà di resistenza ai progetti della destra e che ci sia anche un’attività pedagogica tale da mobilitare “il popolo sovrano”. Se, infatti, alla fine, ci dovesse essere una riforma costituzionale non condivisa, ci sarebbe il referendum e alla destra potrebbe andar male, come le accadde con l’ultimo sciagurato tentativo di riforma targato Berlusconi.
da Liberazione, 13/12/2008
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